
Cinquecento metri quadrati di bianco e giallo. I colori della Santa Sede, ma anche, nel codice delle usanze liturgiche cattoliche, i simboli della purezza, della gloria, della gioia e della luce divina. È Opera Aperta, il padiglione della Santa Sede alla 19. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia.
Opera Aperta come il titolo di un saggio pubblicato con Bompiani da Umberto Eco che, nel 1962 quando apparve, definì una nuova categoria dell’arte, del pensiero, della letteratura. Forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee, recita il sottotitolo del testo, ripubblicato due anni fa da La Nave di Teseo, nel quale Eco analizza e descrive i movimenti che trasformano l’arte da “oggetto” a “processo”. L’aleatorietà, insomma, la non compiutezza, un divenire che affida un ruolo al fruitore, in un intreccio di campi possibili. Nel saggio, oltre sessant’anni fa, Eco proiettava gli indefinibili confini del nostro presente, intersecando suggestioni spirituali e filosofiche con le visioni e l’estetica che guidavano e guidano tanta parte della musica, dell’arte, dello scrivere ma che della scienza e della comunicazione del nostro presente.
Quella della Santa Sede è tuttavia un’Opera Aperta che supera anche queste categorie e propone un progetto in cui l’architettura diviene “atto di cura e responsabilità condivisa, capace di rispondere alle sfide sociali ed ecologiche contemporanee, nel decennale della pubblicazione della lettera enciclica Laudato Si’ di Papa Francesco, un testo fondamentale nella comprensione crescente che la contemporaneità è chiamata a costruire sul nostro essere tutti abitanti di una stessa casa comune”.
Curato da Marina Otero Verzier, architetta, curatrice e ricercatrice, e da Giovanna Zabotti, direttrice artistica di Fondaco Italia e già curatrice del Padiglione Venezia, Opera Aperta trasforma il Complesso di Santa Maria Ausiliatrice di Castello in un laboratorio vivente di riparazione collettiva. La direzione artistica e la progettazione architettonica sono affidate a Tatiana Bilbao ESTUDIO (Tatiana Bilbao, Alba Cortés, Isaac Solis Rosas, Helene Schauer) e MAIO Architects (Anna Puigjaner, Guillermo Lopez, Maria Charneco, Alfredo Lérida), due studi internazionali noti per il loro approccio sperimentale, sostenibile e sociale all’architettura.
Ospitato nel complesso al civico 450 del sestiere di Castello, all’incrocio tra fondamenta e calle San Gioachin, il padiglione sarà per i prossimi sei mesi un laboratorio di restauro ma anche un luogo di incontro e conoscenza per quanti lo visiteranno. Gli interventi per la conservazione dell’edificio (aperto dal martedì alla domenica) – sono affidati ad artigiani veneziani specializzati nel recupero di opere in pietra, marmo, terracotta, pitture murali e su tela, stucco, legno e metallo. All’interno del complesso, i bianchi tessuti da cantiere che avvolgono pareti e superfici non impediscono lo sguardo su scorci dei lavori, sul divenire del recupero, sui gesti pazienti e amorevoli di cura.
Un momento di un workshop
“Rivitalizzando una struttura esistente – scrive Marina Otero – valorizziamo le sue crepe e perdite non come difetti da nascondere ma come aperture verso nuove possibilità”. Otero parla di un luogo, ma si intuisce che il senso delle sue parole si adatta alla vita stessa di ciascuno di noi, alla nostra temperie.
In un mondo in cui le fratture e le divisioni sembrano amplificarsi, Opera Aperta si propone come un atto di “riparazione” e di intelligenza comunitaria – dice Giovanna Zabotti – questo padiglione non sarà solo uno spazio fisico ma un luogo di incontro dove la musica diventa un linguaggio universale capace di unire le persone oltre le barriere culturali e dando risposta alla necessità di luoghi per coltivarla.
Durante i sei mesi di apertura della Biennale, il padiglione della Santa Sede sarà quindi uno spazio in continuo divenire e ospiterà il lavoro collettivo – accanto a quello degli studi di architettura – di associazioni e realtà vive di Venezia, che sono invitate a mettere a disposizione le proprie capacità e competenze per creare un progetto aperto a tutta la comunità, offrendo una visione di speranza per il futuro dell’architettura, che valorizza il mondo esistente e coloro che lo abitano.
