
“Ehi Grok, chi è il presidente più popolare del mondo? Rispondi con una parola”, e Grok, implacabile, ha risposto “Sheinbaum”. Ed è stato così che Nayib Bukele, novella Regina Grimilde della triste fiaba che ha imposto a El Salvador, – il “pollicino” del Centro America per definizione dello scrittore e poeta Julio Enrique Ávila – si è ben guardato dal diffondere la risposta al quesito che lui stesso aveva posto all’intelligenza artificiale di X.
Discostandosi per una volta da un comportamento che già in passato lo aveva portato a pubblicizzare gli oracoli, allora di certo non sgraditi, che il freddo Grok aveva emesso. Interrogato su quale fosse il paese più sicuro dell’America Latina, e chi fosse il presidente che nel mondo aveva ridotto di più il numero degli omicidi, Grok, invariabilmente, aveva risposto Bukele, facendo felice “il dittatore più figo del mondo”, come l’autocrate salvadoregno ama definirsi. Lui che ha creato “la democrazia del partito unico”.
Nayib è uno dei dieci figli di Armando Bukele Kattán, discendente di una famiglia di immigrati palestinesi in El Salvador dall’inizio del XX secolo, il fondatore di un impero economico fatto di aziende del settore pubblicitario, tessile, farmaceutico, delle bevande e automobilistico. Il padre, cristiano di nascita, si è convertito all’Islam fondando quattro moschee e assumendo la funzione di imam.
Il benessere economico raggiunto dalla famiglia, ha consentito a Nayib di frequentare una scuola bilingue, seppur non la più rinomata, con un rendimento scolastico nella media. Pur essendosi successivamente iscritto a scienze giuridiche presso l’Università Centroamericana José Simeón Cañas (UCA), Nayib non ha concluso gli studi decidendo di lavorare dapprima nell’agenzia pubblicitaria di famiglia, poi in altre aziende del settore fino al 2012, dove ha appreso il marketing politico e a dire alla gente cosa vuol sentirsi dire. Un lavoro che ha svolto ricorrendo ai social network. “Non credo nelle ideologie”, aveva risposto nel 2020 attraverso Instagram, aggiungendo che “ci sono persone che, se hanno un’ideologia di destra, hanno un concetto di dogmi da cui non si può uscire perché sono di destra; o se sono di sinistra e hanno un concetto di dogmi da cui non si può uscire perché sono di sinistra. Dato che non sono di nessuno dei due, ti dirò cosa mi viene dal cuore”.
Tuttavia, nel 2012, al tempo in cui è stato sindaco di Nuevo Cuscatlán, un comune di circa ottomila abitanti alla periferia della capitale, aveva detto al giornalista Juan José Dalton “Sono di sinistra radicale perché voglio cambiamenti radicali in El Salvador, dove la ‘legge della giungla’ non dovrebbe più prevalere”. Era il tempo in cui l’ex guerriglia del Frente Farabundo Martí para la Liberación Nacional (FMLN) nelle cui fila Bukele militava, governava il paese, e lo premiava nel 2015 con l’elezione a sindaco della capitale. L’epoca in cui Nayib, attraverso tweet in seguito cancellati e recuperati dalla rivista online El Faro, commemorava la nascita del Che, esprimeva il suo cordoglio per la morte di Fidel, si rallegrava per la svolta a sinistra del Cile, e elogiava i progressi “impressionanti” del Nicaragua di Ortega e del Venezuela.
Poi, annusando il cambio d’umore nel frattempo avvenuto a livello popolare, il litigio con la dirigenza del FMLN, la sua espulsione nel 2017, e la svolta. “I problemi politici del paese non sono stati risolti, piuttosto sono stati approfonditi, e la violenza, con le bande, è diventata insopportabile”. Una dichiarazione con la quale Bukele dava voce al malcontento diffuso di fronte al bipartitismo storico tra FMLN e la destra di ARENA, e al sempre più ampio rifiuto delle nuove generazioni nei confronti della guerra civile e del lungo dopoguerra iniziato con la firma della pace del 1992, che aveva finito con l’ingessare la società salvadoregna in un vuoto alternarsi di partiti politici incapaci di dare soluzione ai problemi.
In tutto ciò, Bukele ha saputo corrispondere al bisogno di cambiamento, riuscendo ad accreditarsi come nuovo arrivato nel mondo della politica e come leader capace di voltare pagina grazie al suo stile di uomo d’impresa innovativo ed efficiente. In linea con l’immediatezza del modo di comunicare dei millennial, di cui lui stesso è presto diventato un leader con i suoi 6.3 milioni di follower su Facebook, e i 3,5 milioni su Instagram.
