
Perché ci accontentiamo di edifici poco stimolanti con una durata di vita di solo quarant’anni, quando possediamo le conoscenze e le abilità per creare strutture architettoniche mozzafiato in grado di durare per millenni?
Si apre con questa domanda la 19. Mostra Internazionale di Architettura, curata da Carlo Ratti, inaugurata il 10 maggio a Venezia. Se lo chiede e ce lo chiede Architecton di Victor Kossakovsky: una poetica meditazione cinematografica sulla pietra e sul cemento che apre il nostro orizzonte visivo ai temi della permanenza e delle proporzioni sconcertanti dei rifiuti generati dall’umanità, anche, e in misura impressionante, quelli creati con lo sfruttamento estrattivo, con gli scarti dell’edilizia.
È una Biennale che non offre soluzioni, ma le cerca, quella che resterà aperta fino al 23 novembre prossimo: distribuita tra Arsenale, Giardini e luoghi diversi della città storica fino al limite (tra terraferma e acqua) costituito da Forte Marghera dove, in una polveriera restaurata, è esposto Margherissima, progetto esteticamente affascinante di un possibile eventuale sviluppo urbano futuro, – ripetutamente elogiato, dal sindaco Brugnaro, nelle giornate di pre-inaugurazione – nella zona dei “Pili” che segnano la conterminazione lagunare.
La meditazione cinematografica su pietra e cemento è l’anticamera introduttiva a un inferno: quello di Terms and Conditions e di The Third Paradise Perspective. Si scosta una tenda e si resta accecati dal buio, immersi nel calore insopportabile, circondati da acque scure che fanno da specchio ai tanti peccati commessi dall’umanità verso sé stessa, contro la natura, contro il creato. Il calore è quello prodotto da una selva di condizionatori che pendono sulle nostre teste in una installazione che porta l’esterno all’interno e che ci racconta i costi del confort assicurato negli edifici climatizzati, sigillati nel tentativo di isolarli e isolarci dalla realtà circostante. Gli specchi neri di acqua immobile alludono a tante cose, dall’innalzamento del livello dei mari allo scioglimento dei ghiacci, ma in lontananza splendono, come una speranza, tre esili cerchi consecutivi: la riconfigurazione del segno matematico dell’infinito, simbolo del Terzo Paradiso secondo Michelangelo Pistoletto.
La Fondazione voluta dell’artista di Biella, suggerisce una prospettiva al visitatore ”Se il futuro può sembrare drammatico e sconfortante, esiste una via ‘sicura’ che guida l’umanità e illumina il nostro futuro: la fiducia nella nostra capacità di creazione con la quale possiamo trasformare il pianeta assumendoci una responsabilità collettiva”.
Il curatore del settore Architettura della Biennale di Venezia Carlo Ratti in sella a una bicicletta d’acqua nella darsena Granda dell’Arsenale veneziano, durante il preview per la stampa della 19° edizione della Mostra Internazionale di Architettura, Venezia 7 maggio 2025. © Andrea Merola
Intelligens, titolo della Biennale di quest’anno, con quel “gens” finale che allude al popolo, alle persone, è parola che sintetizza la complessità delle forme di intelligenza: naturale, artificiale, collettiva. Forme diverse cui sono dedicate le differenti sezioni volute dal curatore alle Corderie e in altri spazi dell’Arsenale di Venezia, ma non solo. Architetti, ingegneri, matematici, scienziati, filosofi, artisti, artigiani, scrittori: 750 partecipanti e oltre trecento contributi. Questa la “macchina generativa” messa in moto da Ratti.
Carlo Ratti ha costruito questa Biennale partendo dal presupposto che l’architettura è sempre stata una risposta a un clima ostile. Una dinamica, quella ambientale, portata attualmente a un nuovo livello giacché negli ultimi due anni – scrive Ratti – il cambiamento climatico ha subito un’accelerazione che sorprende persino i migliori modelli scientifici. Occorre adattarsi, occorre un cambiamento fondamentale nella pratica architettonica per vivere in un mondo alterato. Questa Biennale è il risultato di uno sforzo in tale senso, nato da un processo: incontri, conversazioni sviluppate nei salon: vocabolo che rimanda ai salotti parigini dell’Ottocento ma che in questo primo quarto del XXI secolo si riferisce a incontri informali ma intensi e densi, amichevoli, conviviali talvolta, tra pensatori di scuole e discipline differenti, tutti consapevoli delle emergenze del nostro oggi. Una sorta di micelio intellettuale, quel reticolo invisibile sotto il manto terroso che dà vita ai funghi. Un organismo indefinibile e potente che ci parla di connessioni, reti, collegamenti al di là, al di sopra, oltre l’accezione digitale di questi lemmi.
