Sibylla viene dal dorico sios-bola, composto da Sios/Dios (Dio) e boulé (volontà, consiglio). È colei che si consiglia con Dio. Altri dicono avere la stessa radice di sà-pere quindi la sapiente, da cui si deduce trattarsi di persona illuminata. In origine Sibilla (dal greco Sibylla) era un nome proprio di persona, poi per il moltiplicarsi dei luoghi sacri in cui venivano proferiti oracoli sibillini e raccolte profezie, al nome venne associato il luogo in cui stava, ecco allora la Sibilla Eritrea, Cumana, Delfica. Poi è diventata una definizione, un epiteto che designa un tipo particolare di profetessa che nell’immaginario degli antichi aveva longevità millenaria. Illuminata e luminosa appare nel video diffuso postumo Sibilla Barbieri, con occhi di mare e cielo, d’acqua e aria che per vivere hanno bisogno l’una dell’altra e specialmente di scorrere, altrimenti ristagnano e muoiono. La Sibylla pre-vedeva il fato: Sibilla ha voluto determinarlo.
Sibilla è in un vicolo cieco e chiede di aprirle una via che non è di fuga, ma solo d’uscita. Lo fa nella convinzione che sia suo diritto farlo. A chi lo chiede? al servizio sanitario pubblico quindi allo Stato, cioè a tutti noi che restiamo sadicamente sordi ai nostri cari sofferenti. Il malato terminale viene lasciato in solitudine in balia di un destino che non è detto sia inevitabile e unico. Con convinzione Sibilla è diventata consigliera nazionale dell’associazione Luca Coscioni che si batte per il diritto alla vita, perché di questo si tratta, non di voglia di morire, ma di una voglia di vivere tale da farci superare la paura di morire che tutti proviamo. È mancanza di rispetto elementare perturbare chi ha infine fatto una scelta impegnativa; nessuno vuole morire, ma talvolta non resta altro da fare.
Sibilla racconta con composta lucidità la sua odissea e può esser stata proprio la sua serena determinazione a costringerla alla tenace ricerca di una soluzione alternativa a quella di un fine vita legale che le viene negato pur avendo nel quadro clinico tutti i requisiti di legge per chiedere di porre fine alla sua esistenza (come vedremo più avanti). Non riesce a farlo regolarmente ed è costretta a recarsi in Svizzera, non senza sottolineare l’ingiustizia di avere accesso alla morte medicalmente assistita con autosomministrazione perché può permettersi di spendere 17.000,00 € a differenza dei tanti che non possono, lasciati impantanati nella palude della disperata speranza di liberarsi presto dall’insopportabile dolore. Voleva morire in casa sua, ma impossibilitata a farlo è stata accompagnata amorevolmente dal figlio Vittorio che, dopo essersi autodenunciato, rischia ora fino a quindici anni di carcere per un atto d’amore considerato alla stregua di un omicidio.
Il pieno controllo delle facoltà cognitive, la sofferta serenità dolcemente condivisa, il radioso e sincero sorriso, può averla penalizzata. “Sta troppo bene per essere terminale” può aver pensato chi le stava di fronte… non già per concederle qualcosa, ma solo per riconoscere il suo diritto a scegliere. Può essere che a trarre in inganno la commissione della competente ASL Roma 1 abbia contribuito la mancata ostentazione di quella sofferenza lasciata dolorosamente radicata nell’intimità e dalla dignitosa sopportazione? Non vogliamo crederlo.
Con l’opinabile diniego di accesso alla morte volontaria assistita, si è ostacolato il libero arbitrio esercitato nel pieno delle facoltà e non sembra rispettata la sentenza n. 242/19 della Corte costituzionale. Perché? Perché si è valutato mancare uno dei requisiti, l’hanno ritenuta: capace di autodeterminarsi (requisito 1), affetta da patologia irreversibile (requisito 2), ma non che fosse dipendente da trattamenti di sostegno vitale (requisito 4) trascurando che era soggetta a terapia del dolore e ossigenoterapia. Inoltre, nel verbale si omette di citare che la malattia sia fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che la persona reputi intollerabili (requisito 3); auspichiamo sia stato solo per una spiacevole dimenticanza ma di questo si occuperanno i giudici a cui si sono rivolti i familiari valuteranno se c’è stato pre-giudizio, cioè un giudizio ante-posto a una valutazione obiettiva.
