
Non sempre è chiara l’importanza di un diritto, quando esso stesso ci appartiene dalla nascita. Per chi è nato italiano e nel nostro Paese ha sempre vissuto, la cittadinanza potrebbe rappresentare qualcosa di talmente scontato da non farci nemmeno porre il problema di quanto gran parte della nostra vita ruoti intorno a essa.
La cittadinanza è infatti ciò che permette a ciascuno di noi l’accesso completo a tutti i grandi diritti fondamentali, quelli stessi che ci permettono di partecipare alla vita pubblica e di usufruire di servizi, e cui l’accesso, senza cittadinanza, è senza dubbio meno lineare. Al tempo stesso, sono i cittadini a essere il corpo di un Paese, a riconoscersi nei suoi valori costituzionali, costruirne e portarne avanti l’identità.
Ius soli e sanguinis
Proprio per l’importanza di questo diritto, non esiste un modello universalmente perfetto di cittadinanza, e i diversi Stati hanno preso strade diverse legate a elementi storici, geografici e sociali. Gli Stati Uniti sono ad esempio un Paese che nella sua storia si è costruito sull’immigrazione, sull’insediamento in spazi amplissimi e che – complice una posizione geografica definita e confinante con appena due Stati – ha portato avanti la politica dello ius soli, per cui oltre all’elemento di trasmissione ereditaria la cittadinanza può essere ottenuta anche solo nascendo in territorio americano.
Non vale lo stesso per molti Stati europei, a partire dall’Italia, le cui storie, dimensioni e posizioni geografiche hanno fatto propendere per leggi basate principalmente sullo ius sanguinis, seppur in forme variabili. In Italia il principio prevalente è infatti quello del diritto di sangue. Si diventa cittadini italiani quando si è figli di almeno un genitore italiano, ma la cittadinanza può essere trasmessa anche da altri antenati a determinate condizioni.
Per acquisirla, invece, un cittadino straniero ha diverse possibilità: se nato in Italia, deve risiedere legalmente nel Paese fino ai 18 anni, mentre chi è nato fuori e si trasferisce in Italia deve risiedere legalmente almeno 10 anni, dopo i quali, se privo di precedenti penali, può chiedere la cittadinanza. Uno straniero può inoltre diventare italiano in seguito a matrimonio, dopo 2 anni se residente nel Paese o 3 se la coppia vive all’estero, ma i tempi sono più brevi se i due hanno dei figli. Può inoltre fare richiesta per ius sanguinis uno straniero che ha un antenato italiano: tale possibilità è stata limitata proprio negli ultimi giorni a un massimo di due generazioni di distanza.
Questi sono i casi principali, a cui se ne aggiungono altri relativi a situazioni più specifiche. La legislazione italiana, tuttavia, si basa in gran parte su un impianto risalente a decenni fa, quando ancora i fenomeni migratori internazionali erano molto più limitati.
In un Paese come il nostro, in cui negli ultimi anni l’immigrazione illegale ha avuto picchi estremamente alti a causa delle guerre e delle numerose crisi che hanno attraversato in primis l’Africa e il Medio Oriente, spesso si tende a vedere di pari passo le politiche migratorie con quelle della concessione della cittadinanza, ma si tratta in realtà di due cose che vanno affrontate singolarmente, senza che sia un tabù ad esempio avere una posizione restrittiva in materia di ingressi e più aperta in tema di acquisizione della cittadinanza, tenendo anche conto che quest’ultimo tema riguarda in molti casi persone arrivate molto giovani in Italia e perfettamente integrate nel nostro Paese.
Proposte di modifica
I dati relativi all’anno scolastico 2022/2023 raccontano di come nelle scuole italiane ben 914mila alunni, l’11% del totale, fossero di cittadinanza straniera. Senza conoscere la specifica condizione e gli specifici diritti già acquisiti da ciascuno di loro, non è possibile non tenere conto che chi di loro terminerà il ciclo di studi sarà una persona perfettamente formata in un contesto di studi italiano, così come non possiamo non tenere conto che molti di loro, al di là di cosa dica la loro carta di identità, si sentano già oggi italiani.
È proprio alla luce di questo che negli anni si sono succedute numerose proposte di legge per provare ad adeguare la legge sulla cittadinanza italiana a questa situazione. Negli anni, soprattutto a partire dal 2015, anno in cui alcune di queste proposte sono state portate in Parlamento, si sono succedute nel dibattito pubblico numerose formule, dallo ius soli allo ius culturae fino allo ius scholae, usando, come si fa per lo ius sanguinis, sempre la formula linguistica latina per promuovere la proposta.
