
Araba, occidentalizzata, mediterranea. Riccardo Cristiano ripercorre due secoli di storia di Beirut, soffermandosi davanti agli imperi, ai loro fallimenti, agli equivoci con l’Europa coloniale, fino all’indipendenza del Paese, al deflagrare della guerra civile e all’ingresso sulla scena di Hezbollah. Una città che nell’Ottocento ha saputo fare sua, emergendo come perla delle riforme ottomane, la sfida del vivere insieme. Ora, preceduta dalla guerra irachena del 2003 e da quella siriana del 2011, la guerra in Libano ha finito con l’unire territori da secoli separati da conflitti e accomunati dalle macerie. Dalla costa libanese alla Mesopotamia, non c’è identità comune ma un mosaico di diversità da ricomporre. Il modo migliore per provarci è partire da Beirut.
Qui di seguito pubblichiamo la prefazione di Lorenzo Trombetta
Su un terrazzo affacciato sul porto di Beirut, tre amici discutono animatamente su come sarebbe potuto essere il Medio Oriente senza quei maledetti equivoci della storia. Sono passati vent’anni da quella scena. Uno dei tre amici era l’autore del libro che avete ora per le mani. Su quel terrazzo avvolto nella notte mediterranea, Riccardo Cristiano provava seria passione e puro piacere nel cercare di avvicinare le posizioni contrapposte degli altri due amici, divisi allora nel dibattito, in corso da decenni e quanto mai attuale, sulle conseguenze del colonialismo europeo nelle dinamiche sociali, politiche e culturali del Medio Oriente.
L’opera di mediazione notturna, facilitata dalla presenza al tavolo sul terrazzo della celebre birra beirutina Almaza e di modeste dosi di Campari, Riccardo la faceva al termine della sua ennesima giornata di lavoro passata per le strade di Beirut e del Libano. Solo pochi anni prima, sempre in Libano, era stato a intervistare il leader di Hezbollah, Hasan Nasrallah. E ancor prima, quando era basato a Gerusalemme, era andato a Damasco, in Siria. Dopo aver chiuso il servizio giornalistico all’ombra del monte Qasyun, con uno stand up di fronte ai binari della stazione ferroviaria dell’Hijaz, oggi cancellata per far posto a un volgare centro commerciale, Riccardo passava ore a passeggiare, sornione, per le strade di Bab Tuma, il quartiere cristiano di Damasco, rilassandosi in cerca di un caffè dove osservare i clienti. Prima di prendere un aereo che l’avrebbe portato a Roma. Era il 10 settembre del 2001. E il giorno dopo il Medio Oriente sarebbe entrato in una nuova fase, quella che ha poi condotto tutti fino al 7 ottobre 2023. La tempesta dell’11 settembre ebbe l’effetto su Riccardo Cristiano di accelerare la sua urgenza, personale e professionale, di comprendere – e far comprendere – la naturale coesistenza di molteplici prospettive locali in una regione segnata, invece, da spinte identitarie sempre più esclusive.
Questo libro va letto perché va al cuore del problema: quale Medio Oriente e, soprattutto, quale Mediterraneo desideriamo? Il pantano in cui siamo immersi da almeno un quarto di secolo e che, con uno sguardo più lungo, è frutto di politiche vecchie di almeno cento anni, è intriso di frammentazione etnica, tribale, confessionale, mascherata dalla presenza di Stati nazionali – siano essi monarchie o repubbliche – dominati da élite locali e da forze straniere, regionali e internazionali, interessate tutte a dominare i territori e le loro risorse, mantenendo divise le comunità lungo presunte o reali linee verticali di appartenenze identitarie.
Come vent’anni fa su quel balcone che dominava il porto di Beirut, lo sforzo di Riccardo è quello di indicarci la via per superare la superficiale dicotomia tra le retoriche e le pratiche contrapposte, basate sul principio suicida e mortifero: «O con me o contro di me». Perché è un Mediterraneo orientale dove le identità locali e sovrannazionali possano essere non solo riconosciute e valorizzate ma anche rispettate, in un contesto di salvaguardia dei diritti civili e politici degli individui basato sul principio della cittadinanza. Non si tratta qui improvvisamente di abolire le identità nazionali costruite nel corso dell’ultimo secolo, né di cancellare i confini, più o meno porosi e più o meno sigillati, dei vari Stati nati tra la prima e la Seconda Guerra Mondiale. Non si tratta di disegnare un nuovo Medio Oriente. Ma di proporre un’azione politica e culturale per contribuire a una trasformazione sostenibile nel tempo e su diverse scale geografiche delle società mediorientali, non più intrappolate in un sistema di governance asfittico e clientelare, fondato sul terrore del nemico esterno, ma liberate dall’emergere di solidarietà trasversali, trans-confessionali e trans-comunitarie tangibili e materiali ma anche simboliche e morali.
In quest’azione politica e culturale le varie anime del cristianesimo mediorientale possono, anzi, devono svolgere un ruolo da protagoniste, come è già stato più volte nella storia della regione. Per questo – insiste Riccardo Cristiano, collegandosi ad altre sue opere precedenti – bisogna guardare a Beirut, capitale del Libano e “ultimo scalo del Levante” come laboratorio e arsenale per far crescere e sprigionare le trasversalità in tutta la regione. La Beirut evocata dall’autore in questo libro è la stessa che viene violentata nuovamente in questo autunno del 2024. Sebbene sia stata più volte ferita al cuore e vittima di numerosi tentativi di urbicidio, Beirut è ancora lì assieme a Samir Kassir, Butros al Bustani e a molti altri testimoni mai silenti di questo manifesto politico e culturale a ricordarci la sintesi mediterranea. L’arabismo, l’europeismo, l’antichità, la modernità, la distruzione e la ricostruzione, il formale e l’informale, noi e loro, così simili e così diversi, così in mezzo tra l’estraneità e la familiarità, tra l’essere dentro e fuori le mura, tra l’accogliere la montagna e ascoltare il mare, tra il negoziato e la protesta, tutto questo è una città che è simbolo di un auspicato futuro genuinamente pluralista per tutta la regione.
Su quel terrazzo beirutino, illuminato solo dal chiarore proveniente dalla stanza aperta verso il mare, i due amici discutevano all’infinito specchiandosi nella loro palese difficoltà di uscire dalle proprie trincee ideologiche. Pur rimasto a secco di Campari, Riccardo Cristiano osservava la scena divertito. E sorrideva. Perché sapeva, come ha raccontato anche in questo libro, che l’unico modo per superare gli equivoci della storia è quello di farci i conti, con realismo, e di proporre con la forza delle idee un percorso di cambiamento inclusivo e al tempo stesso rispettoso delle differenze.
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