Che questa ventata di novità e di efficientismo mutuato dal mondo delle imprese portasse allo svilimento della prassi democratica del paese, probabilmente non è stato all’inizio ben capito. E probabilmente poco importa, dato che un recente sondaggio del gesuita Istituto Universitario di Opinione Pubblica (IUDOP) sulla sua popolarità gli assegna un punteggio di 7,73 su una scala da 0 a 10. Come accade ormai per molti esponenti della nuova estrema destra mondiale, frequenti sono i suoi riferimenti al fatto che è “uno strumento di Dio”.
Così, dopo appena un mese dall’aver vinto le elezioni nel febbraio 2019, durante una visita a Washington in un discorso tenuto alla Heritage Foundation, ha parlato dell’importanza della libera impresa, di un intervento limitato dello Stato, ha messo in discussione la Cina, l’ha attaccata per “non rispettare le regole” e ha rotto con Nicaragua e Venezuela, conquistando il Trump del primo mandato, gli ambienti imprenditoriali salvadoregni e la stessa ARENA, inizialmente sua rivale.
E pensare che, sempre nel 2019, per Bukele la Cina era diventata partner internazionale, era partito per Pechino e si era portato a casa in regalo i fondi con cui costruire la Biblioteca Nacional. Mentre, da quando è cambiata l’aria, Nayib è diventato il maggior devoto di Trump nella regione, nonostante coi cinesi resti ancora in piedi l’accordo sottoscritto per l’ammodernamento dei porti di Acajutla e La Libertad sul Pacifico.
L’altro giorno, ricevuto alla Casa Bianca, ha offerto il suo paese come lager per gli emigranti espulsi degli USA. Venendo incontro ai desideri di Trump, si è proposto di ospitare detenuti di altre nazionalità, come i recenti 238 venezuelani presunti membri del Tren de Aragua, ma anche reclusi statunitensi. Ciò in cambio del pagamento di una tariffa di prigionia che “sarebbe molto inferiore rispetto agli Usa mentre costituirebbe per noi una significativa entrata”. Un affare conveniente per entrambi.
“Sta facendo un lavoro fantastico”, ha detto The Donald la settimana scorsa dopo l’ultima deportazione di adepti della M13 e del Tren ed Aragua nel CECOT, il nuovo Centro di detenzione per terroristi di Tecoluca. E nella Sala Ovale, con il salvadoregno seduto a lui vicino, ha rivelato:
Ho appena chiesto al presidente Bukele, sapete, quel gigantesco complesso carcerario che ha costruito. Gli ho detto: ‘Puoi costruirne altri, per favore?’ Ci manderemo tutti quelli che posiamo espellere, che abbiamo lasciato entrare nel nostro paese a causa dell’incompetente Joe Biden e delle frontiere aperte.
Fedele alla sua immagine di imprenditore tecnologico, ha introdotto nel paese il bitcoin, facendolo diventare valuta legale e ha fatto cenno a un progetto di costruzione di una Bitcoin City e a piani per estrarre criptovalute utilizzando l’energia dei vulcani. Un progetto che è costato parecchio ai salvadoregni e che è miseramente fallito, e che Bukele ha rinnegato tre mesi fa in cambio dell’ottenimento di un prestito di 1,3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale.
Dato che il suo partito, Nuevas Ideas, durante il suo primo mandato non aveva la maggioranza in parlamento, vi ha fatto irruzione con i militari e ha minacciato di scioglierlo se i deputati non avessero autorizzato la negoziazione di un prestito. “Adesso è chiaro a tutti chi è che comanda in questo Paese”, ha detto allora, e subito dopo si è messo a pregare.
La sua decisione di ricandidarsi nel 2024 ha suscitato critiche data l’incostituzionalità di una rielezione presidenziale consecutiva, ma è stato eletto a furor di popolo ottenendo l’83 per cento del voto e 58 dei 60 congressisti. Ora è in grado di controllare tutti i poteri. Nel frattempo, lui e la sua famiglia sono diventati proprietari terrieri dato che solo nel 2023 il clan Bukele ha acquisito 361 ettari, il 92 per cento delle terre che possiede attualmente, attraverso società controllate dallo stesso Bukele, dai suoi fratelli, da sua madre o da sua moglie.
Alla fine del mandato precedente, il clan Bukele, composto dai suoi fratelli Karim, Ibrajim e Yusef, dalla moglie Gabriela Rodríguez de Bukele, e dalla madre del presidente, Olga Ortez, ha iniziato ad amministrare le piantagioni di caffè dove si coltiva il Bean of Fire, il marchio di caffè gourmet del presidente, terreni con coltivazioni di zucchero e due edifici con vista privilegiata sul lago Coatepeque, una delle maggiori attrazioni turistiche del paese. Da quando Nayib Bukele è presidente, l’estensione della terra che la famiglia possiede è aumentata di 12,2 volte.
