
Torna al Malibran, il veneziano Ezio Toffolutti. Fu lui, con Benno Besson, a riaprire la programmazione dello storico teatro nei pressi di Rialto, nel 2001, dopo una lunga chiusura che sembrava averne decretato la fine definitiva. I due brechtiani, un lungo soldalizio a Berlino, misero in scena L’amore delle tre melarance di Carlo Gozzi. Besson coregista, Toffolutti coregista e scenografo.
Adesso sono tornato e mi fa una gran piacere. Mi sento a casa.
Il regista e scenografo porta in scena Der Protagonist, opera di esordio di un giovanissimo Kurt Weill, nel 1926. Una Literaturoper, vale a dire un’opera il cui testo verbale coincide, totalmente o quasi, con la corrispondente fonte letteraria: in questo caso l’omonima pièce teatrale di Georg Kaiser pubblicata nel 1920.
“Sono contento di metterlo in scena a Venezia. Da quel che so che in Italia è stato dato rare volte, credo alla radio. Di certo è un’opera poco nota in Italia, come pure in Germania. È un regalo che mi ha fatto Fortunato (Ortombina, ex sovrintendente della Fenice, attualmente della Scala), fortunato a farmi felice con questo regalo. Una bella sorpresa, avermelo proposto.
Ho una gran simpatia per Weill. Ero alla festa del suo anniversario proprio nella novantesima ricorrenza della prima dell’Opera da tre soldi nella sua città Natale, Dessau, dove ogni anno si tiene il Kurt Weill Festival. Tengo molto all’Opera da tre soldi, e ho piacere di citarla, anche qui. È da vedere. È da apprezzare il lavoro eccezionale che ha fatto Weill con Brecht. È un’opera aperta, merita di essere riproposta sempre, perché insegna ai protagonisti il proprio ruolo in scena. È un meccanismo teatrale unico, è una pièce didattica.
Quindi hai già hai già messo in scena un’opera di Kurt Weill – che era sua e di Brecht – L’opera da tre soldi, nel 2018. Con Der Protagonist riprendi in mano Kurt Weill. Cosa hai scoperto di nuovo di lui?
Scopri nuove cose ogni volta che lo senti. La musica è talmente vitale che lo rivivi ogni volta con piacere. Vamente eccezionale. Weill ammirava molto Mozart. Ammirava anche il suo maestro Busoni, che, non va dimenticato, fu molto vicino a Weill e, alla sua morte, soffrì molto. Lui e Kaiser erano grandi amici, ci tengo a sottolinearlo: per me è fondamentale il rapporto di amicizia e di stima tra collaboratori, così come il gioco. Sia Busoni sia Weill trovavano Il flauto magico un’opera eccezionale, “teatrale”, dicevano, come qualsiasi cosa facesse Mozart. Weill e Kaiser avevano iniziato a collaborare alla realizzazione di pantomime, ma dopo un po’ decisero di riprendere il testo che Kaiser aveva pubblicato nel 1920, Der Protagonist. Tranne pochi cambiamenti, il testo è rimasto invariato. Kaiser voleva sette musicisti in scena, Weill ne ha messo uno in più. La struttura rimane la stessa, sono state modificate solamente poche frasi. Questo conferma la bravura di Kaiser, uno dei più rappresentati scrittori teatrali del suo periodo (purtroppo non in Italia).
Mi ero già occupato di Weill. La presenza di Weill nella DDR era molto sentita, anche se lui, dopo essere stato in esilio durante il nazismo, non volle tornare in Germania. Altri, come Brecht, lo fecero.
Quando insegnavo scenografia all’Accademia di Belle Arti a Venezia, proponevo ai miei studenti una pratica teatrale fisica. Volevo che imparassero come creare costumi e come costruire spazi scenografici. Naturalmente ho proposto alcuni drammi didattici di Brecht. Tra questi, Il volo oceanico, con la musica di Kurt Weill. Curioso è che una dei miei assistenti era Annamaria Cattaneo, che ora è mia assistente di regia per la messinscena di Der Protagonist al Teatro Malibran. Allora Annamaria Cattaneo, musicista, nella rappresentazione suonava, partecipava. Si può dire, dunque, che abbiamo realizzato un “pre-Weill” anche al corso di Arti Visive all’Accademia di Belle Arti.
