
Si avvicina la data del voto sui 5 quesiti referendari, con il Presidente del Senato che fa propaganda per l’astensione. Ed è anche per questo che qui ne parliamo.
Il referendum abrogativo, mediante il quale è possibile abrogare una legge vigente, che è stata voluta dal Parlamento, in tempi lontani o anche in tempi recentissimi, è uno strumento con il quale i Costituenti hanno inteso correggere, equilibrare, il sistema rappresentativo in base al quale ci si affida per le decisioni normative ai rappresentanti che siedono in Parlamento. Una volta tanto, grazie a particolari condizioni e presupposti, sono gli elettori che possono prendere le decisioni, sia pure soltanto per eliminare una legge che non piace più. Non per introdurne una diversa. Anche se – va detto – mediante il referendum abrogativo si riesce qualche volta ad ottenere proprio questo effetto, di sostituire la legge che si vuole abrogare con altra di contenuto diverso (ma in qualche modo già presente nel sistema).
Votare i referendum, a favore, contro o anche consegnando scheda bianca, al limite non ritirando una delle schede quando i quesiti sono numerosi, significa cooperare al buon funzionamento delle nostre istituzioni.
In questa sede mi riprometto soltanto di dirvi brevemente di che cosa si occupano i 5 quesiti referendari, non mi intrometterò nelle relative decisioni di voto, segnalando soltanto che né l’insieme dei partiti di destra, né quello dei partiti di sinistra appaiono al loro interno concordi sugli orientamenti di voto. Poco male.
Ma vediamo di che si tratta. 4 quesiti riguardano la disciplina dei rapporti di lavoro privato. Il quinto quesito riguarda l’acquisizione della cittadinanza italiana.
Iniziamo da quest’ultimo che si differenzia nettamente dagli altri. E’ penso abbastanza noto che uno straniero può acquisire la cittadinanza italiana presentando una domanda al Ministero dell’Interno, dopo una residenza legale in Italia – con permesso di soggiorno – di almeno 10 anni. L’acquisizione non è automatica: il Ministero può decidere discrezionalmente (ma non arbitrariamente) se concederla o no. Inoltre per ottenere la cittadinanza servono una serie di altri requisiti:
La conoscenza certificata della lingua italiana almeno al livello B1
Un reddito dimostrabile sufficiente al proprio mantenimento
Una fedina penale pulita.
Vi sono altri modi per acquisire la cittadinanza, ma quello che interessa qui sono i 10 anni di soggiorno regolare. Anche Francia e Germania hanno questo stesso istituto, ma il periodo di residenza legale richiesto è di 5 e non di 10 anni. Se sei nato in Spagna è sufficiente un periodo di residenza legale di un anno per poter richiedere la cittadinanza. Se sei nato in Germania e uno dei due genitori risiede in Germania da almeno cinque anni con permesso permanente, diventi subito cittadino tedesco.
Lo scopo del referendum (scheda marrone) è ridurre il periodo da 10 a 5 anni.
La sinistra pensa che agevolare l’acquisto della cittadinanza sia un bene perché facilita l’inserimento nella comunità e rende più corretti i comportamenti. La destra pensa invece che favorisca la mixité della nostra società e non ultimo il voto a sinistra. Quindi obietta che cinque anni sono pochi per imparare la lingua. Che la riduzione del periodo per diventare cittadini incentiverebbe gli arrivi. Che l’Italia concede già molte cittadinanze, più degli altri paesi europei. Il che è vero in termini assoluti, falso se rapportato alla popolazione: se il numero delle cittadinanze concesse è rapportato alla popolazione, noi siamo quinti in Europa (dati Pagella politica). Che poi la cittadinanza, si fa per dire, più facile incentivi gli arrivi, proprio non esiste. Non senza ricordare che l’ingresso legale in Italia è praticamente impossibile (vedasi da ultimo la costosa presa in giro del decreto flussi) e quindi chi arriva alla domanda di cittadinanza ha passato prima vari anni qui da irregolare, prima di riuscire ad avere una residenza legale, e la lingua e cultura italiane l’ha giocoforza imparate, magari in modo approssimativo, come succede peraltro a molti italiani.