Velleitario e maldestro sarebbe qualunque tentativo di sintesi di questa Biennale perché tanto sforzo concettuale e tanta ricchezza di possibilità innovative a cavallo tra biologia, tecnologia e tradizione merita una visita attenta non solo da parte di specialisti. L’intelligenza progettuale della mostra è in grado di offrire a tutti stupore e conoscenza, bellezza e, pure, qualche momento giocoso, nel dialogo o nell’interazione con umanoidi, ad esempio.
Un filo rosso – quello dell’incombente peggioramento della condizione climatica del pianeta – tiene insieme il tessuto conoscitivo che prende forma nella visita delle Corderie e delle Sale d’Armi ma si sviluppa anche nei padiglioni nazionali. Sono 66 i paesi presenti a questa Biennale: 26 ai Giardini, 25 all’Arsenale, 15 nel centro storico di Venezia. Quattro le nuove partecipazioni: Azerbaijan, Oman, Togo e Qatar. Paese, quest’ultimo, che costruirà un nuovo padiglione ai Giardini, ma che, quest’anno ha uno spazio espositivo a Palazzo Franchetti e una installazione in bambù e giunchi ai Giardini. Si tratta del Comunity Centre, disegnato dall’architetta pakistana Yasmeen Lari, “La mia casa è la tua casa”. Un padiglione dell’ospitalità, in cui vengono offerti datteri freschi e tè profumato dal cardamomo, che regala una pausa di riposo ma anche apre a riflessioni complesse sulla storia, il significato e i nuovi limiti dell’accoglienza.
Se un padiglione nuovo sta per essere eretto, altri spazi sono rimasti chiusi ai Giardini: quello della Repubblica Ceca; quello di Israele; quello meraviglioso progettato da Carlo Scarpa, in desolante stato di trascuratezza, del Venezuela; quello della Russia, non accessibile, ma non vuoto, all’interno, nei giorni di pre-apertura, era un pullulare di ragazzi che partecipano alle attività educational. Clima e senso di accoglienza animano anche il progetto degli Stati Uniti dedicato al “Porch” – la veranda coperta tipica di tante abitazioni statunitensi – come architettura della generosità.
Clima e sicurezza alimentare sono ancora al centro della partecipazione degli Emirati Arabi Uniti.
Stresstest è il tema del padiglione della Germania. Il caldo estremo già pericoloso oggi, in futuro raggiungerà livelli che supereranno ciò che persone, animali, piante e infrastrutture possono tollerare.
Il clima e le responsabilità delle emissioni di carbonio dal 1750 al 2023 fanno da cornice alla bussola della terra nella galleria centrale del padiglione britannico che incrocia storia e attualità rileggendo, con l’uso la cartografia, responsabilità coloniali e possibilità di ripristino e riparazione.
Immagini degli allestimenti e progetti presentati alle Corderie dell’Arsenale per “ Intelligens. Natural. Artificial. Collective. “, la Biennale Architectura 19 © Andrea Merola
La storia dell’umanità e l’emergenza climatica hanno una rappresentazione visiva in Calculating Empires: A Genalogy of Tecnology and Power since 1500: 24 metri di lunghezza per raccontare l’evoluzione parallela delle strutture tecniche e sociali nel corso di cinque secoli, installazione esposta nella sezione delle Corderie sull’Intelligenza artificiale.
Temi sviluppati anche al di fuori della Biennale, nella stupefacente mostra della Fondazione Prada a Ca’ Corner della Regina, concepita dallo studio AMO/OMA fondato da Rem Koolhaas. “Diagrams” è il titolo della esposizione che usa i diagrammi e le infografiche (con oltre trecento oggetti realizzati dal XII secolo a oggi) per comunicare visualmente nozioni e dati sulla salute, le migrazioni, le disuguaglianze, l’ambiente naturale e costruito, le risorse, la guerra, la verità e il valore. Un percorso che richiama l’attenzione anche sui rischi dovuti alla presunzione di oggettività dei diagrammi.
