Negli ultimi mesi, la cittadinanza italiana è tornata al centro del dibattito, grazie al referendum che chiede di ridurre da dieci a cinque gli anni di residenza per ottenerla.
Attualmente, oltre al periodo di residenza legale (di cui si propone la riduzione), è necessario soddisfare una serie di altri requisiti, che rimarrebbero inalterati anche in caso di approvazione della riforma. Questi includono l’assenza di condanne penali, il possesso di un reddito minimo, il superamento di un esame di lingua italiana e l’adesione ai valori costituzionali.
La proposta di referendum non intende indebolire il processo, bensì renderlo più accessibile per chi dimostra di voler essere parte integrante della nostra comunità.
Questo passo storico ci costringe a guardare oltre le leggi attuali, a immaginare un Paese che non erige muri burocratici, ma che riconosce, include e unisce.
Come consigliera comunale, sento il dovere di aprire una discussione profonda su tre cambiamenti cruciali: ridurre gli anni di residenza necessari, introdurre lo ius soli per i bambini nati in Italia e lo ius scholae per chi ha vissuto e studiato qui. Questi temi non riguardano solo norme, ma la nostra visione di comunità, di giustizia, di futuro.
Dieci anni sono troppi. Per chi ha scelto l’Italia come casa, che qui lavora, cresce i propri figli e contribuisce ogni giorno al nostro benessere, ridurre questo limite a cinque anni non è solo una riforma, è un atto di giustizia. Riconoscere chi è già parte della nostra comunità significa abbattere barriere, dire chiaramente: “Se fai parte di noi, allora sei uno di noi”. In Italia, si stima che circa 2,5 milioni di persone, inclusi i figli minori conviventi, potrebbero beneficiare di questa riforma. Non si tratta solo di rendere più snello l’iter burocratico, ma di garantire equità.
Non possiamo più permettere che milioni di persone restino in un limbo, prive di diritti, invisibili.
Ogni anno migliaia di bambini nascono in Italia, parlano la nostra lingua, sognano il nostro Paese. Eppure, nonostante siano italiani in tutto tranne che sulla carta, non sono riconosciuti come cittadini. È una ferita. Negare loro questo diritto significa ignorare una realtà evidente: questi bambini sono già italiani. Lo ius soli non è solo una riforma, è la giusta ricompensa per chi ha il cuore e la vita già radicati qui. Non possiamo permettere che generazioni di giovani crescano sentendosi stranieri in quella che è l’unica casa che conoscono.
Chi cresce nelle nostre scuole, studia con i nostri figli, condivide le stesse esperienze, sogni, speranze, è già parte di noi. Lo ius scholae rappresenta una via per dire a questi ragazzi: “Siete il futuro dell’Italia”. Non possiamo più ignorare il loro contributo, la loro appartenenza. Negare loro la cittadinanza è un tradimento del principio democratico che dice che chi condivide il nostro percorso ha diritto di appartenere alla nostra comunità.
Come consigliera comunale, credo che la cittadinanza non debba essere un privilegio per pochi, ma un diritto per chi ogni giorno dimostra di voler essere parte di questa nazione. È una questione di dignità, di riconoscimento, di giustizia. L’Italia non può rimanere indietro. Non possiamo costruire un futuro su divisioni e esclusioni, ma solo su inclusione e partecipazione.
Il referendum non è solo una modifica tecnica: è una dichiarazione d’intenti, un atto di coraggio. È il momento di smettere di avere paura del cambiamento e di aprire le porte a chi ha già dimostrato di amare questo Paese. Perché l’Italia del futuro sarà quella che sa accogliere, che sa riconoscere e che non teme di abbracciare chiunque la chiami casa.
È nostro dovere, come rappresentanti pubblici, sostenere con forza queste riforme. Per un’Italia più giusta, più accogliente, più consapevole del suo futuro. Non è più il tempo dell’attesa. È il tempo dell’azione, della visione, del coraggio di creare una società dove la cittadinanza non sia un traguardo impossibile, ma il riconoscimento di una vita condivisa. È il momento di fare dell’inclusione la vera forza di un Paese che guarda avanti.
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