I referendum sui rapporti di lavoro riguardano temi diversi, ma uno spicca tra gli altri per rilevanza: un referendum squisitamente politico che chiede l’abrogazione totale del principale decreto legislativo attuativo della legge delega nota come Job act. Si tratta del decreto che ha eliminato l’obbligo di reintegrazione nel posto di lavoro nei casi di licenziamento illegittimo. La possibilità che il licenziamento illegittimo sia compensato con una somma di denaro – si sostiene – riduce il lavoro, in definitiva la persona, a merce. Un tema, come è noto, che divide la sinistra, tra i riformisti (?) che quel decreto legislativo hanno voluto (la legge delega è del Governo Renzi) e i conservatori (?) che lo hanno abborrito. Ora trasferito a livello volontà popolare, nella speranza che sia un referendum a risolvere il conflitto.
Qui serve soltanto aggiungere che l’eventuale abrogazione riporterebbe in vigore la disciplina precedente, che, come si può leggere nella scheda allegata (Referendum reintegrazione: scheda rossa), riporta in vigore la legge Fornero, che prevedeva la reintegrazione soltanto nei casi di maggiore gravità dell’illegittimità del licenziamento: una soluzione di compromesso.
Gli altri referendum in materia di rapporti di lavoro riguardano questioni importanti ma di portata più limitata:
Una vecchia norma del 1966, ancora in vigore, impone un tetto massimo (calcolato in numero di mensilità) all’indennità per licenziamento che sia stato considerato dal giudice illegittimo. Il quesito referendario chiede l’eliminazione di quel tetto, considerandolo evidentemente una forma di tutela per il datore di lavoro, preferendo che sia il giudice a decidere caso per caso liberamente (Referendum scheda gialla)
I contratti di lavoro si presumono a tempo indeterminato. E’ consentita la stipulazione di contratti con una scadenza, un termine. Ma il sistema circoscrive la possibilità di contratti a termine. Il Referendum scheda verde intende abrogare norme che favoriscono i contratti di lavoro temporaneo e quindi disincentivare ulteriormente i contratti a termine
Il referendum scheda blu riguarda la responsabilità in caso di incidenti sul lavoro che producano un danno al lavoratore non indennizzato da INAIL. Poiché la responsabilità ricade sia sul datore di lavoro (l’appaltatore), sia sul committente (che ha scelto l’appaltatore) se il danno non è indennizzato dall’Ente pubblico, ne rispondono entrambi, committente e appaltatore. Una legge del 2008 ha escluso la responsabilità in solido del committente nel caso in cui l’incidente sia collegato ad un rischio specifico dell’attività della impresa scelta come appaltatore. Rischio specifico: connesso cioè ad una attività specialistica di quest’ultima, ritenendo che in tal caso il committente non abbia le competenze per rendersi conto dei rischi di quella particolare attività. Il quesito referendario intende eliminare questo caso di esclusione della responsabilità in solido. A maggior tutela del lavoratore.
Qui finisce l’illustrazione dei quesiti referendari. L’esperienza maturata in materia ci dice che la popolazione che si reca alle urne è sempre meno numerosa: il legislatore costituzionale dovrebbe prenderne atto e diminuire la percentuale dei votanti necessaria per considerare valido un referendum.
Ci dice anche, tuttavia, che i cittadini vanno a votare se il referendum ha per loro un forte interesse: il referendum cittadinanza presenterà questo interesse? E il referendum reintegrazione?
E’ facile dubitarne, ma è sempre lecito sperare e nel frattempo parlarne, e scriverne.
REFERENDUM CITTADINANZA: SCHEDA MARRONE scheda CGIL: CITTADINANZA
SENTENZA della Corte Costituzionale N. 11/2025 – DOMANDA DI CITTADINANZA DOPO 5 ANNI DI RESIDENZA
Norme da abrogare: art. 9 legge n. 91/1992, i riferimenti all’adozione e il comma 1, lett. f).
Obiettivo: previsione di soggiorno regolare di 5 anni per poter chiedere la cittadinanza italiana, ottenuto eliminando dall’art. 9 comma 1 lett. b) il riferimento all’adozione. Anche della previsione generale dei 10 anni (art. 9, comma 1, lett. f) si chiede l’abrogazione.
L’art. 9 lett. b) diventa la norma base per gli stranieri residenti. Sempre che abbiano interesse a chiedere la cittadinanza italiana.