Se non si può raccontare in un articolo tutta la Biennale Architettura, si può, tuttavia, accennare ad alcuni temi guida.
MATERIALI
È stupefacente il ventaglio di possibilità offerto da batteri, conchiglie, sterco di elefante, canne, alghe, “tessuti” prodotti da apparati radicali e perfino strutture realizzate partendo dall’acqua marina. Solo un piccolo esempio: la grande installazione all’inizio delle Corderie The Other Side of the Hill, un’alta struttura composta di mattoni chiari che sorregge una retrostante grotta-laboratorio e allude alle somiglianze tra biofilm (le “città” di microbi) e le città degli uomini.
I mattoni del muro sono di un nuovo materiale composito a base di aggregati minerali, vetro riciclato, spirulina, canne e conchiglie di laguna, reti da pesca rosse e filamenti di alghe: il tutto combinato con materiali di legame idraulico. Questi mattoni sono stati prodotti a San Donà di Piave.
CANTIERI
La 19. Biennale è un cantiere di idee ma anche un grande cantiere di fatto. È in corso il restauro di nuovi spazi dell’Arsenale destinati all’Archivio della Biennale stessa. È in atto un intervento conservativo della gru ottocentesca, e del suo basamento, che domina il bacino interno della grande struttura che era stata creata dalla Serenissima per costruire la propria flotta e che nell’arco della storia ha subito trasformazioni e cambiato destinazioni d’uso. È un cantiere il Padiglione Centrale dei Giardini, edificio storico nato con la Biennale che più volte è stato oggetto di rimaneggiamenti. È un cantiere anche il padiglione della Francia che ha trasformato i tubi innocenti delle impalcature esterne in uno spazio espositivo. Tubi innocenti anche davanti all’altare di Santa Maria Ausiliatrice (affacciata su Fondamenta San Gioachin, a metà strada tra le due sedi espositive della Biennale) nel complesso in cui è ospitato il padiglione Vaticano che è dedicato alla cura dei luoghi e delle relazioni tra le persone. Cantieri anche dentro il Padiglione Italia, questa volta su pellicola, nei film dell’Istituto Luce: i lavori per la pista di idrovolanti a Ostia nel 1929; la creazione del porto petrolifero a Ravenna; la costruzione del ponte automobilistico che collega Mestre a Venezia e il filmato del 28 agosto 1953 de La Settimana Incom dedicato al progetto di un “ponte tra la Sicilia e il continente”. Un cantiere fino a oggi mai aperto ma che molti vorrebbero.
Cantieri sono anche tutti i padiglioni che necessitano di manutenzioni costanti. Lo racconta bene il padiglione finlandese progettato da Alvar Aalto ma che dal 1956 ad oggi ha coinvolto nei lavori di costruzione e di mantenimento altri architetti e moltissimi artigiani diventando, come emerge dalla narrazione stessa dei curatori, una vera opera collettiva.
VENEZIA
Benno Albrecht, rettore dello IUAV, ha sottolineato settimane fa, in occasione della presentazione del progetto della Fondazione Venezia Capitale Mondiale della Sostenibilità, che quello aperto in occasione della mostra internazionale di Architettura di quest’anno alla Tesa dell’Isolotto è il primo padiglione che la Biennale ospita dedicato a Venezia. Nella struttura dell’Arsenale, la Fondazione, presieduta da Renato Brunetta, ha allestito, sotto la guida di Pierpaolo Campostrini, una mostra che racconta la città come esempio di intelligenza collettiva, traendo ispirazione da uno dei filoni approfonditi da Intelligens. Dal Mose all’andamento dei flussi di turisti e di residenti nella vasta area veneziana, lagunare e di terraferma, dagli interventi di ricostituzione delle barene allo sviluppo edilizio e architettonico della città: con schermi e installazioni (poste dentro a strutture semicircolari definite “absidi” su cui appaiono immagini della città) Venezia si racconta.
