Il nuovo Ministro della Cultura Alessandro Giuli è intervenuto alla Commissione della Camera che proprio della Cultura tratta.
E lo ha fatto con un intervento lungo, a tratti forse un po’ noioso, di certo privo di quella retorica che da sempre pare necessaria per farsi capire e soprattutto ascoltare.
Ma il Ministro non si è voluto aiutare.
Sembrava quasi sottovalutare l’accoglienza alle sue dichiarazioni.
O forse no?
Prendiamone un brano.
Di fronte a questo cambiamento di paradigma, la quarta rivoluzione epocale della storia, delineante un’ontologia intonata alla rivoluzione permanente dell’infosfera globale, il rischio che si corre è duplice e speculare: l’entusiasmo passivo che rimuove i pericoli dell’ipertecnologicizzazione e, per converso, l’apocalittismo difensivo che rimpiange un’immagine del mondo trascorsa, impugnando un’ideologia della crisi che si percepisce come processo alla tecnica e al futuro (video completo del discorso)
Il Ministro secondo me appariva soddisfatto – si guardi per esserne convinti al suo continuo, affilato e lieve sorriso – perché aveva altri intendimenti.
Perché?
Guardiamo ai suoi interlocutori.
Da una parte c’è il “popolo” che vedrà il suo intervento raccontato dai media e che certo penserà che questi intellettuali sono tutti uguali: vivono in un mondo di folletti e per di più, come si suol dire, “parlano arabo”.
Ma…
Una cosa non farà il popolo.
Non lo collegherà al suo infelice predecessore che fu strappato al suo destino da un amore improvvido e sfortunato.
Non male come primo passo, pedante ma utile per il futuro.
Dall’altra parte c’è il Parlamento e i membri della Commissione.
Cosa di più bello che portare il dibattito sulle difficoltà linguistiche, sulla possibile mancanza di cultura, sull’ignoranza e sull’incomprensione che corre nei rami del Parlamento?
E infatti su questo oggi si discute e non sul merito della politica culturale.
Ricordiamoci che il ministro Sangiuliano non si può dire fosse passato alla storia per grandi iniziative, scelte di cambiamento o leggi nel “suo” periodo di presenza.
Furbamente quindi meglio indirizzare, per il nuovo Ministro, l’attenzione su altro, più lontano dalla realtà, più filosofeggiante e quindi meno dannoso.
E questo diveniva il secondo obiettivo.
Il terzo è già più noto: strappare l’egemonia culturale alla sinistra.
Ma la destra fa fatica da sola.
Ha pochi personaggi e una storia relativa. Allora ci si aiuta.
Pasolini e Gramsci sono solo le due prime importanti “esche” lanciate al mare della comunicazione.
L’aveva già fatto con le riflessioni su Gramsci, ora allarga il tiro.
Il merito delle considerazioni?
Ma che importa?
A che serve?
Basta la citazione, si fa sempre poca fatica a trovare deliziosi ricamatori di avventure che sapranno dare un senso e svelare un significato nascosto che il Ministro ha trovato ri-analizzando le icone della sinistra.
Ma questo terzo e noto obiettivo ne cela un altro assai divertente: il linguaggio.
Sceglie infatti Giuli di togliersi un po’ di sassolini dalle scarpe facendo il verso ad alcuni intellettuali di sinistra e giocando sul loro modo di esprimersi: complicato e difficile.
E ci prova riuscendoci benissimo e ricavando espressioni ricercate e complesse di uso affatto non comune.
Lo immagino soddisfatto alla fine che guarda gli astanti e capisce che molti non hanno forse capito.
Risultato ottenuto.
Per questo il dibattito sull’intellettuale Giuli e non sul Ministro Giuli mi è parso poco utile e incisivo.
Intervento il suo certo difficile e forse anche irriguardoso perché costruito per non farsi comprendere.
Non era infatti così difficile dare nomi riconoscibili alle tendenze culturali in atto in questo inizio di secolo.
E invece sceglie, il Ministro, di non farlo, quasi si cela proprio nel linguaggio.
E allora probabilmente il suo intervento era fatto per altro: per creare distanza dal passato, per non affrontare le debolezze governative sulla cultura e poi certo per insistere nella ricerca di impadronirsi di qualche padre nobile della sinistra.
Tutt’altro che sprovveduto, quindi.
Il tutto prendendo poi un po’ in giro i sapienti di turno e dicendo “visto che facile è imitarvi?”
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