Una volta avvenuta l’abrogazione della regola dei 10 anni, resterà da esaminare la coerenza delle restanti norme della legge. Ad esempio, i figli di uno straniero che diviene cittadino dopo i 5 anni di cui sopra, nati in territorio italiano e che vi risiedono legalmente da almeno 3 anni divengono cittadini, ma solo al raggiungimento della maggiore età (lett. c) art. 4), sempre che dichiarino di volerla, la cittadinanza, entro i 19 anni. Previsione inutile, dato che tutti i nati in Italia alla maggiore età diventano cittadini (art. 4 comma 2)? Controllare meglio la disciplina di risulta.
Si noti che l’acquisto della cittadinanza con i 5 anni di residenza non è automatico
Domanda: e gli adottati? Beneficiano anche loro dei 5 anni. Che adesso non decorrono più dall’adozione.
La Corte dichiara che il referendum va ammesso perché non può essere considerato “propositivo”, essendo quella norma (i 5 anni di residenza) già presente nell’ordinamento (per adottati, rifugiati).
Conseguenze dell’esito positivo eventuale: circa 2.500.000 immigrati avrebbero diritto di diventare cittadini. MA NON IN MODO AUTOMATICO, COME QUALCUNO HA INSINUATO. Non 10 milioni, come qualcuno ha detto, e sempre se presentano domanda e le relative pratiche sono smaltite.
REFERENDUM REINTEGRAZIONE: SCHEDA ROSSA scheda CGIL: LAVORO TUTELATO
SENTENZA N. 12/2025 – OBIETTIVO: REINTEGRAZIONE IN TUTTI I CASI DI LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO
Norma da abrogare: l’intero d. lgs. N. 23/2015 (contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti), applicabile ai rapporti di lavoro sorti post 07.03.2015
Statuto dei lavoratori, art. 18. Disciplina in tema di licenziamenti illegittimi:
Datori sopra soglia (più di 15, o più di 5 (agricoltura) o più di 60 nel complesso): tutela reintegratoria e indennità risarcitoria pari alla retribuzione globale non corrisposta (art. 18 statuto lavoratori) e ai contributi omessi.
Datori sottosoglia: tutela indennitaria (art. 8 legge 604 del 1966): riassunzione o indennità pari a un importo compreso tra 2 mensilità e ½ e 6 mensilità dell’ultima retribuzione di fatto (incrementabile fino a 14).
2012. L’art. 18 statuto è stato modificato da legge n. 92/2012 (FORNERO), ha abbandonato il criterio della tutela reintegratoria generale (indipendentemente dal vizio del licenziamento) adottando un criterio selettivo basato sulla maggiore o minore gravità dell’illegittimità del licenziamento. Per le due più gravi (discriminazione e insussistenza del fatto) vi è reintegrazione. Per le altre minori solo tutela indennitaria, di due categorie (sent.128/2024).
2015. il d.lgs. n. 23/2015 (su delega legge n. 183/2014, criteri della delega: favorire l’ingresso nel mondo del lavoro di nuovi assunti …con maggiore flessibilità in uscita) ha introdotto una nuova disciplina organica dell’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi sia sopra che sotto soglia, per operai, impiegati o quadri assunti dopo il 7 marzo 2015 con contratto a tempo indeterminato.
Che ridimensiona la tutela indennitaria, limita ulteriormente quella reintegratoria, eliminandola del tutto in caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo (sempre se assunti dopo il 7 marzo 2015)
Sul licenziamento collettivo, sopprime la tutela reintegratoria anche nel caso di violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare (criteri derivanti da legge o accordo).
Il complessivo arretramento delle garanzie è stato mitigato da pronunce di incostituzionalità:
sent. 194/2018 e 150/2020: elimina l’automatismo di calcolo dell’indennizzo, ora calcolato in una forbice…(sent. 7/2024)
sent. 22/2024 (il licenziamento può essere considerato nullo anche se la nullità non è espressamente dichiarata nella sentenza, quindi anche in tal caso si applica il regime del licenziamento nullo)
sent. 128/2024 (ha esteso la tutela reintegratoria se dimostrata l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore)
Ma nel d.lgs. n. 23 vi è anche un ampliamento in alcuni casi particolari:
Assenze protratte per malattia o infortunio
“Falso” licenziamento per disabilità
E’ garantita la tutela reintegratoria piena.
Licenziamenti delle cd organizzazioni di tendenza (escluse dal campo di applicazione dell’art.18)
DISCIPLINA CHE SARA’ IN VIGORE se approvato il referendum:
dall’abrogazione del d.lgs. n. 23/2015 non deriverebbe l’applicabilità della disciplina dettata dall’art. 18 dello Statuto e dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966 (sopra soglia sempre reintegrazione). Si applicherebbe la disciplina contenuta nella legge FORNERO (n. 92/2012), di cui sopra.
