A che servono i ricordi?
Per il Giorno del ricordo mi sembra importante pensare al senso di questa parola.
Siamo infatti talmente abituati a usare i ricordi, prossimi e lontani, che non stiamo più che tanto a pensarci su. Eppure, sono fatti psichici importanti ma anche stranissimi, se solo li osserviamo. E la ricerca psicologica (e quella psicoanalitica in particolare) ne ha scoperto man mano la complessità, peraltro in precedenza messa ben in evidenza dalla letteratura e dalla filosofia. Ricordate? Da’ be’ rami scendea / (dolce ne la memoria) / una pioggia di fior’ sovra ’l suo grembo cantava Petrarca, appunto ricordando la visione di Laura sulla riva delle chiare, fresche et dolci acque ma pensando alla propria morte. Per dire che i ricordi servono a rappresentare e riprovare i sentimenti e, contemporaneamente, i loro opposti.
Nell’occasione del giorno del ricordo non vale forse la pena soffermarsi sull’uso che possiamo fare di questa produzione psichica? E, prima ancora, come avviene il collegamento tra ricordi e sentimenti? Avviene, diciamolo subito, in modo assolutamente soggettivo, sicché la stessa situazione ricordata si accompagna in ciascuno di noi a sentimenti molto diversi.
Proprio perciò, benché ovviamente ogni ricostruzione storica sia la benvenuta, la questione del ricordo – quello vero, intessuto di emozioni e sentimenti – ha bisogno dell’opera di scrittori e letterati. E il tema dell’Istria e della Dalmazia, di cos’erano e cosa sono, di Trieste che a queste terre è legata ma anche no, è ancora e penso sarà sempre affidato alle costruzioni (badate: non le ri-costruzioni ma proprio le costruzioni nuove, diverse da quelle stereotipe) di scrittori capaci di farci sperimentare la complessità ma anche la dolorosità e l’ambiguità della questione istro-dalmata. Perciò segnalo due libri, uno appena uscito (Alma di Federica Manzon, Feltrinelli ed., 266 pagine, 18€ ) ed uno del 2020 (L’ultima testimone di Cristina Gregorin, Garzanti ed., 317 pagine, 17€). Si tratta di due romanzi scritti entrambi da scrittrici e, perdipiù, di due romanzi che trattano il tema del ritorno delle protagoniste a Trieste (una da Milano, l’altra da Roma), un ritorno breve, difficile, complicato, che provoca un ripensamento intessuto appunto di ricordi e che, cosa ancora più interessante, trattano la questione del ritorno ma arrestando le protagoniste prima del confine. Ripenserà, ciascuna delle due, alle guerre, a Tito e al suo tramonto, alla lotta partigiana, e poi Alma affronterà anche la guerra che distrugge la Jugoslavia e, infine, le vicissitudini del padre, serbo-non-serbo, sposato alla figlia di un illustre germanista triestino, italiano di grande cultura mitteleuropea.
Entrambe queste scrittrici ci fanno partecipare alla vita quotidiana delle seconde generazioni dei gruppi originari dei territori divenuti jugoslavi. Sì, ci sono anche riferimenti ad avvenimenti storici della seconda guerra mondiale e degli anni seguenti e a volte – soprattutto nel racconto di Alma – di avvenimenti terribili accaduti con lo smembramento della Jugoslavia, ma a mio avviso la capacità delle due scrittrici è proprio quella di mettere in primo piano la complessità della vita quotidiana e delle vicende psicologiche delle protagoniste, il rischio che questa complessità ha di cancellare un po’ alla volta le esperienze che pure sono state fatte e il costo emotivo, umano, culturale, del recupero del senso di quelle esperienze. Se ne ha un quadro diversissimo da quello degli stereotipi propri dei nostalgici (di destra o di sinistra che siano), a partire dalla mescolanza delle lingue, dall’uso di termini quotidiani legati alla cucina o alle abitudini di rapporto tra le persone. E questo quadro ha un colore di fondo dato dal silenzio. Il silenzio dei protagonisti della prima generazione, degli esuli, dei partigiani, dei ‘titini’, silenzio che dura per decenni ma che chiede, alla fine della loro esistenza, di essere rotto anche se questa frattura può provocare dolore. È interessante che, in entrambe queste storie, prima della morte due personaggi (maschi) sentano il bisogno di svelare dei segreti a due donne (Francesca e Alma). In entrambe queste situazioni, lo svelamento obbliga a rileggere la propria storia conosciuta, a complicarla, a trasformarla in una profonda lezione di vita.
Penso che, se il giorno del ricordo potesse servire a renderci conto della difficoltà ma anche della ricchezza che la rielaborazione della storia può comportare, la questione dei ricordi possibili, del loro significato, del carico emotivo che tuttora possono consentire di esprimere, delle contraddizioni e dei conflitti che i ricordi permettono di vedere chiaramente, questa occasione potrebbe diventare una grande occasione civile. Ma non è detto che ciò sia possibile, inutile illudersi. Proprio perciò, dobbiamo essere grati agli scrittori che ci invitano e quasi obbligano a ri-ricordare.
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