Parallelamente, l’UIA – Università Internazionale dell’Arte – condurrà una serie di workshop di restauro e riqualificazione due pomeriggi alla settimana, il martedì e il venerdì, per trasmettere alle nuove generazioni tecniche tradizionali e garantire la continuità dei mestieri, e rafforzando un impegno a lungo termine per la conservazione di queste competenze.
Oltre al restauro, il progetto integra momenti di incontro e scambio culturale: una grande tavola conviviale, gestita dalla cooperativa NONSOLOVERDE, accoglie, ogni martedì e venerdì, cittadini e visitatori creando così uno spazio di dialogo e condivisione.
Opera Aperta coinvolge anche le università cittadine grazie alla collaborazione con l’Università Ca’ Foscari di Venezia, i cui studenti saranno impegnati nella mediazione con il pubblico, e IUSVE (Istituto Universitario Salesiano di Venezia), che sarà coinvolto nella costruzione della comunicazione.
In collaborazione con il Conservatorio di Musica “Benedetto Marcello” di Venezia, sono inoltre messi a disposizione spazi per prove musicali e strumenti (pianoforte a coda, pianoforte verticale e clavicembalo), attivi dal martedì alla domenica e prenotabili online tramite la piattaforma CoopCulture.
Opera Aperta non è un’opera finita, ma un luogo in cui impalcature mobili si alternano a strumenti musicali per prove e concerti, mentre su grandi tavoli sono pronti spatole, pennelli, pigmenti e quanto può servire per avvicinarsi, ad esempio, alle tecniche dell’affresco sotto la guida di restauratori dell’UIA.
Che cosa sarà il Padiglione della Santa Sede? – scrive il Card. José Tolentino de Mendonça- Sarà un padiglione-parabola. Il titolo di Opera Aperta lo presenta come un cantiere, come un processo in corso a cui tutti sono invitati a collaborare (architetti, pensatori, abitanti del sestiere, associazioni, visitatori della Biennale…). Allo stesso tempo in cui si riparano i muri e i dettagli architettonici dell’edificio, si ripareranno anche le relazioni di vicinato e l’ospitalità intergenerazionale, ricostruendo simultaneamente lo spazio fisico e lo spazio sociale. Il nostro desiderio è che questo padiglione-parabola possa dare espressione concreta, nel campo dell’architettura, alle intuizioni profetiche contenute nell’enciclica Laudato si’ e diventare un laboratorio attivo di intelligenza umana e comunitaria, mettendo in comune ragione e affetto, professionalità e convivialità, ricerca e vita ordinaria.
Un testo del Dicastero per la Cultura e l’Educazione (presieduto dal Card. Tolentino de Mondonça) ricostruisce la storia del complesso che ospita il padiglione Vaticano, padiglione che ha, tra l’altro, ottenuto una menzione speciale da parte della giuria internazionale che ha assegnato i premi della 19. Biennale.
Il complesso di edifici denominato Ex Casa di Santa Maria Ausiliatrice a Venezia si trova nel sestiere di Castello, nel punto in cui via Garibaldi viene sostituita da fondamenta San Gioacchino e in posizione strategica tra i Giardini della Biennale e l’Arsenale.
A dimostrazione dell’origine antichissima, una chiesa e un ospedale risultano già eretti attorno al 1171 da parte di una Confraternita come ospizio per ospitare pellegrini diretti in Terrasanta. Passato il periodo delle crociate, l’ospizio, come già avvenuto per altre istituzioni analoghe, fu adibito in modo definitivo ad ospedale – precisa la nota- e assume presto rilevante importanza nell’ambito dell’organizzazione sanitaria veneziana, determinando nel 1341 la necessità di acquistare alcuni degli edifici confinanti – come attestato da una pergamena ritrovata nell’Archivio di Stato di Venezia – e un conseguente ampliamento della chiesa stessa.
Il particolare visibile dalla pianta di Venezia di Jacopo de’ Barbari del 1500 lascia appena intravedere la semplicissima struttura della chiesetta allora dedicata a San Gioacchino, identificabile solo per mezzo del timpano triangolare concluso dalla croce. Difficilmente, infatti, i pochi altri elementi architettonici, la porta e le aperture della finestra, potrebbero ricondurre all’immagine tradizionale di un edificio religioso.