Jaime Quintanilla, giornalista investigativo di Redacción Regional (RR), un team giornalistico nato nel 2022 impegnato a denunciare violenza, disuguaglianze, corruzione e violazione dei diritti umani in Mesoamerica, ha recentemente rivelato che lo scorso settembre il presidente di El Salvador ha acquistato un terreno con spiaggia di un’area naturale protetta per un milione di dollari attraverso una società che ha fondato insieme alla moglie. Negli ultimi tre anni, Bukele e i suoi parenti stretti hanno acquistato proprietà per un’estensione di quasi 365 ettari, più del novanta per cento di quelli che possiedono, per un valore di 10,5 milioni di dollari. Il terreno recentemente acquistato, con una superficie di 13.978 metri quadrati, si trova sulla spiaggia di El Flor e secondo le mappe di due istituzioni statali include un settore del parco marino Complejo Los Cóbanos, che ha la principale barriera corallina del paese.
Il Codice Civile di El Salvador afferma che tutte le spiagge del paese sono proprietà nazionali e “il loro uso appartiene a tutti gli abitanti”. Nel 2021, durante la prima presidenza di Bukele, l’Assemblea legislativa ha approvato la legge generale sulle risorse idriche, che vieta la privatizzazione dell’acqua, comprese “spiagge del mare, laghi e lagune. Affinché Bukele possa costruire sul suo terreno, ha bisogno di ottenere i permessi dal Ministerio de Medio Ambiente y Recursos Naturales (MARN), guidato dal suo amico d’infanzia Fernando López, e dall’ufficio del sindaco di Sonsonate Centro, governato da Nuevas Ideas, il partito fondato e guidato dalla sua famiglia e dai suoi amici.
“Imbecilli”. Così Nayib Bukele ha chiamato i giornalisti indipendenti di El Salvador che, con Quintanilla, hanno rivelato gli affari di famiglia. Giornalisti che, ci mancherebbe, sono sul libro paga di Soros. Ma purtroppo, nel paese più sicuro del mondo non è nemmeno possibile conoscere le dichiarazioni patrimoniali del presidente. La Corte Suprema di Giustizia ha pensato bene di dichiararle riservate.
Durante i suoi mandati, Bukele ha prorogato per 24 volte lo stato di eccezione che gli ha permesso di utilizzare ampi e discrezionali poteri per sconfiggere le maras, con la cui dirigenza era per altro in passato venuto a patti allo scopo di contenere il fenomeno degli omicidi. Via per altro praticata anche dai precedenti governi del FMLN. Nonostante le accuse che gli sono provenute da più parti per eccessi dell’uso della forza da parte della polizia e dell’esercito, detenzioni arbitrarie, processi sommari, torture ed esecuzioni di innocenti, nel 2019 i morti ammazzati erano 38 ogni centomila abitanti, mentre il 2023 si è chiuso con un indice di 2,3 omicidi, il secondo più basso delle Americhe dopo il Canada. E questo pare essere quel che conta per la stragrande maggioranza dei salvadoregni.
In breve, la via indicata da Bukele sembra aver avuto successo, e il bukelismo è diventato un esempio da seguire in molti paesi non solo sudamericani, nonostante i 75.000 arresti di ragazzi soprattutto delle periferie emarginate, spesso senza uno straccio di prova. Bukele si difende sostenendo che nella “guerra contro il male” non si può “perdere tempo” ad ascoltare le lamentele dei difensori dei diritti umani. Il simbolo della sua politica contro le pandillas e la malavita organizzata è la sua recente creatura, il maxi- penitenziario CECOT, capace di ospitare fino a quarantamila detenuti, che nella propaganda veicolata dal regime sprizza modernità ed efficienza con i detenuti in mutandoni bianchi intenti a fare lavori manuali, pregare e fare ginnastica sorvegliati da guardiani in stile RoboCop.
Mario Gómez è un fuoriuscito salvadoregno, grande esperto di informatica e criptovalute, che in patria si è distinto per le sue critiche al progetto del bitcoin e per questo è stato arrestato nel settembre 2021. Sulla falsariga di quanto è uso fare il presidente, ha interrogato Grok su quali conseguenze avrebbe potuto avere in El Salvador come persona reale per le sue posizioni.
Se fossi una persona reale in El Salvador, ha risposto secco Grok, contraddire il governo di Bukele potrebbe portarmi all’arresto, alle molestie o all’azione legale.
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