
Margarethe von Trotta sarà a Venezia nel pomeriggio del 19 maggio (ore 16,30), all’Ateneo Veneto, per parlare del suo cinema e della lunga amicizia, diventata complicità politica e spesso collaborazione professionale, con Rossana Rossanda. Dopo i saluti della presidente dell’Ateneo, Antonella Magaraggia, Ottavia Piccolo leggerà brani dalle sue recensioni ai film di von Trotta. La regista tedesca sarà intervistata da Giovanni Spagnoletti, germanista, critico cinematografico ed ex direttore della Mostra di Pesaro, assieme a Doriana Ricci, collaboratrice storica di Rossanda, a Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri, redattori e critici del manifesto per molti anni, autori di Il film del secolo (Bompiani), conversazione con Rossana Rossanda su cinema, storia e politica. In serata (ore 20,30) al cinema Giorgione proiezione di Rosenstrasse (2003) alla presenza della regista. Margarethe Von Trotta, autrice degli ormai classici Anni di Piombo, Rosa L., Lucida follia e Hannah Arendt, è stata la prima regista donna del “Nuovo cinema tedesco” a conquistare il grande pubblico internazionale, come Herzog e Wenders. La cineasta visiterà, nella villa Hériot (Giudecca), sede dell’Istituto Veneziano per la Storia della Resistenza, “le stanze di Rossana”, i 3500 volumi della sua libreria, le lettere, i manoscritti, la scrivania e alcuni altri mobili della casa romana e parigina (è aperta al pubblico, dietro prenotazione, dal 2021).
Nel 100° anniversario della morte di Rosa Luxemburg ho mostrato il film a Roma alla Casa del cinema e c’era nel pubblico un grande dirigente del Pci, Aldo Tortorella che, a fine proiezione, mi ha detto: ‘Rosa L. mostra che noi comunisti possiamo essere umani, che abbiamo dei sentimenti, delle emozioni’
È la regista Margarethe von Trotta a ricordare la reazione emotiva, quasi sulla difensiva, dell’ex direttore dell’Unità scomparso nel febbraio scorso, di fronte a un film che si basava soprattutto sulle lettere, su “il privato è politico”, dell’indomabile dirigente spartakista assassinata dai socialdemocratici con psicotico sadismo. A Tortorella, però, non sfuggiva certo il fatto che l’entusiasmo nell’accettare quel progetto difficilissimo era stato trasmesso proprio a von Trotta della sua amica e compagna Rossana Rossanda, poi consulente storico-politico-letteraria di un’opera su commissione, che avrebbe dovuto dirigere Fassbinder, e il cui copione è stato interamente riscritto. E non sfuggiva neppure che Rossanda era stata radiata dal Partito comunista nel 1969.
Analizzare ciò che si sente
Il nodo culturale che ha diviso in quel frangente i fondatori del manifesto dal partito allora diretto da Luigi Longo era tra umanisti “realistici e storici” (così li definiva Tortorella) e materialisti storici che avevano a cuore non “la futura umanità”, non sostantivi astratti, ma – “Praga è sola” – donne e uomini concreti, perfino quando sbagliavano, o quando in gioco c’era la guerra al nazifascismo. Da Tortorella ci si sarebbe aspettato quelle che furono invece le obiezioni di Rossanda a un film bellissimo che però: “Lascia fuori le tematiche più complesse , come l’accumulazione capitalistica, la sua ipotesi di rivoluzione in Occidente… Luxemburg è un personaggio complesso che nessun femminismo prende in considerazione, così come lo scontro sul sesso in Russia prima e dopo il 1927.” Già. Gli “scheletri negli armadi”, per eccesso di calda emozione più che di teoria. La promessa (1995) fa i conti con la Ddr (“non è un bel ricordo. La Sed è il partito fratello più ottuso che io abbia conosciuto. Mi interroga un personaggio come Christa Wolf, che amo molto” ci disse Rossanda in Il film del secolo) e con l’invasione sovietica, e anche Ddr, della Cecoslovacchia. Come ricorda Hannah Arendt-Barbara Sukova (nel film del 2012, uno dei sei che ha fatto con von Trotta): quando si smette di pensare e si obbedisce invasati agli ordini che vengono dall’alto, eccola lì la banalità del male, cioè perdere completamente la dimensione umana.