Ma Venezia, che è lo splendido contenitore (e certo una delle attrattive) della Biennale stessa, è presente in maniera forte e diffusa nella Mostra di Ratti dentro e fuori le sedi tradizionali dell’istituzione ma anche in alcuni padiglioni nazionali.
Nella prima sezione delle Corderie, dedicata all’intelligenza naturale, viene proiettato Origin, the Venetian Lagoon” di Yann-Arthus Bertrand, spettacolare documentario che fa scoprire, anche ad occhi abituati a questa grande bellezza, la laguna di Venezia come un universo pittorico. Sempre alle Corderie, nella sezione dell’intelligenza artificiale è visibile il progetto Venice Forever: from Reality to Imagination raccontato attraverso dati, immagini e narrazioni. L’installazione (di Cibic Workshop e Andrea Rinaldo) è composta da sei monitor video, una cupola dorata affrescata e una lunga trave con interviste video.
Venezia è protagonista di molti altri progetti che riguardano l’acqua, il legno, le piante ed è comparandola talvolta ad altre realtà; e Venezia è la protagonista anche di Venice in Conversation, una installazione che orchestra una conversazione tra “avatar” di figure storiche e contemporanee riguardo alle varie Venezie vere o generate. Da Veronica Franco a Giovan Battista Piranesi da John Ruskin a Carlo Ratti, alla storica dell’architettura Deborah Howard. Un seminario immaginario su Venezia guidato dall’intelligenza artificiale.
Venezia, con l’acqua della sua laguna, finisce anche nei bicchierini di carta del caffe Lavazza, costo un euro e venti centesimi, che si può gustare al Canal Caffè. Depurata a vista in un marchingegno che si affaccia sul bacino interno dell’Arsenale, la bevanda si può sorseggiare ai tavolini sparsi dentro alla Cool Forest , un “padiglione forestale” che espone una vegetazione adattata al futuro “ipotizzato” clima di Venezia. Siamo nella sezione Living Lab che Ratti ha voluto diffusa in città. Una sezione – che potrebbe sembrare in compensazione del Padiglione Centrale chiuso per i restauri – che si rivela occasione di mostra allargata con esperimenti e prototipi funzionali. A pochi passi dal Caffè c’è il Gateway to Venice’s Waterways che è frutto di importanti cooperazioni coordinate dalla Norman Foster Foundation. Gateway to Venice punta a ridefinire l’infrastruttura di trasporto veneziana integrando mezzi elettrici avanzati per la mobilità sia acquea che terrestre. Ma Venezia è anche dentro e intorno a The Tide postazioni interattive progettate per assomigliare a boe per il monitoraggio delle maree. Tra le incursioni in città del Living Lab ci sono anche una serie di interventi al Caffè Quadri, in piazza San Marco. Venezia spunta anche nel padiglione della Grecia dedicato ai cantieri navali della Serenissima a Candia (Heraklion) e La Canea (Chania).
Il Messico propone chinampa veneta, la chinampa è composta da blocchi rettangolare di materia organica posizionata in laghi poco profondi. Si tratta di un elemento, che ha oltre quattromila anni di storia nella valle del Messico, che crea e moltiplica le rive di in lago e offre nicchie ecologiche. Il sistema è visibile nel padiglione messicano ma una chinampa galleggia pure in laguna.
La città e le sue biblioteche sono censite all’interno del padiglione Venezia e Venezia spunta anche nel padiglione della Romania (Human Scale) che espone, tra l’altro, una raccolta di mappe storiche originali dal XV al XIX secolo. Tra queste, una Geografia ridotta a gioco per instruttione della giovane nobiltà venetiana realizzata per la famiglia Michiel da Don Casimiro Freschot: oltre 150 riquadri – riproducenti regioni d’Europa, Asia, Africa e America – che attorniano la pianta di Venezia. Sulla stampa, realizzata a partire da un’incisione su rame, compaiono dedica e soprattutto regole del gioco che prevedeva l’uso dei dadi.
Da un gioco all’altro si resta sempre a Venezia, anche entrando nel padiglione dell’Olanda, trasformato in un nuovo bar sport con tanto di Calcio Balilla e di rivista dedicata al club neroverde di San Francesco della Vigna.
Immagine di copertina: Third Paradise di Michelangelo Pistoletto © Andrea Merola
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