Respira abbastanza bene senza l’affanno tipico, lo si vede anche nel video, quindi, non è sufficiente che le venga prescritta l’ossigenoterapia? Bisogna essere proprio moribondi e giacere inerti in un letto per vedere rispettato il diritto all’autodeterminazione di vivere serena-mente la propria morte?
Non solo si è trascurato quanto a lungo Sibilla ha convissuto con una malattia che ha cercato di contrastare in ogni modo e costringe a vivere in un corpo (ormai) estraneo, che smette progressivamente e inesorabilmente di essere casa per diventare gabbia. Sembra che la sua forza le si sia ritorta contro, ma Sibilla non si è piegata alle forze esterne e ha speso le forze residue per non soccombere alle circostanze avverse e rivendicare i diritti suoi e dei tanti altri pazienti, spazientiti da una presunta moralità immorale e anacronistica che si fatica a rimuovere nonostante la maggioranza della società civile sia ormai matura e convinta della necessità di affrontare e risolvere la questione senza condanne a vita. Riconoscere libertà di optare per il fine vita volontario non è cedere al capriccio di qualcuno che ha una bassa soglia di sopportazione della sofferenza, né è agire per compassione facendo una concessione per ragioni umanitarie a un malato, niente di tutto questo, qui si tratta dell’esercizio di un diritto che non è contro la morte ma per la vita. È indegno che il trattamento di una materia così sensibile sia oggetto di valutazioni che appaiono burocratiche da parte di medici e legali che soppesano le circostanze cercando appigli nella punteggiatura di una sentenza che ha aperto una falla nella diga dell’inerzia politica. Basta, ora ci vuole una legge per colmare questa vergognosa lacuna nel nostro ordinamento giuridico, che costringe a far diventare pubbliche vicende intime e private. Di cosa parliamo lo sappiamo bene tutti dato che di malati oncologici ne abbiamo in ogni famiglia.
Che fare? Sostenere la campagna nazionale Liberi Subito (qui la proposta di legge) e la raccolta di firme per le proposte di legge regionali: facciamoci sentire e se la politica fa finta di non sentire, alziamo la voce. Di oggi è la notizia che oltre a Vittorio Parpaglioni Barbieri e Marco Cappato anche Luigi Manconi, Ivan Scalfarotto e Riccardo Magi si autodenunciano. Insieme a loro dovremmo cominciare a farlo in tanti, credo possano farlo tutti coloro che sostengono l’associazione Luca Coscioni, sapendo che fornisce assistenza e supporto legale e organizzativo al fine vita volontario.
Obbedire viene dal latino ob– (dinanzi) e –ûdíre (prestare ascolto). È considerato sinonimo di sottomettersi al volere altrui. In realtà l’ascolto non è sottomissione e rinuncia, ma virtuosa accoglienza dell’altro col quale non si deve necessariamente esser d’accordo, quell’altro che alberga in noi stessi quando il corpo prende una via divergente da mente e anima. L’inerzia in questa materia testimonia la distanza tra la società civile e la politica, che verrà travolta e smentita così com’è avvenuto per altre riforme come quella del divorzio o dell’aborto. Peraltro, aiutare a morire lo si fa già, di nascosto in sordina. È un diritto allontanare il calice e rifiutarsi di berlo. È un dovere della comunità umana sostenere tutti i suoi membri, fratelli o sorelle che siano, e garantire loro libertà di una scelta che non è in alcun modo resa, ma voglia di combattere fino in fondo per il diritto alla vita. Grazie Sibilla, grazie Vittorio, per avercelo ricordato.
Immagini del servizio: Ho incontrato Sibilla di sfuggita, la ricordo come la si vede nelle foto: occhi parlanti, mai uno sguardo distratto. Mi era sembrata una persona leggera, non nel senso della superficialità ma in quello della positiva assenza di gravità.
L’articolo Sibilla interroga noi tutti proviene da ytali..