Quando si pensa alla cultura pop italiana a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, specie per le giovani generazioni che quell’epoca non l’hanno vissuta, i primi riferimenti che vengono in mente sono quelli della “Milano da bere”, di Italia Novanta, Tangentopoli, Mediaset, della discesa in campo di Silvio Berlusconi, della Rai di Pippo Baudo, degli ultimi sussulti del grande cinema italiano, degli 883 e del Festivalbar. Quasi nessuno, forse per ignoranza, forse per vergogna, citerà le grandi dive del porno italiano. Eppure, piaccia o non piaccia, quella pornografica è stata un’industria fondamentale nel panorama culturale e del costume di fine secolo.
Gli anni dell’edonismo e della rivoluzione sessuale, oltre alla maggior possibilità di distribuzione e commercializzazione dei film porno, grazie alla diffusione delle videocassette, portarono ad emergere, anche nel dibattito pubblico, figure come Ilona Staller, la famosa Cicciolina, e Moana Pozzi, diventate parte integrante dell’immaginario collettivo grazie soprattutto all’esperienza politica del Partito dell’amore.
Pornostar, questa la parola che identificava le dive del cinema proibito. Delle vere e proprie stelle L’inventore di questo concetto è stato Riccardo Schicchi, il re del porno, il più importante manager, produttore e regista dell’industria erotica italiana. È proprio alla storia di Schicchi e della sua agenzia, Diva Futura, che la regista e attrice Giulia Steigerwalt dedica il suo secondo film dietro la macchina da presa.
“Diva Futura”, prodotto da Groenlandia e in concorso all’ottantunesima Mostra del cinema di Venezia, si dimostra, sotto molti aspetti, una vera e propria boccata d’aria fresca, specie se rapportata al mercato cinematografico italiano degli ultimi anni.
La regia solidissima di Steigerwalt, a tratti scorsesiana e nella quale si intravede l’influenza stilistica dei recenti successi di Groenlandia, primo fra tutti “Mixed by Erry” di Sydney Sibilia del 2023, ci catapulta in un vero e proprio film corale. A livello teorico la protagonista è Debora Attanasio (autrice dell’autobiografia “Non dite alla mamma che faccio la segretaria” da cui è stato tratto il film), una giovane studentessa alla disperata ricerca di un lavoro nella Roma a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, la quale si ritrova a lavorare come segretaria per l’agenzia Diva Futura di Riccardo Schicchi, interpretato da uno straordinario Pietro Castellitto, forse nel miglior ruolo della sua carriera. È proprio attraverso gli occhi di Debora che si seguiranno i retroscena della storia di Diva Futura e di oltre vent’anni di porno e costume italiano.
Il film è in realtà un mosaico collettivo di ritratti, vite e storie, più o meno drammatiche, di diversi protagonisti. Riccardo Schicchi, Ilona Staller, Moana Pozzi e, soprattutto, Eva Henger, il cui rapporto sentimentale con Schicchi diventa il filo conduttore dell’intera opera, non sono solo personaggi secondari, utili a fare da sfondo alla narrazione di Debora, bensì sono le loro biografie e i loro conflitti interiori a costituire la vera struttura portante dell’opera, non seguendo un andamento cronologico dei fatti e lasciando ad ogni personaggio il giusto spazio per svilupparsi e permettere allo spettatore di empatizzare con la loro condizione di oppressione.
Sebbene l’opera possa apparire lontana dai canoni tradizionali del cinema italiano, presentando una narrazione di genere, estremamente dinamica ed energica, vicina a quello “stile americanizzato” emerso dalle produzioni Netflix degli ultimi anni, il film diventa in realtà, grazie all’enorme attenzione per i dettagli e al riuso creativo del materiale d’archivio, una ricostruzione perfetta dell’Italia degli anni Novanta, in grado di immergerci pienamente nelle atmosfere del tempo.
La ricetta del film funziona alla grande. Un’opera drammatica ma dal tono estremamente pop e ironico, in grado allo stesso tempo di divertire, emozionare e far riflettere lo spettatore, senza banalizzare in alcun modo le storie personali e i conflitti delle protagoniste. Una “tragedia” che si dimostra tra i film più divertenti degli ultimi anni. Un ossimoro, come, in fondo, lo sono le storie dei personaggi, perennemente in bilico tra amore e odio, ricchezza e povertà, libertà e oppressione, controllo del proprio corpo e mercificazione. Un mondo di donne forti schiacciate da un’industria patriarcale di cui anche un personaggio simpatico e bizzarro come Schicchi ne è in realtà un pieno rappresentante.
“Diva Futura” è questo, un’opera corale che nel racconto di un mondo così sopra le righe, lontano e, almeno in questa forma produttiva, ormai quasi del tutto scomparso, ci parla di noi, del nostro presente, dei nostri tabù e dei nostri desideri. Come ricorda Moana Pozzi nel film, rompendo la quarta parete e rivolgendosi direttamente al pubblico: «noi esistiamo perché voi ci volete».
Risate, pianti e applausi calorosi, questa è stata la reazione in sala degli spettatori di Venezia ottantuno. Una ricezione del film che non è stata certamente replicata dalla critica specializzata, sia nazionale sia internazionale, che ha invece recensito molto duramente la pellicola. Forse certi tabù non sono ancora stati superati.
“Diva Futura” è atteso nelle sale per il 2025, con probabile distribuzione a seguire su Netflix, tra i produttori del film. È ancora presto per capire quale sarà il suo impatto sul botteghino e sul grande pubblico, ciò che conta è che siamo di fronte ad un film eccellente. Forse l’unico, tra i film italiani in gara a Venezia in questa edizione, in grado di dimostrare la vitalità e il desiderio di innovazione del nuovo cinema italiano.
Immagine di copertina: Pietro Castellitto interpreta Riccardo Schicchi in “Diva Futura”.
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