
All’angolo che dal campo va in Calle del tentor, c’è una piccola, fornitissima cartoleria. Basta varcare una porta di vetro e superare un gradino senza intopparsi per entrare in un mondo antico, tra album e quaderni, fogli da dipingere o da incartare, cavalletti e tele, colori e pennelli, penne, e pennarelli, matite e portamine da 0,5 – o 0,7 per chi ama il tratto più spesso, nastro adesivo e di carta, carta da pacchi e molto ancora: compassi, righelli, goniometri, altri strumenti per il disegno …
Qui tutti trovano quello di cui hanno bisogno: da chi vuole dipingere angoli veneziani a chi deve preparare pacchi per traslochi e spostamenti, dallo studente di arte o architettura alla persona che ancora semplicemente ama scrivere a mano o ha bisogno di quello strumento ancora indispensabile che è una matita. Ci si sente di casa e si sa di poter contare su un negozio fornito e su un esercente di antica affidabilità: Paolo, il “cartolaio amico” di San Giacomo da l’Orio.
Questo è il primo motivo per cui la cartoleria di San Giacomo va segnalata come “negozio di vicinato”, per eccellenza: perché definisco con questa espressione le strutture che consentono la vita degli abitanti in una città, fornendo loro il necessario per vivere (dagli alimentari al commercio di base).
Il secondo motivo è che quello di Paolo è rimasto l’unico negozio di vicinato del campo e immediati dintorni.
San Giacomo dell’Orio è un campo in trasformazione, un termometro dei processi che, se altrove possono essere di “rigenerazione urbana”, qui come spesso a Venezia è più proprio definire di “degenerazione urbana”.
Negli ultimi anni in campo una banca è stata sostituita da un ristorante, una biblioteca universitaria da un albergo, una parrucchiera da un bar. Negli ultimi giorni l’edicola cartoleria ha abbandonato la sua sede storica, per andare in un posto più piccolo, poco più in la. Si dice che farà posto alla farmacia di Lista dei Bari, che a sua volta cambia sede per essere sostituita da un ristorante. Una scelta coerente, dal momento che Lista e Calle lunga dei Bari sono sempre più al centro delle polemiche sulla “movida molesta” …
Ma questo processo riguarda tutta la città storica.
Ovunque chiudono i negozi di alimentari di prossimità e i panifici e contemporaneamente si aprono spazi sempre più ampi per i supermercati, con un’offerta sempre più mirata sulla consumazione rapida del turista. Sono sempre meno i negozi di articoli per la casa ed elettrodomestici; ormai per qualsiasi necessità è più facile prendere la macchina o servirsi delle navette per andare in qualche store – più o meno mega – della terraferma.
Vivere Venezia da veneziani è sempre più difficile.
Io ho ancora, oggi, il privilegio di riuscirci. Abito in una casa mia, ho una coop sotto, un panificio e un negozio di alimentari di qualità (per gli sfizi) a pochi minuti. Sono a un quarto d’ora a piedi sia dalla stazione sia da Piazzale Roma, elemento indispensabile per varcare quella soglia che l’ironia faceva dire a Mario Stefani che, se non ci fosse il ponte, Venezia vedrebbe l’Europa come un’isola.
Ma anche per noi “veneziani residui” i dubbi sulla possibilità di sopravvivenza in città crescono con l’aumento della velocità dei processi di “degenerazione urbana”.
Ci sono le ragioni strutturali: un mercato dell’affitto per i residenti – vecchi e nuovi – “chiuso” dalla concorrenza delle locazioni brevi ai turisti e una carenza di spazi pubblici per la relazione e l’incontro e i processi di speculazione fondiaria indotti dal turismo; la crisi del commercio di vicinato, la difficoltà per i giovani a trovare un lavoro non precario e non legato al turismo.
In sovrappiù, comincia a pesare anche qualcosa che definirei come “depressione urbana”.
Le ragioni strutturali sono iconicamente riassunte nel film Welcome Venice di Andrea Segre, con il protagonista combattuto per resistere e abitare la sua città (la Giudecca) e a vivere del suo duro lavoro (di moecante) e il farsi “soldi facili”, affittando la casa ai turisti e andando a stare in terraferma.
La seconda è quella per cui non se ne può più di queste trasformazioni guidate da un turismo onnivoro, che fa danni alla città e agli abitanti e porta i ricavi in gran parte fuori.