Fare in modo che il pubblico pensi
Rosenstrasse (2003), progetto a lungo respinto dalle commissioni ministeriali addette ai finanziamenti cinematografici, della burocrazia banalmente maligna offre un altro squarcio storico devastante. Ma, come sappiamo, sono cose che non succedono solo dalle parti del terzo Reich. Le emozioni senza i pensieri sono quello che, al cinema e nella vita, von Trotta e Rossanda, brechtiane di ferro, hanno sempre combattuto. Né le prime nè le seconde appartengono in esclusiva a un sesso invece che a un altro. Però, in un’intervista di Rossanda a von Trotta sul manifesto sottolineava, a proposito di Lucida follia, che l’amicizia tra donne è più forte, la “sorellanza” è sempre centrale nei suoi film per la forza che trasmette a chi ha maggiore dimestichezza con il dolore rispetto agli uomini. “Le donne sentono in maniera più veloce, in modo più preciso, molto prima, che qualcosa non può funzionare, che non va” affermava Fassbinder. Ecco perché il fastidio adolescenziale di Margarethe nelle sale cinematografiche inondate solo da “macchine lacrimogene”, melodrammi a riflessi condizionati (sperimentati da Griffith con ben altre intenzioni) per impedire allo spettatore di essere critico, di rendersi conto delle cose vere che avvengono in un mondo che produce rapporti sociali e d’amore sempre più feroci. Meglio gli studi di filologia romanza e di filologia germanica che la saga seriale della principessa Sissi (detestata anche da Rossanda). Bergman e Godard aprirono però d’incanto sentieri sconosciuti. Fu uno shock. Donne ritratte così, a tutto tondo, non si erano mai viste. E neanche film “noir” che si impadronivano dei segreti di Hollywood (“fare, senza essere ingenui, film ingenui”, era la ricetta Fassbinder) mettendovi dentro, però, scandalose autenticità della vita, quel che si faceva davvero a Parigi in quegli anni, dal giocare a flipper alle scritte contro l’OAS bombarola, dalle interviste folgoranti a Sam Fuller alle frasi lette sui libri, dalla pornografia sdoganata all’ isteria razzista, dal juke-box alla soggettività desiderante diffusa ovunque. E su questo terreno l’incontro con Rossanda, studiosa d’arte, di miti antichi, di letteratura moderna e di classe operaia è stato molto fertile. Chi vorresti essere? “Pentesilea o Virginia Woolf” risponderebbe von Trotta. “Anche Ava Gardner, aggiungerebbe Rossanda: “avrei potuto fare il percorso che ho fatto anche se fossi somigliata a Ava Gardner”. Infatti Rossanda non ha mai sentito contro di lei, come von Trotta il peso ostile del maschilismo, che nel mondo del cinema è piuttosto vistoso, come ha chiarito il movimento Me Too.
La conquista della regia
Chiusa la fase attoriale, Il caso di Katharina Blum, la regia d’esordio di von Trotta del 1975, dal romanzo di Heinrich Boell e ispirato alla macchina del fango dei media d’estrema destra contro le opposizioni extraparlamentari, lo scrive e lo gira con Schloendorff al fianco, ma non sarà facile, ancora nel 1978, togliersi di dosso, per firmare da sola Das Zeite Erwachen der Christa Klages (Il secondo risveglio di Christa Klages), tratto da un fatto di cronaca – una donna rapina una banca per salvare un asilo dalla chiusura – quel che è considerata, in quanto regista maschio, l’unica garanzia bancaria autorizzata. Rossana Rossanda condivide con von Trotta il classicismo hollywoodiano rooseveltiano anni 30 e 40, l’abilità dei cineasti nordamericani (quasi tutti europei in fuga, tedeschi soprattutto, ebrei di cultura) nel mescolare impegno e umorismo, denuncia e “privato”, impressionismo del gesto imprevisto ed espressionismo della luce delirante, estetica dei sentimenti e “estetica del silenzio” come Susan Sontag ha chiamato la capacità di opporsi all’orgia dei segni che ostruiscono l’immaginazione, contrastando il consumo compulsivo di immagini, suoni e parole con vuoti, silenzi, fughe. Von Trotta cattura come nessun altro le intermittenze e le sfumature del reale, spogliandole da ogni “pornografia effettistica”. Rossana, a questo proposito, critica l’abuso della musica del cipriota Nicolas Econumu in Lucida follia, spalmata più del necessario per dilatare la tensione della sequenza, raddoppiare il ritmo o anticipare l’emozione costruita. Ma è un dettaglio molto secondario. Invece su Anni di piombo Rossanda dice: “è il migliore film sugli armati, in quel caso la Rote Armee Fraktion. Allora pensavamo che fossero stati uccisi, mentre sembra accertato che si uccisero…con armi che solo la polizia poteva introdurre. La tematica è vera e il materiale le è venuto dalla sorella di Gudrun Esslin. La Raf è stato un grande fallimento e insieme una follia, nell’analisi e nel linguaggio”.
