Raramente nel nostro Paese una miniserie televisiva prodotta in Italia, basata su un best-seller tutto italiano, il quale pone al centro alcune delle vicende più controverse della nostra recente storia nazionale, è stata in grado di creare attorno a sé un’attesa così spasmodica come “M. – Il figlio del secolo”, la nuova serie di punta di Sky per il 2025. Un hype che sembra non avere nulla da invidiare agli annunci delle grandi produzioni d’oltre oceano, confermato la sera del 9 gennaio dallo spot trasmesso a reti unificate. Un esperimento inedito nel panorama produttivo e del marketing televisivo italiano.
La serie ripercorre dettagliatamente l’ascesa al potere di Benito Mussolini, dalla fondazione a Milano dei Fasci di combattimento nel 1919 all’instaurazione del regime con il discorso al parlamento del 3 gennaio 1925, di cui è da pochi giorni ricorso il centesimo anniversario. Nel mezzo il racconto di quei sei anni di violenza, macchinazioni e tradimenti. Un’Italia in balia dello squadrismo e di una classe politica incapace di reagire. Per dirla come Antonio Gramsci, una fotografia di un vecchio mondo ormai allo sfacelo e di un nuovo mondo incapace di nascere. Il momento in cui si generano i mostri.
L’anteprima a Venezia di “M.”, durante l’ottantunesima Mostra del cinema, ha lasciato entusiasti pubblico e critica. I commenti prevalenti all’uscita dalle sale, quasi sempre piene per la proiezione delle due parti da circa quattro ore e mezza l’una, erano prevalentemente di due tipi. Da un lato il fatto che, nonostante la lunghezza complessiva, la visione della serie risultasse avvincente e godibilissima, dall’altro la sorpresa, specie da parte del pubblico italiano, per la qualità effettiva del prodotto.
“M.” appare come un ossimoro. Una serie tv che sembra essere stata pensata per il cinema, diventando, per molti aspetti, l’opera audiovisiva migliore presentata nel corso dell’ultima Mostra del cinema. Per chi ha avuto la fortuna di vederla a Venezia appare indubbio che “M.” dia il meglio di sé proprio sul grande schermo, in cui si manifesta pienamente tutta la sua potenza autoriale e la forza dei suoi attori, primo su tutti ovviamente Luca Marinelli nel difficile ruolo di Benito Mussolini.
È proprio Marinelli a regalare un’interpretazione a dir poco unica e coraggiosa nel panorama televisivo italiano. Il suo è un Mussolini ambizioso, machiavellico, assetato di potere, doppiogiochista, opportunista, cialtrone ma per nulla buffo, macchiettistico o stereotipato. Anche nei numerosi momenti in cui il dramma storico lascia spazio alla commedia nera, il suo rimane un personaggio pericolosamente carismatico, intelligente, per molti aspetti fortunato, per altri estremamente lucido nella lettura del proprio momento storico, riuscendo a trovarsi sempre nel posto giusto al momento giusto.
M. è un personaggio dai tratti talvolta ridicoli, un dongiovanni, un uomo sempre pronto a cambiare posizione per opportunismo politico, senza quella rigidità dogmatica e ideologica che la storia ha associato al personaggio. Come dicevano i socialisti del tempo, dal cui partito Mussolini era stato cacciato per le sue posizioni belliciste, “chi ha tradito tradirà”. Tuttavia, Mussolini è anche un animale politico dotato di grandissimo istinto, in grado di circondarsi, a seconda dell’evenienza, sia di intellettuali e abili collaboratori politici, come il giornalista e futuro organizzatore della prima polizia segreta fascista Cesare Rossi, interpretato magistralmente da Francesco Russo, sia di spietati pregiudicati e picchiatori di strada come Amerigo Dumini (Federico Majorana) e Albino Volpi (Federico Mainardi). Una serie che, tra le altre cose, ha il merito di ricordare anche il reale peso nello squadrismo di Italo Balbo (Lorenzo Zurzolo), ai tempi giovanissimo promotore della “violenza rivoluzionaria” fascista e al giorno d’oggi troppo spesso rivalutato positivamente dall’opinione pubblica come oppositore interno al regime.
L’ombra di M.
Quello di Luca Marinelli è un Mussolini in grado di trascinare lo spettatore in quel vortice di amore e odio, fascino e terrore, spietatezza e istinto da animale politico che ha portato milioni di italiani, specie quelli appartenenti ad una borghesia preoccupata della possibile perdita dei propri privilegi, a credere più o meno convintamente nel fascismo, prima di svegliarsi dal “sogno”, divenuto ben presto incubo, del regime. Un fatto storico con cui dobbiamo necessariamente fare i conti.
Banalizzare la figura di Mussolini, considerandolo esclusivamente come un buffone, un’arrivista e un politico senza qualità, rischia non solo di falsare la realtà storica, non rendendo comprensibile il fenomeno del fascismo, ma anche di trasporre quel senso di superiorità e l’incapacità di reagire, tipici del ceto liberale italiano del tempo, in questa fase storica di ascesa dell’estrema destra internazionale. Certo, Karl Marx diceva che la storia si ripete sempre due volte, una come tragedia e una come farsa, e prendere con serietà figure come Trump, Meloni, Milei o Orbán può risultare difficile, ma è lì che sta il vero pericolo.
È Mussolini stesso ad aprire la serie con una riflessione esplosiva sulla nostra memoria collettiva. “Voi mi avete ucciso, appeso a testa in giù, attaccato il mio cadavere, perché mi amavate troppo”. Come degli amanti traditi o dei figli in lotta con il padre. Parole che pesano come un macigno in questo periodo di revisionismo e cancellazione o, meglio, trasformazione, della memoria del nostro Novecento.
