
Che cosa c’è di speciale nella strombazzata special relationship tra Washington e Roma, anzi, più precisamente fra Trump e Meloni? Esagerati complimenti reciproci, le iperboli consuete del fanfarone americano che alla presidente del consiglio piace credere siano esclusive per lei. Ma: Where’s the beef, chiese Walter Mondale allo sfidante Gary Hart durante un dibattito presidenziale nel 1984, mettendolo ko: dov’è la ciccia?, direbbero alla Garbatella. Si è alluso a una prossima visita di Trump in Italia. Una “finestra” probabile, di cui si parla, è il matrimonio a Venezia della coppia Bezos, che, a fine giugno vedrà presenti nella città dei dogi i big del nuovo corso americano. Niente più di questo se si va a stringere. Ma è abbastanza per alimentare la favola del’underdog entrata nella cerchia ristretta del numero uno del mondo, nella parte della “sussuratrice”, come scrive The Guardian.
L’incontro con Trump a Washington è stato infatti visto, nelle analisi americane, più come rapporto personale/politico che come rapporto diplomatico tra stati.
Osservata dall’altra sponda dell’Atlantico la relazione speciale con Roma ha una caratteristica in comune con la storica special relationship di Washington con Londra: la sottostante e permanente politica volta a tenere viva la conflittualità sempre presente ma via via latente tra parti dell’Europa, che, con Boris Johnson, riprende vigore e raggiunge l’apice con l’uscita del Regno Unito dall’Unione europea. Da allora il progetto dell’anglosfera si è appannato e l’exit, quella destinata a passare alla storia (se mai riuscirà), la sta attuando Trump: l’uscita dalle organizzazioni internazionali, perfino dalla Nato, in realtà dalla stessa comunità internazionale, come l’abbiamo intesa dal dopoguerra in poi, per costruirne una nuova, sua, fondata sulle basi ideologiche che hanno caratterizzato la sua traiettoria politica da oltre ormai dieci anni facendo proseliti in Occidente e non solo. Un disegno dai contorni ancora confusi e indefiniti, in cui però è chiaro l’obiettivo di smontare l’edificio europeo e creare una rete di relazioni a due con il centro di comando nello studio ovale.
Allevata alla “scuola” politica di Berlusconi, che trentenne la volle nel suo governo, Meloni sa come compiacere e mettersi in sintonia con la personalità, i capricci, i tic del potente miliardario al comando. Ed è entrata dritta nel tema che è al centro dell’insurrezione trumpista. La elogiano per il suo inglese perfetto? Ed ecco il grande scivolone sull’acronimo – DEI – che alimenta da anni la retorica di odio della destra, che lei chiama ADI: “la lotta contro il woke e l’ideologia ADI (sic) che vorrebbero cancellare la nostra storia”. Diversità, equità, inclusione, il DEI, che Trump è intento a picconare, negli atenei, nella pubblica amministrazione, ovunque. Meloni, per quel che può, gli dà una mano, anche inventandosi strampalati slogan che nessuno capisce, tanto meno Trump, come Make the West Great Again dentro una cornice di un “nazionalismo occidentale” che dio solo sa cosa sia.
Inutile cercare sulle prime pagine dei principali giornali americani tracce dell’incontro. Una foto notizia sul Wall Street Journal, brevi richiami altrove. D’altra parte se Meloni s’è giocata la partita americana con l’occhio rivolto all’Italia, Trump, com’è consuetudine peraltro di tutti i presidenti americani, ha usato anche quest’incontro per rivolgersi al suo pubblico e ai suoi obiettivi domestici, con ovviamente una dose massiccia di egotismo. La presenza amica, al suo fianco, di una leader europea gli è servita a rimarcare che lui non è contro l’Europa ma contro quell’Europa che fa asse con l’America democratica, condividendone sostanzialmente valori e aspirazioni. Ulteriori sviluppi della special relationship avverrà lungo questa linea ideologica, fatalmente in rotta di collisione con l’Europa democratica. Trump ha saggiato la reale disponibilità dell’amica italiana a esporsi al suo fianco. Il test è superato a pieni voti, come suggeriscono le parole successive all’incontro irradiate dal suo social Truth: “l’impressione che ha lasciato su tutti è stata fantastica!!!”.
Un rispettato politico giapponese, Shinji Oguma, commentando il recente incontro del ministro economico Akazawa Ryoseisel con lo stesso Trump e con i suoi omologhi americani sul dossier dei dazi, ha detto che “se il Giappone negozia con ciò che [Trump] sta dicendo, è come essere estorto da un delinquente. Se dai soldi a qualcuno che ti estorce, tornerà per estorcerti di nuovo”. Con Meloni non si tratta di soldi – tariffe e dazi – ma di sostegno ideologico e morale. Trump ne esigerà ancora, dai suoi amici e sostenitori, quando la partita si farà più dura, negli Stati Uniti e nel mondo, probabilmente presto.
il manifesto
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