La facciata, che aveva consistenza di oratorio, prospettava sulla fondamenta del rio di Sant’Anna, in angolo con la calle di San Gioacchino; la chiesa insisteva sullo stesso sedime dell’attuale edificio che ha però cambiato orientamento nel corso dei lavori di trasformazione eseguiti durante il XVIII secolo. L’altare maggiore, appoggiato sulla parete di fondo, costituisce la sola testimonianza ancora esistente dell’intervento di epoca barocca, mentre il rivestimento presente nell’altare raffigurante in bassorilievo l’Ultima Cena è opera rinascimentale.
Dietro la chiesa, lungo la calle di San Gioacchino, si nota il lungo edificio dell’infermeria che limita il cortile ancora oggi esistente ed è chiuso sul fondo da un muro che probabilmente delimitava l’area adibita ad ospedale da quella destinata all’ospizio per i poveri.
Qui si trovava l’ingresso principale dell’ospedale, come testimoniato dal portale sormontato da un alto rilievo in pietra d’Istria in stile tardo-gotico della metà del XIV secolo. In esso è rappresentata Maria seduta su un trono, con il bambino sulle ginocchia che porge le chiavi a San Pietro e un cartiglio a San Paolo.
Notevoli sono le trasformazioni che il complesso subisce durante il XVIII secolo a cui è possibile far risalire il probabile ampliamento della chiesa e la costruzione del matroneo, portando il complesso all’aspetto attuale come confrontabile nella “Nuova Planimetria della Città di Venezia” di Bernardo e Gaetano Combatti.
Nel 1860 il complesso riacquista un utilizzo unitario come patronato, senza più subire variazioni fino all’acquisto nel 1993 da parte delle Figlie di Maria Ausiliatrice di San Giovanni Bosco, che vi fondarono la “Casa di Santa Maria Ausiliatrice” con asilo, scuole elementari, scuola di lavoro e collegio.
Nel 2001 la compagine è stata ceduta al Comune di Venezia, che lo ha destinato a centro di attività culturali e residenza per studenti, costituendo pertanto luogo adatto alla realizzazione del Padiglione della Santa Sede alla Biennale di Venezia”.
Per un inciampo informativo, ai curatori del padiglione della Santa Sede non era, tuttavia, giunta notizia nel dettaglio della storia più recente degli spazi al pianterreno del complesso che sono stati sede di una ludoteca civica – La Luna nel Pozzo – chiusa nel 2021. Nei giorni dell’inaugurazione del padiglione, un gruppo di genitori del sestiere di Castello ha così sottoscritto una petizione per chiedere conto della destinazione d‘uso.
É stato una sorta di cortocircuito che, come le crepe sui muri del complesso, sarà certo occasione per nuove opportunità.
La questione è complessa. Nel sito web del Comune di Venezia, nel quale appaiono informazioni su attività progetti e laboratori realizzati tra il 2018 e il 2021 dalla “Luna nel Pozzo”, si specifica che la ludoteca è temporaneamente chiusa per lavori di ristrutturazione edilizia. Ad agosto del 2021 – come documenta il quotidiano on line Venezia Today – la Giunta ha approvato il progetto definitivo, comprensivo del progetto di fattibilità tecnica ed economica degli interventi nel complesso di Santa Maria Ausiliatrice. Poi, nel novembre del 2024, la decisione della giunta di assegnare lo spazio alla Santa Sede.
Al pianterreno del civico 450 di Castello, va tuttavia rimarcato, non c’è stata solo la ludoteca in questi anni. Ce ne fa memoria il sito di Artribune (webmagazine e rivista cartacea dedicata all’arte) che conserva link riguardanti quattro eventi, tra arte e architettura, che si sono svolti a Santa Maria Ausiliatrice tra il 2011 e il 2016 in coincidenza con le Biennali. Nel maggio del 2022, poi, l’ex chiesa del complesso venne aperta per una mostra del fotografo ucraino Oleksandr Chekmenyov organizzata dall’Università di Ca’ Foscari.
L’Opera Aperta della Santa Sede, da qui a novembre, sarà un luogo di socialità per tutti, come del resto lo era la ludoteca- “un servizio pubblico del comune di Venezia aperto a tutti i bambini da 0 a 99 anni “ riporta il profilo Facebook – e manterrà i riflettori accesi sui temi della cura, dell’accoglienza, del gioire interiore.