Germania, l’identità divisa
Von Trotta racconta le donne nella loro storia pubblica e segreta attraverso i suoi occhi azzurro assoluto che sanno posarsi sulle superfici più dolorose, intimamente e collettivamente ruvide e aspre. La sorellanza Rossanda-von Trotta è durata fino alla morte nel 2024 della ragazza del secolo scorso, accompagnando con consigli, telefonate e ricerche, tutti i film della cineasta tedesca successivi a Rosa L., sempre dalla densa sostanza conoscitiva. Pensiamo anche ai suoi film ‘italiani’ come L’Africana o a Il lungo silenzio che nei primi anni ’90 catturavano sull’Italia di Berlusconi nella sua guerra con la magistratura cose non scontate. In Germania, dove la sinistra storica era stata quasi internamente annientata nei campi di concentramento, il vuoto sul passato, dopo il 1945 fu ancora più assordante che da noi. La memoria andava recuperata, il nazismo riletto, le colpe ammesse e analizzate, i criminali processati e condannati. Ma l’atlantismo assoluto e oscurantista di Adenauer, e dall’altra parte del muro, i ‘comunisti per lo più abusivi’ (o sotto influsso) della Sed, pianificarono una rimozione totale della storia i cui frutti sono giunti a maturazione oggi, con l’insorgenza dell’Afd. Per fortuna la generazione sessantottina, nata attorno al processo di Norimberga ha preteso e imposto, dopo durissime lotte e non pochi errori, un cambio di rotta. Che la democrazia tedesca di oggi sia pronta a sciogliere un partito dal dna hitleriano si deve a quelle lotte. E tra quegli studenti c’era Margarethe von Trotta. La sua ricognizione storica è stata obliqua, ha raccontato le donne della storia e la storia delle donne, come in un doppio gioco dell’immaginario, dal medioevo di Hildegarda alla Weimar di Rosa L., dalle donne ariane che difesero nel 1943 i loro uomini ebrei alle sorelle del decennio plumbeo; dalle recluse di Stammhein agli on the road di Ingebord Bachmann.
Cinema internazional-popolare
Come altri cineasti rivoluzionari, Costa Gavras, Fassbinder, Petri e Bertolucci, von Trotta non scelse, negli anni 70, il cinema militante che parlava solo agli adepti o il cinema-saggistico alla Marker/Godard/Straub facilmente isolabile dal potere. Pur criticando il soggettivismo assoluto del cinema moderno, l’occhio scrutatore della condizione umana sotto lo scanner implacabile e profondo di Bergman, Fellini e Antonioni, o degli undergorund americani, von Trotta volle riportare un po’ di storia e nuda vita nelle pieghe del racconto, senza però troppo farsene accorgere. Da Godard ereditò la sensibilità postmoderna, il monologo interiore deve essere plurale, non privato, Joyce, non Proust, senza rinnegare però un rapporto adulto con il pubblico e il piacere del racconto (non sempre lineare, mai naturalistico).