Si cominciano a sentire casi di residenti che non sopportano di assistere alla scomparsa del tessuto urbano nel quale sono cresciuti e che viene “mangiato” da bar, ristoranti e da una struttura commerciale sempre più al servizio del turista e sempre meno della popolazione. E che preferiscono la fuga e l’abbandono di una città che li ha visti nascere e crescere e che hanno amato, ma il cui tradimento non riescono a sopportare.
Io sto a San Giacomo dell’Orio e ancora resto, dicevo. Perché Venezia è davvero la “città dei quindici minuti” che piace tanto agli urbanisti. E che oltre al “pane” offre le “rose”.
In pochi minuti, se ho un problema legato agli apparecchi elettrici, vado da Zaffalon in Campiello del spezier e me lo risolvono. Pochi giorni fa mi è “saltato” lo schermo della TV, sono passato da loro perché so che “fanno miracoli”, ma con poche speranze. Un tentativo, prima di andare a cercarne una nuova a Marghera. Bene: non mi hanno cambiato il chip lesionato, ma riconfigurato l’intera scheda. Così con una cifra neanche lontanamente paragonabile a quanto avrei speso per comprarne una nuova, ho recuperato e “svecchiato” la mia vecchia TV: ora vedo più di prima, meglio di prima … Perché quello è un negozio che appartiene alla mai abbastanza lodata categoria dei riparatori, oggi sostituita da quella dei venditori seriali che in nome dell’obsolescenza programmata smerciano apparecchi che si rompono, buttano e ricomprano nuovi.
Ed è bello che nella nostra città antica ci sia ancora chi aggiusta e recupera e consente alle cose di durare (risparmiando risorse e aumentandone la vita). Anche se non mancano i “commercianti dell’usa e getta”. Il primo a cui mi ero rivolto per provare a recuperare le mia TV è un grosso venditore (che comincia per “Ca….” e finisce per “…uto”), dove con sufficienza mi era stato detto che per un 32 pollici non si trova chi li aggiusta e non varrebbe neanche la pena …
Quando mi serve qualcosa per la casa (e la persona: dalle mutande alle stoviglie, dalla cancelleria alla pulizia per la casa, dal bricolage alla sanitaria) ci metto poco ad arrivare al posto più fornito che si possa trovare, il minimarket di Santa Margherita. Un negozio di prossimità, ma mi vien quasi da dire “di vicinanza”, per la quantità di servizi che è in grado di fornirti…
E poi anche a Venezia qualche volta si può assistere a un miracolo. Da pochi mesi se ne è verificato uno (e proprio vicino a casa mia): in Rio Terà Secondo ha aperto una piccola ma fornita e accogliente libreria Feltrinelli. Una scelta coraggiosa e ispirata alla nuova impostazione della casa editrice: solo libri (senza gadget e ammennicoli vari) anche qui si sta rivelando vincente. I veneziani sono pochi ma leggono molto e questo spiega (assieme ai passaggi dei turisti, che trovano una sezione dedicatae alla visita della città) come mai le librerie siano forse il solo settore merceologico in crescita (dopo ovviamente gli esercizi che forniscono cibo e bevande). Ai miei occhi è di buon auspicio la sua collocazione (probabilmente non voluta) alla casa di Aldo Manuzio, l’uomo che portò nella Venezia del Cinquecento un’innovazione – la stampa dei libri, anche e piccolo formato – che la contribuì a farne la Silicon Valley dell’epoca …
Resto, quindi. Restiamo – noi “Veneziani residui” – perché abbiano ancora questi che sono ormai i nostri “negozi del cuore”. Finché resistono, perché sono sottoposti ad attacchi da parte di attività economiche che risultano più facili (da “aprire”, così come da “chiudere”, passando le licenze …).
Sto parlando di bar e ristoranti, che nel processo di degradazione urbana della città giocano sul terreno delle attività commerciali e di pubblico esercizio lo stessa ruolo che sul terreno abitativo hanno le case offerte in locazione breve ai turisti, anziché in locazione di lungo periodo agli abitanti.
Per leggere le dinamiche in corso esco di casa, vado in campo e mi guardo intorno
Con le trasformazioni recenti, cui accennavo all’inizio, oggi San Giacomo ha raggiunto il traguardo dei dieci tra bar e ristoranti. Solo Paolo, il cartolaio amico, tiene alta la bandiera dei negozi di vicinato. Non so cosa succederà quando andrà in pensione.
