
“È il primo della classe”, diceva di Mario Vargas Llosa, Carmen Balcells Segala, l’agente letteraria catalana, che ha avuto un ruolo fondamentale nella sua vita e in quella di molti poeti e scrittori di lingua spagnola, fra cui Gabriel García Márquez, Pablo Neruda, Julio Cortázar, Alvaro Mutis , Camilo José Cela , Juan Carlos Onetti.
Premio Nobel per la letteratura nel 2010, Vargas Llosa è morto lo scorso mese di aprile nella capitale del Perù, il paese d’origine con cui ha avuto un profondo conflitto, sostanzialmente culturale.
A Carmen Balcells, lo scrittore peruviano dedica Il Paradiso è altrove, un romanzo in cui offre il profilo vitale dell’ambiguo e del femminile, temi che costituiscono le atmosfere dell’opera di Vargas Llosa, folgorato da Madame Bovary che legge fin dal suo arrivo a Parigi nel 1959. L’opera, evidentemente, riesce a sintetizzare le sue inquietudini giovanili e le sue aspirazioni letterarie ed è oggetto di molte rivisitazioni più organicamente tratteggiate, nel 1975, nel saggio L’orgia perpetua: Flaubert e Madame Bovary.
Flora Tristan e il femminile.
Il fattore letterario ha un ruolo decisivo nella scelte politiche dello scrittore che identificherà la diffusa aspirazione redentiva dell’intelligencija latinoamericana, anglofila in Perù, con un’idea di sviluppo che si riconosce nella civiltà industriale e in quella europea, considerando arretrato e problematico il complesso apparato delle culture native.
L’aspetto conservatore e reazionario raggiunge il suo punto più alto con la candidatura alla presidenza del Perù nel 1990, successivo al rigetto della rivoluzione cubana e ad una energica contrapposizione alle istanze autoctone del paese che trovano eco in Chi ha ucciso Palomino Molero?, Il caporale Lituma sulle Ande dove i nativi, “molto religiosi” fanno sacrifici umani agli “spiriti della montagna”. Letterariamente, ha una più sostanziale compiutezza ideologica con il romanzo Storia di Mayta in cui sbeffeggia le idee rivoluzionarie della gioventù peruviana.
Nel periodo della campagna elettorale, lo scrittore si avvicina alla figura di Flora Tristan che, con Paul Gauguin, è la protagonista di Il Paradiso è altrove. Flora è una figura storica che segna gli albori della lotta per l’emancipazione della donna e i diritti dei lavoratori. Figlia di madre francese e di padre peruviano, Flora resta orfana senza che il genitore riesca a legalizzare il suo matrimonio in Francia, figlia illegittima e povera. Nel 1833 viaggia in Perù sperando di poter entrare in possesso dei beni paterni e incontra la propria natura: “Quanto bene ti avrebbe fatto l’esperienza peruviana. Quell’anno ad Arequipa e a Lima ti cambiò”. Con una frase innocente, l’Autore apre un percorso che la Storia con la S maiuscola non ha riferito e che porta invece alle sue radici. Non sapremo mai se le cose sono andate veramente così, ma è proprio quella “deviazione” a dare vita al patrimonio culturale ereditato. Non diversamente accade per Paul Gauguin che cerca l’incontro con la propria natura in un luogo dove arriva di slancio e per volontà, pagando il costo della sicurezza borghese. E se Flora viaggia in Perù dove ricompone il filo spezzato che le permette di ricongiungersi alla propria essenza naturale, Paul deve andare verso una specie di terra promessa, attratto da una forza alla quale non può e non vuole resistere. In un Perù, ancora preso dai sussulti del processo di indipendenza dalla Spagna, Flora incontra la resistenza di una società chiusa nei privilegi di alcuni, e Francisca Zubiaga, moglie del presidente Gamarra, una donna energica, reale protagonista della politica presidenziale, una condizione che le permette di scoprire una natura ignota. Dall’esperienza peruviana nasce Peregrinazioni di una paria, il primo passo di un percorso difficile, tormentato ed esaltante che tuttavia si chiuderà tragicamente. Non sarà da meno l’epilogo del grande pittore a Tahiti e con Teha’amana che gli aprono la forza del presente, può entrare nel mondo di Manao Tupapau e vivere una natura che gli appartiene e finirà per condurre le regole del gioco nella pienezza del giorno liberato dal futuro.
Natura e ambiguità
C’è una natura nelle cose e nelle persone ed è una forza che diventa tale quando trova i modi per esprimersi senza vincoli. E quando ciò accade, è l’ora dell’inatteso, dell’irrazionale senza aggettivi o con tutti quelli possibili: la felicità, l’angoscia, la tristezza, l’esaltazione o l’abisso.
L’ambiguità, è la condizione stessa della vita, anzi è la natura che si scontra con la convenzione, e se vuoi conoscere la storia di donne e di uomini devi cercarla nella dimensione della loro ambiguità.
Vargas Llosa separa, così, le storie già scritte dagli obblighi positivi fissati nel cliché della Storia, e le propone con l’umanità che sorprende, le immerge in un coacervo di emozioni quasi mai nitide, perché esse sono il battito di desideri nascosti a volte inconfessabili che vanno perciò lasciati nel semplice accenno del possibile, in quell’ambiguità fatta di pulsioni spesso irrazionali e comunque dalle origini indecifrabili, cioè natura. Affonda la penna nella Storia e la riscrive nel quotidiano di due individualità che affrontano il loro destino tragicamente inesorabile, eppure voluto e cercato. Flora Tristan e Paul Gauguin sono nonna e nipote, non sono accostati per ragioni di sangue, ma perché, “l’idea sociale di Flora e l’idea personale di Gauguin sono fondamentali e complementari”, afferma Vargas Llosa. Ma qual è mai il territorio della complementarietà tra Flora e Paul? E, soprattutto, qual è l’origine di tale idea?
Flora è come il punto dove natura e coscienza, distanti territorialmente, si ricompongono e il loro incontro avviene in un tempo che non può che essere culturale.
Nell’incontro c’è l’eco di quanto era accaduto nel 1600 a Garcilaso de la Vega, El Inca, figlio di un conquistador spagnolo e di una principessa inca. Emigrato in Spagna, aveva raccontato le gesta della civiltà incaica nei Comentarios Reales de los Incas (1609). Le origini dell’opera vanno cercate nella volontà di riscatto della propria cultura, ma anche nell’ambiente dei circoli umanistici dell’Andalusia che il primo grande scrittore dell’America Latina aveva preso a frequentare dopo le delusioni per la sua condizione di figlio illegittimo. Avrebbe scritto Garcilaso i suoi Commentari senza andare in Spagna?
Quando l’America Latina si guarda indietro per ritrovarsi in un qualche percorso della storia deve constatare le rotture che la segnano, confrontarsi con le culture locali interrotte. Il territorio appare allora come luogo di conflitto e sembra che Mario Vargas Llosa voglia ricomporlo nel tempo della letteratura e di una cultura in cui ambiguamente si riconosce.
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