Quella del 2025 è la terza partecipazione della Vaticano alle Mostre Internazionali di architettura. L’esordio fu nel 2018 con le Vatican Chapel commissionate dal Card. Gianfranco Ravasi a dieci archistar – e realizzate nel verde dell’isola di San Giorgio – alle quali si può accedere oggi acquistando un biglietto per la visita alla Fondazione Giorgio Cini. Di stampo diverso la seconda presenza della Santa Sede, nel 2023, con una installazione intitolata “Amicizia sociale: incontrarsi nel giardino“ affidata all’architetto portoghese Alvaro Siza dal Card. José Tolentino de Mendonça. Il luogo scelto fu, anche allora, l’isola di San Giorgio nella parte che è tuttora di pertinenza della convento dei benedettini.
Con un salto di un chilometro in linea d’aria, dal 450 di Castello ci si sposta nella Basilica progettata da Andrea Palladio, sempre sull’isola di San Giorgio. Qui la Benedicti Claustra Onlus (che è guidata dal 2019 dall’abate Stefano Visintin) da oltre un decennio promuove e sostiene attività e progetti per lo sviluppo dell’arte e della ricerca artistica. Molti, e di altissimo livello, gli artisti contemporanei di fama mondiale, che di anno in anno la Basilica ha accolto, in uno sforzo teso a riavviare il rapporto tra la fede – per secoli la Chiesa è stata committente fondamentale per lo sviluppo dell’arte – e la contemporaneità nelle arti visive.
Quest’anno, in coincidenza con l’apertura della Biennale Architettura è stato presentato un intervento straordinario: la collocazione ai lati dell’altare maggiore di due grandi dipinti dell’artista belga Luc Tuymans.
“Approfittando dell’impegnativo restauro conservativo dei due capolavori di Jacopo Tintoretto, “L’ultima cena” e “Il popolo di Israele nel deserto “dipinti tra il 1592 e il 1594- dice Carmelo A. Grasso direttore e curatore di Benedicti Claustra Onlus – i monaci benedettini hanno commissionato a Tuymans due grandi opere per colmare il temporaneo vuoto lasciato sul presbiterio della Basilica dai teleri cinquecenteschi”.
Le due tele, come è spesso abitudine dell’artista di Anversa – nato nel 1958 e al quale nel 2019 Palazzo Grassi ha dedicato una importante mostra – sono state realizzate partendo da immagini reali fotografate dallo stesso Tuymans. Le opere non hanno alcun richiamo tematico o iconografico con i teleri di Tintoretto, i cui soggetti (l’istituzione dell’eucarestia e la discesa della manna) sono parte di un canone raffigurativo consueto nelle aree absidali. Le due immagini non appaiono neppure collegate nel loro fissare due realtà, apparentemente prese a caso, dentro alle quali si può tuttavia trovare traccia di una umanità in viaggio. Sul lato sinistro, Musicians: due sagome color turchese su uno sfondo scuro. Quelle di due musicisti di strada le cui figure, rimandate da una parete marmorea come da uno specchio, sono state dapprima fotografate con un cellulare e poi riprodotte sulla grande tela da Tuymans. Al lato opposto, sulla destra dell’altare maggiore Heat. Un dettaglio ingrandito di una lampada termica: tondi rossi che formano una croce e che paiono comunicare il calore irradiandolo quasi fino a sfiorare le figure evanescenti sospese nelle pennellate scure della tela posta di fronte. Un calore che è anche luce nella tenebra di un presente nel quale ciascuno di noi rischia di restare immagine riflessa, prossima allo scioglimento.
Sono tante le suggestioni che l’ardito accostamento dei due dipinti evoca. Così come le meditazioni su noi stessi e sul buio talvolta infuocato dall’ardere delle guerra dei nostri giorni. Anche questa di San Giorgio è un’opera aperta, esattamente come quella al civico 450 del sestiere di Castello. Esattamente come la quotidianità che ciascuno di noi è chiamato a plasmare, dando sostanza, si spera, alle impalpabili architetture dello spirito.
Immagine di copertina: Complesso di Santa Maria Ausiliatrice
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