Respinto il ricorso collettivo. I ricorrenti costretti al pagamento delle spese di lite e di ulteriore importo a titolo di contributo unificato
Con la recente ordinanza dell’11 settembre 2023, la n. 26258, la Corte di Cassazione conferma le precedenti sentenze emesse dagli organi giudicanti sia in primo, sia in secondo grado e, senza rinviare la causa alla Corte di Appello, rigetta il ricorso collettivo proposto da ben 67 pensionati o loro eredi, già dipendenti del gruppo Enel Spa.
A parere di chi scrive le circostanze citate assumono rilievo sia perché vi è unità di giudizio, peraltro ben motivato da parte dei magistrati chiamati a decidere su una questione alquanto complessa, sia perché, risultando infondata la questione di diritto, la Suprema Corte può omettere il rinvio della causa e decidere essa stessa, rispettando così i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.
Nel ricorso veniva richiesto di accertare il diritto degli ex-dipendenti del Gruppo a continuare a ricevere le riduzioni delle spese di energia elettrica vigenti durante il rapporto di lavoro, nonostante fosse intervenuta nel frattempo la disdetta del contratto collettivo che prevedeva tale istituto. Le agevolazioni introdotte nel contratto post corporativo a favore dei dipendenti delle aziende elettriche private avevano la finalità “di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico della energia erogata dal proprio datore di lavoro”.
Importante però sottolineare che essa veniva concessa per una sola utenza ossia quella principale e soprattutto ad un solo membro del nucleo familiare qualora fossero in esso presenti più dipendenti Enel. Tale modalità, quindi, ne escludeva la natura retributiva, sostenuta invece dai ricorrenti, i quali richiamavano norme della legge tributaria, che disponeva l’inserimento nel CUD e la qualificava come reddito da lavoro ai fini IRPEF. Inoltre risultava dagli accertamenti di merito e dalle norme contrattuali che la agevolazione tariffaria non era collegata alla prestazione lavorativa, ma era indipendente da essa e dalla quantità e qualità del lavoro del dipendente. Essendo quindi sganciata dal parametro di corrispettività era sottratta al canone di proporzionalità e sufficienza previsti dall’art. 36 della Costituzione, articolo che invece i dipendenti ritenevano non rispettato dal datore di lavoro.
La Corte censura anche altra motivazione posta dai ricorrenti relativa alla disdetta unilaterale del Contratto Collettivo da parte dell’Enel. L’agevolazione tariffaria, essi sostenevano, era ormai entrata nel patrimonio del lavoratore ed era a tutti gli effetti un diritto acquisito e “intangibile” mantenendo i suoi effetti anche se il Contratto che la conteneva era stato disdettato. La Corte censura anche tale tesi assumendo che gli unici diritti intangibili sono quelli già entrati nella sfera patrimoniale del lavoratore vuoi perché presenti nel contratto individuale, vuoi perché previsti dal Contratto Collettivo con specifiche apposite clausole di salvaguardia secondo il criterio del trattamento più favorevole, elementi assenti nel caso di specie secondo la Corte.
Né è pensabile che un Contratto Collettivo che non ha, come nel caso di specie, un predeterminato termine di efficacia, “possa vincolare per sempre le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la ragione della contrattazione collettiva che deve parametrarsi su una realtà socio-economica in continua evoluzione”. La Suprema Corte, quindi, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di lite e di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
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