Secondo la Corte costituzionale i casi di arretramento di tutela non hanno dimensione tale da inficiare l’univocità del quesito.
La matrice razionalmente unitaria che giustifica l’unicità della richiesta: la riespansione della disciplina pregressa, che consente una uniformità di trattamento. Ma è chiaro che l’obiettivo non è l’uniformità, bensì la riespansione – peraltro limitata – dello strumento della reintegrazione.
NB. Ai sensi dell’art. 4, l. 108/1990 sono organizzazioni di tendenza i datori di lavoro non imprenditori che assumono…per svolgere senza scopo di lucro attività politica, sindacale, culturale, religiosa, di culto.
La portata di questo referendum: ri-espandere la tutela reintegratoria.
Il decreto legislativo di cui si chiede l’abrogazione si inserisce nel percorso, iniziato con il pacchetto Treu e con la legge Fornero, di flessibilizzazione della disciplina dei rapporti di lavoro, che è lunga e complessa. Basti dire che la tipologia dei contratti di lavoro comprende ora: contratti a tempo determinato, contratti a tempo parziale, contratti di lavoro intermittente o a chiamata, contratti di lavoro occasionale, contratti di apprendistato, contratti di somministrazione.
Il decreto legislativo n. 23/2015 è uno degli otto decreti attuativi del Jobs Act, quello che riguarda i licenziamenti nelle aziende con più di 15 dipendenti. A parte il fatto sopra segnalato, che l’abrogazione non comporta il ripristino dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, per dare una valutazione politica della materia occorre conoscere tutti gli altri decreti legislativi e il loro contenuto. L’incidenza intervenuta sul mercato del lavoro. Il confronto con la disciplina degli altri paesi europei.
SENTENZA N. 13/2025 – REFERENDUM SCHEDA GIALLA scheda CGIL: LAVORO DIGNITOSO
INDENNIZZO PER LICENZIAMENTO ILLEGITTIMO – NO AL TETTO MASSIMO DELL’INDENNITA’
Norma da abrogare: art. 8 della legge n. 604/1966, come sostituito da art. 2, comma 3, legge 108/1990 (licenziamenti individuali) limitatamente ad alcune parole.
Obiettivo: eliminare il tetto massimo che l’art. 8 impone per la liquidazione dell’indennità per licenziamento illegittimo (6 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, maggiorabile fino a 14) nelle piccole aziende (dipendenti meno di 15). Decide il giudice.
Dal 1966, anno in cui è stata introdotta la tutela indennitaria per licenziamento illegittimo, il tetto massimo c’è sempre stato: nello Statuto, che nel 1970 ha introdotto la tutela reintegratoria accanto a quella indennitaria; nel d.lgs n. 23/2015.
Con questo referendum verrebbe eliminato, considerandolo una forma di tutela del datore di lavoro.
Il quesito riguarda soltanto i lavoratori di datori che non raggiungono i 15 dipendenti e più in generale la soglia dimensionale dell’art. 18, 8 comma, della legge 300/70. Purché assunti prima del 7 marzo 2015.
SENTENZA n. 14/ 2025 – REFERENDUM SCHEDA VERDE scheda CGIL: LAVORO STABILE
NORME CHE AGEVOLANO – A CERTE CONDIZIONI – L’USO DI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO
Norme da abrogare:
Frammenti delle disposizioni di cui ai commi 1, 1-bis, e 4 dell’art. 19 e al comma 01 dell’art. 21 del d. lgs. 81/2015 (termine, durata, proroghe e rinnovi del contratto di lavoro subordinato).
Che consentono la stipulazione di tali contratti:
Nel caso di durata fino a 12 mesi, senza causale giustificativa
Nel caso di durata fino a 24 mesi, se ricorre uno dei casi previsti dai contratti collettivi dell’art. 51 oppure dai contratti collettivi applicati in azienda oppure se sussistono esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti ma entro il 31 dicembre 2025
Per sostituzione di altri lavoratori.
Storia delle norme in materia:
Art. 2097 c.c. : il contratto si reputa a tempo indeterminato, se il termine non risulta dalla specialità del rapporto o da atto scritto.
Art. 2097, poi abrogato dall’art. 9 della legge n. 230/1962, Disciplina del contratto di lavoro a tempo determinato, che ha individuato tassativamente i casi in cui era possibile apporre un termine.