Ricordo volentieri quel periodo. Per Il volo oceanico chiesi agli studenti di realizzare l’aeroplano e Alberto, uno dei più dotati, anche con talento pratico, mi domandò: “Un modellino?” – “No”, gli risposi, “uno a uno”. Fecero l’aereo uno a uno con una tela di recupero, una meraviglia di patchwork, veramente molto bello. Poi portammo l’aereo nel cortile delle Terese.
Perché per te il teatro dell’Espressionismo è stato particolarmente importante?
Rappresenta l’avanguardia storica. Si sviluppa all’epoca prima della Prima guerra mondiale, all’epoca della belle époque, quando la moda femminile cambia. Le donne smettono di indossare il bustino, una liberazione fisica. Vi è interesse per tutte le altre arti, un fermento di talenti enormi, di artisti insuperabili. Ho avuto la fortuna di conoscere molto di tutto questo attraverso la Peggy Guggenheim Collection, negli anni del liceo e dell’Accademia. Il mercoledì pomeriggio si poteva entrare gratis nella Guggenheim, è lì che ho conosciuto i quadri, le opere di Marx Ernst e di Herman Schwitters, il maestro di collage.
C’era anche una contaminazione tra varie esperienze, tra diverse culture.
È il piacere della curiosità, della scoperta. Oggi manca la curiosità e la voglia, il piacere, di dare, di scoprire e di mettersi e di mettersi in gioco.
Der Protagonist è la prima opera di Kurt Weill. Quando fu messa in scena ebbe un successo enorme. Weill stesso lo scrisse in una lettera ai genitori. “In una notte”, scrive, “sono diventato star mondiale”[*]. La sua era una cultura incredibilmente vasta, che si combinava con la capacità teatrale e l’alimentava. E poi la scuola di Busoni, se ne sente tutta l’influenza, quindi la sua era una cultura europea, non solo tedesca. È un grande artista, e un grande artista rinnova il suo mondo e si apre. E poi c’è stato la naturalmente il lavoro con Brecht in quattro o cinque produzioni.
Nei tuoi lavori, lo stile cambia a seconda di quello che metti in scena?
Noi abbiamo dei limiti fisici. Che sono le nostre dimensioni. Con la curiosità cerchiamo di aprire il più possibile, pur rimanendo sempre autobiografici, volenti o nolenti.
Io non ricorro ad additivi per lavorare, a parte qualche bicchiere di buon vino, di buona birra. Cerco di mettere a frutto i talenti naturali, e ce ne sono abbastanza in un corpo umano. Non siamo tanto differenti fisicamente dagli antichi e le percezioni, certe percezioni sono rimaste. Dovremmo rifletterci. Per quanto mi riguarda, gli espressionisti mi stimolavano e mi stimolano ancora. L’arte, anche l’arte antica parla, è attraverso l’arte che conosciamo la storia dell’umanità.
Quale scelta hai fatto per la messinscena di Der Protagonist?
Il teatro nel teatro è l’idea intorno a cui ruota la storia, la storia di una troupe teatrale girovaga. Kaiser, nel testo stesso, cita l’Inghilterra ai tempi di Shakespeare. In Amleto c’è il teatro nel teatro, ma anche in tante altre opere, nel Sogno di una notte di mezza estate, nel Masque della Tempesta, solo per citarne alcune. Per me non è una novità, avendo avuto il piacere di fare scenografia per Thomas Bernhardt. Un paio di volte nel Teatrante c’è una situazione simile.