Si badi bene, non si tratta di un’apologia o di un attacco a chi sin dal primo minuto, anche nei duri anni dello squadrismo e della nascita del regime, si è opposto con coraggio alla barbarie fascista, pagando spesso con la propria vita il prezzo della lotta, come nel caso di Giacomo Matteotti (nella serie interpretato da Gaetano Bruno). Lo stesso Marinelli, da convinto antifascista, ha messo sempre in mostra la difficoltà personale nel dare voce e corpo a questa dolorosa interpretazione, evidenziando tuttavia la necessità di raccontare al meglio la figura di Mussolini, mostrandone così la vera pericolosità. Come ha dichiarato l’attore in un’intervista pubblicata su Repubblica:
“M.” è un atto politico, come lo è tutta l’arte ad alto livello. Sono orgoglioso di farne parte. Mi sono preso la responsabilità di non stare in silenzio e di lottare contro il fascismo.
È qui che sta l’attualità di “M. – Il figlio del secolo”. Non nella figura storicamente unica di Mussolini, non nelle forme di violenza esplicite assunte dal fascismo un secolo fa, ma nel nostro rapporto con quel modo di fare politica. È il pubblico che guardando la serie si confronta con il nostro tempo, con la nostra natura umana, con la fragilità della democrazia. Come ricordato nella serie:
C’è sempre un tempo in cui i popoli smarriti vanno verso le idee semplici. La sapiente brutalità degli uomini forti.
Quello del pubblico con Mussolini è un confronto continuo e diretto, alimentato dalle numerose rotture della quarta parete che rendono lo spettatore protagonista e interprete della storia. M. ci parla, ci chiede di seguirlo, tenta di farci empatizzare con la sua scalata politica, con le sue idee, con la sua visione del mondo, ma è proprio in questi momenti di “dialogo” con Mussolini che il pubblico se ne distacca, scoprendone la vera natura e gli inganni del suo populismo.
Una regia “futurista”
Sebbene la produzione sia interamente italiana, ci voleva uno straniero per raccontare senza filtri e ipocrisie la vera storia di “M. – Il figlio del secolo”. È stato l’inglese Joe Wright a prendere in mano le redini di questo ambizioso progetto. Regista cinematografico di fama internazionale, noto ai più per “Orgoglio e pregiudizio” (2005), “Espiazione” (2007), “Anna Karenina” (2012) e “L’ora più buia” (2017), candidato a sei premi oscar, tra cui quello vinto da Gary Oldman per la migliore interpretazione, Wright abbandona l’eleganza e ricercatezza tipici del suo cinema per raccontarci un’Italia degli anni Venti sporca, cupa, violenta, persino grottesca. A fare da scenario alla gestazione del fascismo è una Milano quasi gotica. Un’atmosfera surreale a cui si contrappone la realtà delle campagne, nelle quali la crudeltà della violenza fascista esplode in scena in maniera dirompente, diretta, realistica, senza filtri.
Poche volte si ha avuto in Italia il coraggio di raccontare in maniera così cruda il fenomeno dello squadrismo, in grado di far realmente torcere lo stomaco allo spettatore. È proprio questo però a fungere da vero spartiacque tra gli spettatori e M. Qui viene meno ogni possibile fascinazione o empatia e la realtà brutale del fascismo viene mostrata per quella che è: sopraffazione, oppressione, tirannia. Un ordine basato sul sangue e sulla morte, come ben richiamato dalla stessa simbologia fascista. Un nuovo ordine per l’Italia che, tuttavia, oggi come ieri non a tutti sembra far ribrezzo, specie se a giovarne è una borghesia di privilegiati, mentre a farne le spese sono i “rossi” e i morti di fame.
Quella di Wright è una regia autoriale, “futurista”, che nelle parole dello stesso regista tenta di far incontrare “L’uomo con la macchina da presa” di Dziga Vertov con l’originale “Scarface” di Howard Hawks. Non il solito dramma storico, tipico degli sceneggiati televisivi italiani, ma uno stile moderno, dal gusto internazionale, scanzonato e irriverente, in grado di alternare continuamente, con grande maestria, commedia e tragedia.
A fare da sottofondo alla serie sono state scelte le musiche techno dei The Chemical Brothers che, sebbene apparentemente mal si sposino con l’ambientazione proposta, contribuiscono enormemente non solo ad aumentare l’idea straniante dello stile futurista, ma anche ad alimentare l’ossimoro che sta alla base di “M. – Il figlio del secolo”.
Una tragedia comica, un Mussolini allo stesso tempo ridicolo e terrificante, una serie televisiva dallo stile cinematografico, una produzione italiana dal respiro internazionale, un dramma storico di profonda attualità, ma, soprattutto, una riflessione su Mussolini che appare quasi al contrario, in cui sono gli stessi antifascisti a tentare di presentare la reale natura umana, consapevolezza e forza politica di M. per poterci così mettere all’erta sui pericoli del nostro tempo e sull’importanza fondamentale della quotidiana lotta per preservare la democrazia.
Come ci ricorda lo stesso Mussolini nella miniserie:
La democrazia è bellissima perché ti dà un sacco di libertà, anche quella di distruggerla.
Immagine di copertina: Luca Marinelli nel ruolo di Benito Mussolini in “M. – Il figlio del secolo”.
L’articolo “M. – Il mostro del secolo” proviene da ytali..