Lo ius soli è appunto la legge che prevede di attribuire la cittadinanza di un Paese a chi nasce entro i propri confini: in Italia tale possibilità è stata proposta solo in maniera “temperata” o “condizionata”, limitandola solo a chi, ad esempio, è figlio di genitori stranieri ma legalmente residenti in Italia, e mai nella formula all’americana, in cui è a tutti gli effetti cittadino statunitense chi nasce nel suolo degli States, anche se per ragioni puramente casuali. La posizione geografica dell’Italia e la sua esposizione a flussi migratori anche come luogo di transito verso altre mete hanno tuttavia sempre fatto vedere tale possibilità con scetticismo anche in ambienti impegnati per la revisione del diritto alla cittadinanza, e anche per questo nel tempo hanno preso piede due proposte, lo ius scholae e lo ius culturae, che vincolano la possibilità di diventare italiani al percorso di studi.
Lo ius culturae, ad esempio, approvato alla Camera nel 2015 ma arenatosi due anni dopo, prevedeva la possibilità di ottenere la cittadinanza italiana a tutti i bambini nati stranieri nel nostro Paese o arrivati prima dei 12 anni di età che avessero frequentato regolarmente le scuole per almeno cinque anni e completato almeno un ciclo scolastico con la promozione: una proposta estremamente simile a quella dello ius scholae, portata in parlamento nella legislatura successiva ma arenatasi nel 2022. Il tentativo fallimentare delle opposizioni lo scorso settembre di votare alcuni emendamenti contenenti queste formule non è stato nulla di più più che un modo per cercare di riaprire il dibattito sulla cittadinanza sperando di coinvolgervi anche Forza Italia in seguito ad alcune aperture in materia.
Consultazione popolare
È sulla scia della riapertura del dibattito che va inserito anche il referendum, promosso in primis da Più Europa anche sull’onda della popolarità del movimento referendario contro la legge sull’autonomia differenziata: quest’ultimo avrebbe senz’altro contribuito maggiormente al raggiungimento del quorum del 50% più uno degli aventi diritto, ma il quesito in materia è stato respinto dopo che parte di quella legge era stata ritenuta incostituzionale dalla Consulta.
Trattandosi di referendum abrogativo, quello sulla cittadinanza non propone una delle formule elencate finora, ma interviene sulla legge esistente, abrogandone una parte in modo da equiparare la condizione di qualsiasi straniero regolarmente residente a quella di uno straniero maggiorenne adottato da genitori italiani, per cui sono necessari 5 anni di residenza nel nostro Paese. In poche parole, se il referendum dovesse avere successo, qualsiasi straniero dovrebbe risiedere regolarmente per 5 anni in Italia per chiedere la cittadinanza, dimezzando la tempistica rispetto agli attuali 10 anni.
Al passo coi tempi
Ma, norme a parte, quanti sono oggi gli stranieri che acquisiscono la cittadinanza italiana? Nel 2024 sono stati in tutto 217.177, toccando il record di concessioni annuali, superando i 213.716 del 2022 e in crescita esponenziale rispetto al passato, se pensiamo che nel 2000 tali acquisizioni furono appena 9.594: dati che da un lato mostrano che acquisire la cittadinanza, per quanto difficile, non è impossibile, ma dall’altro fanno vedere come sempre più persone, a prescindere dal motivo, vogliano diventare italiane. Il tutto, mentre nel nostro Paese la popolazione residente straniera era di 5 milioni e 253mila persone nel 2024.
Se andiamo a vedere la provenienza dei nuovi italiani che hanno ottenuto la cittadinanza nel corso del 2024, notiamo come la netta maggioranza arrivi da Paesi dai quali esiste un’immigrazione storica verso l’Italia. In testa, con 31mila persone, c’è infatti l’Albania, seguita dal Marocco a quota 27mila e dalla Romania a quota 15mila: queste tre nazionalità sommate rappresentano da sole oltre la metà delle nuove acquisizioni del 2024.
Questi dati mostrano dunque un’Italia in cui aumentano le richieste per diventare nostri connazionali e cresce la presenza di stranieri che già nei primi anni di età vivono nel nostro Paese, come dimostrano i dati sulle scuole.
Non esiste una risposta univoca per affrontare il tema dell’ottenimento della cittadinanza, ma questi numeri fanno capire che il tema va affrontato, e seriamente, senza mischiarlo ad altri argomenti e senza cadere in intimismi. È legittimo sollevare timori per l’arrivo indiscriminato di stranieri irregolari in Italia, è legittimo anche preoccuparsi che la mancata integrazione di gruppi di stranieri possa causare una minaccia ai valori costituzionali italiani, ma sono temi che vanno affrontati in maniera differente, tramite politiche di sicurezza, di promozione culturale e dell’istruzione e che riguardano solo in parte il tema della cittadinanza, in un momento in cui sempre più stranieri nascono e crescono in Italia e si formano nel nostro contesto culturale e istituzionale. La risposta sta nel trovare una formula che rappresenti una cittadinanza che non sia “facile” o “difficile”, ma adeguata al mondo di oggi.