Claudio Pasi è un poeta che ama rapportarsi alla storia, non soltanto o non particolarmente a quella ufficiale stampata nei libri, ma soprattutto alle storie minori, quelle che hanno riguardato la gente comune e i lavori che hanno svolto, la vita nelle piccole realtà di provincia. La sua ultima opera, La campagna dello zucchero, edita da Il Ponte del Sale, è un omaggio alla fabbrica dove ha lavorato per tutta la vita il padre e anche lui nei mesi estivi, nel periodo del liceo e dell’università, per guadagnare qualche soldo per gli studi e per sé. Si tratta dello zuccherificio di Molinella, tra Bologna e Ferrara, dove è nato, che ha costituito per quella comunità una risorsa economica e un importante aggregato sociale, come lo sono stati per tanti anni gli zuccherifici che operavano in varie zone del nostro Paese, e in particolare della Pianura Padana, che adesso, come quello di cui ci parla Pasi, sono stati chiusi, o adibiti a usi commerciali, o demoliti.
Per la sua raccolta, Pasi ha scelto una forma anch’essa ormai andata in disuso, quella del poema didascalico, in endecasillabi sciolti, che vanta esempi classici di capolavori del passato, fra tutti le Georgiche di Virgilio. Quindi, seguendo il copione antico, l’autore ha suddiviso il poema in tre libri, che corrispondono alle fasi della lavorazione, a partire dalla semina della barbabietola, al raccolto e al conferimento; per poi passare nel secondo libro alla pulizia che viene effettuata attraverso procedimenti meccanici e chimici, così da ottenere un sugo denso e concentrato. Infine, nell’ultimo libro si sofferma sulla fase conclusiva della lavorazione, con i diversi processi di cristallizzazione, fino ad arrivare al candido zucchero raffinato che consumiamo tutti i giorni nelle nostre case. Sempre alla maniera dei classici, Pasi inoltre inserisce, all’interno del racconto delle attività umane, dalla semina della radice al prodotto finito, una storia dello zucchero e una dello zuccherificio di Molinella, documentate e ricche di notizie interessanti. C’è da sottolineare, infatti, che per la stesura del suo poema, l’autore ha svolto un notevole lavoro di ricerca, in gran parte su manuali tecnici che illustrano le modalità di trasformazione, implicando nozioni chimiche molto accurate. Nei versi troviamo molti termini specifici del settore e anche per questo, alla fine del poema, è presente un ricco apparato di note che illustra in dettaglio le fonti e fornisce spiegazioni più accurate sulle locuzioni utilizzate.
A questo punto, qualcuno può chiedersi perché un poema, invece di un saggio, tanti sono gli aspetti tecnici che il libro contiene. La risposta è presto detta: perché Claudio Pasi è un poeta vero, che ama una parola che significa ciò che nomina; e, oltre alla perizia nel rendere in endecasillabi fluenti un tema così profano, nel poema si aprono momenti di intensa liricità, pur senza mutare tono e stile, come un portato naturale delle vicende narrate. Fra i tanti, piace ricordare i versi in cui l’autore paragona la struttura imponente della fabbrica, con le ringhiere e le scale, i carrelli che si elevano, i macchinari in ferro, con una grande nave che si alza dalla pianura. Lo fa una prima volta, con gli occhi di bambino che, assieme agli amici, osserva ammirato quel prodigio, di là della rete metallica:
… le ghirlande dei fari che si accendono
a intermittenza, il fischio prolungato
delle sirene, i getti del vapore
che sbruffa dagli sfiati dileguando
nel buio, a loro tutto appare come
un bastimento pronto per salpare.
Replica questa visione con un’immagine diretta e un avvio degno di un grande racconto d’avventura:
… Come navi incagliate contro l’alta
falesia di mattoni della fabbrica,
le carene striate dalla ruggine
e da rigagnoli viola di schiuma,
due diffusori di sugo, arenati
fianco a fianco, imbarcano da poppa
nella stiva capiente le fettucce, …
Queste similitudini marinaresche fanno venire alla mente il capolavoro di Herman Melville, Moby Dick, dove pure ci sono pagine e pagine di accurate descrizioni pratiche sulla caccia alle balene e sull’olio che da esse si ricavava, e che, allo stesso modo, si squarcia improvvisamente in immagini e dialoghi che si inoltrano nel mistero e nella poesia.