Io ho ambientato l’opera non nell’Inghilterra ai tempi di Shakespeare, ma negli anni Venti, nel periodo in cui fu scritta – una contestualizzazione che mi permette di definire i personaggi. È l’epoca di Freud, della psicoanalisi, con ancora i segni traumatici della Grande guerra. Ho trovato giusto ambientarla nel periodo della creazione della pièce, anche perché ora abbiamo il giusto distacco per immergerci in quegli anni. All’inizio della pièce ho inserito, ad esempio, un riferimento ai film muti, un manifesto di Nosferatu che ho trovato a Berlino. Espedienti recitativi come questo aiutano anche i cantanti-attori a interpretare meglio i loro ruoli. Diventano più concreti, riescono ad avere una gestualità che crea curiosità sul personaggio. Adesso che siamo assuefatti alla comunicazione ripetitiva della televisione, trovo che il teatro, oggi più che mai, sia necessario. Per rinfrescarci, per avere il piacere di assaporare l’arte per l’arte.
Ti occupi tu stesso anche delle luci, no?
Quando penso alla scenografia penso alle luci come pittore. Per il Light design – aborro questi termini inglesi – ci può essere un tecnico, bravo, che fa le luci. In questo caso, quando faccio i modellini, studio tutto e voglio anche degli effetti particolari, quindi in questo caso firmo anche le luci. Una tradizione che risale al Rinascimento.
Tutto questo avviene in un teatro di Venezia. Venezia, città d’acqua. ti abbiamo visto vogare sulla tua sanpierota. La tua passione per il teatro sembra sposarsi perfettamente con la passione per la tua città. Sappiamo che coltivi da tempo un progetto che esalta proprio l’essenza del suo essere città d’acqua. Spesso ricordi che i primi macchinisti nel teatro erano marinai, che erano in grado di fare velocemente i cambi delle scene.
Conoscendo la storia della Serenissima, appare evidente che da quando è caduta la Serenissima, tutti i progetti che sono stati realizzati fino adesso – e si continua in quella direzione – si basano sempre sull’urbanistica austro ungarica – da quando gli austro ungarici hanno costruito la ferrovia. Si sono dimenticati, o han voluto dimenticarsi, che la grandezza della città era data dal cuore, dal polmone, che era l’Arsenale. L’Arsenale non era solamente una fabbrica. L’Arsenale ha promosso anche lo sviluppo della medicina. La medicina più progressista del mondo era fatta qui, a Venezia, doveva tutelare i propri lavoratori.
Insomma, c’è lo spazio, ci sono gli spazi giusti. Per riprendere, sull’esempio dei diritti che avevano i lavoratori dell’arsenale, a tenere viva e attiva quella parte della città. Penso a un’università del mare, dell’acqua, nautica, anche internazionale, anche unendo l’esperienza di Padova e quelle di Trieste e quelle di tutto il mondo.
Torniamo infine al teatro. Al tuo prossimo progetto.
Nel terzo centenario della nascita di Giacomo Casanova, si organizzano, si sono organizzate tante iniziative per ricordarlo. Ma non si è lasciato parlar lui. Le polemoscope, l’unico suo testo che ci perviene in lingua francese, è di Casanova. È importante metterlo in scena, per questo sto cercando produttori.
[*]Papà dovrebbe riguardarsi. Sto facendo altrettanto, ed è per questo che non andrò alla seconda rappresentazione di domani. Cosa dite della fantastica stampa? La recensione di Bie, che ho appena spedito, è secondo lui la migliore che abbia mai scritto sull’opera lirica. Anche la “Dresdner Neueste Nachrichten” di oggi (martedì) è favolosa. È a dir poco eccitante diventare una celebrità mondiale in una notte. Anche le poche critiche negative sono molto convenienti per me, perché se la stampa fosse unanimemente favorevole, le aspettative nei miei confronti aumenterebbero a dismisura. Il mio telefono non smette mai di squillare. E mi comunicano sempre lo stesso sincero entusiasmo. Chi l’avrebbe mai detto!
[Da Gunther Diehl, Der junge Kurt Weill und seine Oper “Der Protagonist”, Bärenreiter]
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