Lo shock Bergman
Il giovane cinema tedesco, nato a Oberhausen nel 1962 con un celebre manifesto contro le immagini commerciali velenose, e il Nuovo Cinema Tedesco che incantò i decenni settanta e ottanta, quelli “delle rivoluzioni sconfitte”, fu l’ottimizzatore finale di questa ricerca, per una “cultura di sinistra diversa e plurale” che uscisse definitivamente fuori da semplificazioni e dogmi. Von Trotta, nata a Berlino da madre russa (indocile ad aristocratiche origini teutoniche), svezzata a Parigi dove ha studiato letteratura, prima dello “shock Ingmar Bergman” (Persona, Il silenzio, Il settimo sigillo… scoperti alla Cinémathèque di Langlois: anche il cinema puà essere arte, e non solo spaccio di emozioni spensierate), ha poi fatto i conti in patria con la pesante eredità dei “tempi di piombo”. Che non sono quelli della repressione della lotta armata Raf anni 60-70, ma i bui anni ’50 dei governi Adenauer, quando, in nome della guerra fredda, lo stato di diritto e la separazione dei poteri hanno subito tossici deragliamenti e inquietanti inquinamenti (per esempio con il ritorno di ex gerarchi nazisti nei posti di comando polizieschi, politici e finanziari). E poi con l’utopia sessantottina e la lunga marcia dentro le istituzioni che, nonostante Stammhein e l’uccisione nel 1977 dell’ex SS Hanns Martin Schleyer, capo della confindustria tedesco e notabile cristiano-democratico. “La Germania di oggi, 1981, non è la repubblica di Weimar e ancor meno il terzo Reich, disse Fassbinder ai Cahiers di cinema. Non è ancora nulla di tutto questo, ma tuttavia ha un quadro politico da cui mi sarei allontanato se Franz Joseph Strauss avesse vinto le elezioni(…) Finché le persone che dirigono questo paese, finché le leggi di cui dispongono non possono rivoltarsi contro di noi, contro persone che non sono affatto d’accordo con lo stato, finché non le utilizzeranno contro di noi, troverò sopportabile questo paese”).
Dalla modernità alla postmoderni
Margarethe von Trotta ha firmato finora 27 regie, anche televisive, l’ultima nel 2023 (Ingebord Bachman-Reise in die Wuste, Ingebord Bachman, viaggio nel deserto, inedito in Italia). Di 23 dei suoi 27 film ha scritto la sceneggiatura, e ha formato, tra il 1966 e il 1977, con Hanna Schygulla e Ingrid Craven, la triade attoriale femminile prediletta da Rainer Werner Fassbinder, quando, sulla scena e sullo schermo, venivano parodiati e demoliti – come in Italia da Carmelo Bene e in Germania dal maestro Jean-Marie Straub, esule politico francese – gli standard, i format e gli stereotipi del cinema e del teatro dominante, e si resuscitavano i classici deturpati o capovolti dalla ricezione borghese. Non a caso si chiamava “Antiteatro” la casa di produzione indipendente e fieramente non commerciale di Fassbinder che realizzò con Margarethe von Trotta i due neo-noir “brechtiani” Gli dei della peste e Il soldato americano e il metacinematografico Attenzione alla Santa Puttana (che è il “cinema”, ma quello tossico). Brechtiani sia per lo stile straniato della recitazione, sia per le interferenze canoro-musicali a inceppare di pensiero il flusso ipnotico narrativo e sia per l’invasione di continue provocazioni politiche al genere poliziesco (il razzismo, anche anti-italiano; il machismo; i metodi neo-fascisti della polizia di Bonn; il conflitto tra giustizia e Legge; le contraddizioni in seno al movimento studentesco rivoluzionario; la liberalizzazione del porno, i cuba-libre…). Fu attrice (anche televisiva) con l’allora marito Volker Schloendorff, Reinhard Hauff e Herbert Achternbusch, proprio mentre partecipava da attivista al movimento antiautoritario e femminista. E a quell’importante Associazione delle donne che lavorano nel cinema, Verband der Filmarbeiterinnen, nata nel 1980 dopo il festival di Amburgo, e a cui aderirono 82 cineaste. Dagli interventi teorici, analisi del linguaggio e dichiarazioni poetiche, si passò alla conquista di spazi espressivi e professionali fino all’imposizione del 50% dei fondi pubblici non solo per i progetti di donne registe, ma anche di cineaste nei corsi di formazione e nei posti direttivi, produttivi e distributivi per favorire la crescita della produzione cinematografica delle donne. Una vittoria del 68 tedesco.
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