Un’altra suggestione può esserci fornita accostando il percorso all’interno dei diversi ambienti della fabbrica, in base alle lavorazioni che vi avvengono, e il viaggio dantesco nell’aldilà. Anche qui si inizia attraversando luoghi caldissimi, dove si susseguono getti d’acqua bollenti, schizzi di materia incandescente, passaggi subitanei dal caldo al freddo; tutto questo seguendo il sugo appiccicoso e denso, che emana un odore dolciastro e nauseante. Anche coloro che vi lavorano sono descritti in maniera pittoresca, alla stregua dei guardiani infernali:
… Nella bolgia appaiono
uomini seminudi, scarni e curvi,
combusti dal calore …
Alla fine, invece, quando si arriva al condizionamento dello zucchero, l’atmosfera muta repentinamente e tutto diventa lieve, impalpabile, etereo. L’atmosfera opprimente e afosa lascia il posto a un ambiente ovattato, in cui domina il colore bianco, ed ogni cosa ne assume i contorni paradisiaci:
… Dappertutto
qui è come se l’inverno all’improvviso
fosse caduto a mezzo dell’estate.
Sopra ogni cosa si dispiega un soffice
velo bianco di neve, (…)
D’impulso, abbacinati dal candore,
ci ripariamo gli occhi con la mano.
Straordinarie sono anche le due storie che Pasi inserisce all’interno del poema; quella relativa alla scoperta dello zucchero, che tanto ha mutato la preparazione dei cibi, ricavato prima dalla canna e poi dalla barbabietola; che ha ripercorso in fondo tante vicende umane, anche tragiche, come la schiavitù, che nel Settecento era ancora ampiamente praticata, ed anzi, è stato con il sacrificio e lo sfruttamento di uomini e donne del terzo mondo di allora, che è ancora quello di oggi, che si è avuta la diffusione presso i ceti popolari europei di questo nuovo alimento dolce, che era prima riservato alla nobiltà.
Con il racconto della nascita e dello sviluppo della fabbrica di Molinella, l’autore entra invece in una dimensione più memoriale, che gli è altrettanto congeniale, come dimostrano altre sue opere recenti. Il ricordo in Pasi è sempre però legato ad episodi ben delineati, non si abbandona mai all’indeterminato o al nebuloso, ma gradualmente si fa strada, dentro l’evento narrato, una polvere sottile che fluttua nell’aria, un refolo che apre una finestra, qualcosa che si muove inavvertito. È il sentimento della sua poesia, fatta di grande cultura che non viene esibita, ma si mette al servizio della realtà; di una cura, che si può definire etica, nella ricerca del termine esatto che definisca gli oggetti o le situazioni; di rispetto per tutte le persone che con il loro lavoro hanno migliorato il mondo.
Questa educazione, questo sentire l’umanità degli altri, si impara presto, all’alba della vita, è una lezione che Pasi vede dispiegarsi all’analista ventenne che svolge il suo praticantato nel laboratorio chimico e che esorta a riflettere “che l’opera che porti a compimento / altro non è che la tua stessa vita”, e lo sperimenta per sé, in questo straordinario cameo autobiografico, che chiude il secondo libro e che si riporta per intero, per poter ammirare una poesia che non ha bisogno di effetti speciali per entrare nella vita e rivelarne il nocciolo:
Là, calpestando tra le foglie secche
dei platani cadute sui vialetti
silenti e i marciapiedi intorno alla
palazzina dell’amministrazione,
accompagnavo talvolta mio padre,
quando era ‘di servizio’, le domeniche
piovigginose di novembre. Appesi
i due cappotti sull’attaccapanni
e i nostri ombrelli fradici lasciati
contro il termosifone ad asciugare,
là fu dove – avrò avuto dodici anni –,
mentre rivoli d’acqua scivolavano
sull’invetriata e raffiche di vento
squassavano le imposte, con due sole
dita battendo i tasti di una vecchia
Olivetti con il carrello lungo,
dal nastro nero apparvero sul foglio,
nuove ed estranee, le parole di una
poesia che avevo scritto, la mia prima.
La campagna dello zucchero
Poema in tre libri
di Claudio Pasi
Il Ponte del Sale edizioni, 2023
Prezzo: euro 16,00
Immagine di Copertina: Interno del zuccherificio di Molinella, 1924
Fonte: “Tanti saluti dal secolo scorso – diario molinellese del ‘900” di Andrea Martelli
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