Ciò che sta emergendo dalle indagini sulle curve di alcune delle principali società calcistiche italiane, a cominciare da Inter e Milan, è inquietante. Ci preoccupa, infatti, il grumo di interessi sporchi che ruota intorno a uno sport che, ormai da tempo, non è più tale. Cattiva politica, organizzazioni criminali, furfanteria comune, vippaglia variamente assortita, affaristi pronti a tutto e autentici predoni costituiscono, ahinoi, i frequentatori abituali di un ambiente che dovrebbe essere, invece, appannaggio di persone appassionate e famiglie desiderose di divertirsi e immergersi in quell’attività chiamata tifo che, se esercitata sanamente, ha persino un valore sociale. Non è più così. Sono decenni che intorno al mondo del calcio ruota il peggio del peggio, in nome di un vorticoso giro di soldi, di un senso di impunità e di onnipotenza, di un’autentica orgia del potere che non risparmia alcun settore e della decadenza complessiva di una società senza valori, senza ideali e senza alcun punto di riferimento.
Non invochiamo i metodi della Thatcher, che ebbe il merito di contrastare il fenomeno degli hooligans in seguito alle tragedie dell’Heysel e di Sheffield ma ispirandosi a un modello sociale che non è e non sarà mai il nostro. Non crediamo, difatti, che la disuguaglianza e la cristallizzazione dell’ingiustizia possano rendere migliore il nostro stare insieme. Fatto sta che non ci si può continuare a voltare dall’altra parte. E, spiace dirlo, l’informazione non sta compiendo fino in fondo il suo dovere.
Troppa sottovalutazione, per non dire di peggio, troppi articoli privi di dettagli, troppe ricostruzioni affrettate, una non comprensione, non sappiamo quanto in buona fede, di una piaga che investe ampi settori della società e, quel che è peggio, la sensazione diffusa che si possa andare avanti così. Attenzione: la presenza di zone franche, senza Stato né legge, senza controlli e nelle quali viene consentito ciò che legale non è, conduce la comunità nel baratro, indebolendo non solo i sani principî della convivenza civile ma anche la necessaria lotta contro tutti i fenomeni malavitosi. Non prendere atto che il mondo del calcio è diventato un catalizzatore di interessi meschini significa negare l’evidenza. Restare inerti significa far fuggire definitivamente dagli spalti coloro che ancora vi si recano per assistere a uno spettacolo. Non contrastare una miscela di malvagità, brama di appalti, ritorsioni, violenze e autentiche rappresaglie significa condannare il Paese a vivere nel terrore, con lo Stato che alza bandiera bianca al cospetto della criminalità organizzata. E, sinceramente, vedere campioni e dirigenti di primissimo piano in balia di determinati soggetti ci induce a riflettere. Su chi siano veramente, sul punto a cui siamo arrivati, sul disastro etico nel quale siamo sprofondati.
Forse è tardi per salvare un gioco che, come detto, non è più tale da almeno trent’anni, ma la dignità, a quella non si può abdicare, pena la dissoluzione dell’Italia.
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