Ho aderito di recente al comitato “Danni da movida” che sta realizzando quello che era il progetto del gruppo che partì subito dopo il Covid con mobilitazioni e assemblee per limitare l’invasione da plateatici (o dehors) che avevano cominciato a invadere gli spazi urbani, oltre ogni misura. Il progetto di estendere la battaglia non solo ad alcune zone, ma all’intera città, perché è tutta la città a essere investita dalle dinamiche che ho evidenziato.
Mi sembrano importanti le richieste che il Comitato rivolge al Comune, presentate nell’assemblea pubblica dei 16 novembre 2023 nella sede municipale di San Lorenzo.
Conoscere le Scie Commerciali e Ambientali dei locali consente di vedere quali sono autorizzati ad emettere musica, se sono insonorizzati, se pagano i diritti SIAE.
È necessario un costante monitoraggio dei rumori da parte di ARPAV, perché è l’unico organismo abilitato a farlo in modo ufficiale; peraltro numerose rilevazioni ufficiose effettuate dal Comitato in diverse punti della città rivelano un costante sforamento dei limiti.
Importante è anche verificare i pianini (lo strumento che il Comune si è dato per autorizzare i plateatici) e il rispetto delle misure previste dal Regolamento di occupazione del suolo pubblico.
Ma soprattutto decisivo appare il nodo dei controlli (anche e soprattutto nelle ore serali e notturne) da parte delle forze dell’ordine perché venga assicurato quel rispetto delle quiete pubblica previsto dalla legge nazionale e dal Regolamento comunale di polizia urbana.
In quella stessa affollata assemblea è stato posto (e fatto proprio anche dalla Municipalità di Venezia) il problema di capire come arrestare questo processo di sostituzione della struttura di servizio e commerciale di prossimità (che si riduce, come si riducono i residenti – anche se non mi pare univoco il rapporto di causa effetto …) con bar e ristoranti (che crescono a dismisura, in relazione al crescere dei turisti, anche e soprattutto di quelli giornalieri …).
Ed è proprio su questo aspetto di impoverimento urbano che credo andrebbe concentrata l’attenzione: come difendere servizi e commercio di vicinato dall’assalto dei bar e ristoranti.
E mentre aspettiamo che vengano approvate e messe in atto le misure amministrative necessaire da parte de “quei che ne comanda …” (per dirla con sir Oliver Skardy) – siano essi il governo comunale, regionale o nazionale – ci sono alcuni comportamenti che ognuno di noi può mettere in atto. Così per migliorare la situazione e difendersi in attesa di un intervento delle istituzioni competenti. Che. sia detto per inciso, chissà se e quando interverranno, se ha ragione ancora sir Oliver Skardy a dire, dei nostri governanti, che “… i xe sempre na’ bruta banda …”.
Quello che possiamo fare subito è trovare e recuperare i “nostri” negozi di vicinato, spendere quello che serve a fare vivere noi e far vivere loro.
Una città è viva se ha il suo corpo (le case e i monumenti) se si sostiene su uno scheletro (fatto di servizi urbani di base) e se ha un sistema arterioso e venoso, fatto di chi ti vende a livello di vicinato quello che ti consente di vivere. Senza andare in terraferma.
Ci vogliamo provare? Oppure vogliamo andare “fuori” a comprare dove sembra che tutto costi meno, nei megastore che ci offrono anche il servizio navetta per andare de tornane?
Così facendo in terraferma oggi ci andiamo per comprare a meno.
Il passo successivo sarà l’essere costretti ad andarci a vivere, lontano …
E torniamo all’inizio: è il costo della casa, più che l’assenza di lavoro il primo elemento che spopola Venezia. Per capirlo, basta mettersi a Piazzale Roma e alla stazione la mattina presto o il pomeriggio, dopo il lavoro e osservare la direzione dei flussi, con più gente che entra in città la mattina e più che gente che esce il pomeriggio.
Ma anche la sostituzione dei servizi e dei commerci dedicati agli abitanti con esercizi dedicati ai turisti, in primis bar e ristoranti, ha il suo peso.
Se c’è una Sindaca o Sindaco che prende in mano le politiche abitative, disciplinando le locazioni brevi e che vara misure non solo per fermare, ma per invertire la tendenza alla scomparsa del commercio di vicinato e alla crescita di bar e ristornati, ditemelo. Li voto …
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