Successivamente la materia è stata ridisciplinata dall’art. 23 della legge n. 56 del 1987. Che ha esteso ai contratti collettivi (Stipulati da Conf. Magg. Rappresentative) la possibilità di individuare ulteriori ipotesi di contratto a termine.
Successivamente con d. lgs. 368/2001 di att. Direttiva 1999/70/CE si è affermata la necessità di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per poter apporre un termine, mai superiore a 36 mesi. La legge successiva 247/2007 non ha modificato la regola.
art. 1 d.lgs. n. 81/2015: inaugura la possibilità di contratti a tempo determinato senza alcuna giustificazione, prima solo per contratti inferiori a 12 mesi (2012), poi per tutti purchè non oltre i 36 mesi e nel rispetto di specifiche cifre percentuali (art. 23).
Art. 1 d.l. n. 87/2018 reintroduce un obbligo di motivazione per i contratti di durata superiore a 12 mesi, (ma non oltre i 24).
Disciplina vigente:
la stipulazione, proroga o rinnovo di un contratto a tempo determinato è consentita liberamente per una durata massima di 12 mesi,
tra 12 e 24 mesi è subordinata ad alcune condizioni: sostituzione di altri lavoratori (d.lgs. n. 81), casi previsti da contratti collettivi (d.lgs. n. 81), in assenza, esigenze di natura tecnica, organizzativa o produttiva individuate dalle parti nei contratti individuali o collettivi applicati in azienda, entro il 31 dicembre 2025.
Obiettivi del referendum abrogativo:
obbligo di causale anche per contratti di durata inferiore ai 12 mesi
divieto di giustificazioni non previste dalla legge o dai contratti collettivi delle organizzazioni maggiormente rappresentative. Si elimina la previsione che consente la stipulazione di contratti con una causale individuata dalle parti.
Non c’è manipolazione del testo. Non si sostituisce una disciplina estranea al contesto normativo.
Le norme che si chiede di abrogare hanno la eadem ratio: favorire il ricorso al contratto di lavoro temporaneo. Quindi il quesito ha una matrice razionalmente unitaria: disincentivare i contratti a termine.
Il quesito pone, in tono minore, gli stessi interrogativi che pone il referendum sul c.d. job act.
Sentenza n. 15/2025 – REFERENDUM SCHEDA BLU scheda CGIL: LAVORO SICURO
Norme da abrogare: art. 26, comma 4, d.lgs. n. 81/2008 Obblighi connessi ai contratti di appalto, d’opera o di somministrazione.
Obiettivo: riespansione della responsabilità solidale del committente anche ai danni prodotti al lavoratore dai rischi specifici dell’attività delle imprese appaltatrici o sub-appaltatrici
L’art. 26 al primo periodo sancisce la responsabilità solidale dell’imprenditore committente con l’appaltatore e con ciascuno dei subappaltatori “per tutti i danni per i quali il lavoratore, dipendente dall’appaltatore o dal subappaltatore non risulti indennizzato dall’INAIL o dall’IPSEMA”.
L’esclusione dei rischi specifici è nata dal fenomeno dell’affidamento esterno di interi segmenti del ciclo produttivo, specie di quelli che richiedono competenze specialistiche. Anche in tali casi l’impresa appaltante resta responsabile. Quindi la norma di cui si chiede ora l’abrogazione aveva mantenuto la responsabilità relativa anche al subappalto ma l’aveva esclusa per i rischi che per essere rilevati richiedono competenze tecniche specifiche proprie in tal caso soltanto del subappaltatore. Ad esempio messa in opera di rete di distribuzione di gas metano.
La giurisprudenza ha applicato il comma 4 nel senso che, se il rischio è da considerare “specifico” ma si dà il caso che sia facilmente rilevabile anche dalla ditta appaltante, la responsabilità solidale permane (Cass. Pen. Sez. IV, 27 agosto 2014 n. 36268). Mentre è esclusa la responsabilità se per rendersi conto del rischio sono richieste competenze specifiche (Cass. Pen. IV, 28.05.2015 n. 22815).
Il referendum chiede di semplificare mantenendo la responsabilità solidale in ogni caso di danni non indennizzati.
La responsabilità in caso di successo del referendum tende a diventare di tipo oggettivo. D’altra parte è in gioco la maggior tutela del lavoratore.
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