“È da martedì che la vita di una famiglia unita è improvvisamente cambiata ed è stata tragicamente distrutta, per sempre. La mia famiglia e la mia vita, inevitabilmente, non saranno più come prima, come erano fino a lunedì sera”. Inizia così la lunga lettera di Maraya Lorusso, sorella di Sofia, 16enne scomparsa in seguito all’incidente in minicar avvenuto la sera del 27 maggio su via Tatarella. Promette giustizia la sorella, ma le sue parole sono anche un monito al rispetto per se stessi e per gli altri nei confronti della vita, quella vita che alla sua sorellina, che descrive come un uragano di vita e di sogni, è stata strappata.
“Dopo una perdita così grande – si legge ancora nella lettera – non hai più forze: di mangiare, di bere, di dormire e di ragionare. Ti senti frastornata, intontita, pensi costantemente di stare vivendo solo un brutto sogno e che vuoi solo svegliarti subito. Ma la realtà è che, in quei pochi attimi in cui acquisisci un po’ di lucidità, prendi consapevolezza che tutto quello che stai vivendo è, purtroppo, la vita vera. Una durissima e dolorosissima realtà. È esattamente quello che è accaduto a me e alla mia famiglia. Ed è vero: la vita cambia da un momento all’altro, un po’ come nella canzone di Vasco: “la vita è un brivido che vola via”. Inizi a dirti che ormai nulla ha più senso, soprattutto quando ogni cosa che si faceva – come mangiarsi un gelato e chiacchierare sul terrazzo di casa o guardare un film sul divano – la si faceva insieme. Tutto, sempre insieme. L’uno sempre presente per l’altro. Ed è proprio questo uno dei dolori che ti lacera: non poter più riavere indietro quei momenti lì, “piccoli”, semplici e “banali”. “Non è possibile che stia succedendo a me”, dici. Invece sì. E il momento più difficile, con cui inevitabilmente devi iniziare di nuovo a fare i conti, è proprio la quotidianità. Il tornare a casa e non trovare Sofia. Le sue scarpe all’ingresso, le sue chiamate, i suoi messaggi, sentire la sua voce con i suoi: “Mari, domani ho l’interrogazione, mi fai un riassunto o una mappa?” È proprio questa, la parte più dura: Il silenzio assordante e la tranquillità che fino a qualche giorno fa non appartenevano a noi, perché la nostra casa era un continuo via vai di amiche e amici, di risate, urla e musica a tutto volume. Perché Sofia era questa. Anzi, è questa. Sofia è voglia di vivere, spensieratezza, giocosità. E tutto questo lo ha insegnato e trasmesso a chiunque, dal più piccolo al più grande”, prosegue.
“Ma Sofia – scrive ancora la sorella – è anche senso di giustizia: se vedeva qualcuno prendere in giro qualcun altro, lo prendeva per le orecchie e diceva che fare il “di più” con una persona più fragile non era giusto. Stavolta però sarò io, attraverso le istituzioni, a dire che non è giusto che qualcuno abbia fatto il “di più” con te, ti abbia strappato a noi e alla vita. Perché io, stavolta, nel potere dello Stato ci credo. Nella magistratura ci credo. E non a caso studio proprio questo, perché il mio sogno è difendere i diritti e la vita dei singoli cittadini. “Ogni persona ha diritto alla vita” – Art. 2, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. E questo, Sofia, è il diritto che devo e dobbiamo rivendicarti. Il nostro, invece, è quello a un ricorso effettivo. E le autorità competenti ci stanno già lavorando. La prontezza, l’attenzione e il tatto che hanno dimostrato dal primo momento sono la dimostrazione del fatto che Sofia è entrata nel cuore di tutti. Perché Sofia è davvero figlia di Bari. Amava alla follia la sua città, non voleva partire perché preferiva restare qui con i suoi amici. E i suoi amici lo possono confermare. Sofia poteva essere la figlia di chiunque. Ed è anche per questo che è entrata nel cuore di tutti. I social sono pieni di foto e articoli su di te, Sofi, anima mia, bella mia. Della disperazione dei tuoi amici, ma anche di numerosissimi articoli e titoli “acchiappa like”, e commenti di gente cattiva”, scrive ancora rispondendo poi alle tante critiche ricevute sui social.
“La mia domanda – si legge ancora – è questa: perché, ogniqualvolta accadono tragedie di questo tipo, la colpa viene attribuita solo alle vittime, ai genitori delle vittime e/o ai tipi di vetture? “I genitori che stavano facendo? A dormire?” “Sono scatole di plastica, quelle minicar.” “Andava sicuramente veloce la ragazzina, se l’è cercata.” “Guidava senza patente, ma come si fa?” “A quell’ora in giro, ma come si fa?” E tante altre ancora… Ora mi viene spontaneo chiedere a tutte queste persone: ma quando parlate, ragionate? O parlate solo per il gusto di commentare e prendere qualche like? Io e Sofia abbiamo la fortuna di avere dei genitori che dal primo giorno sono sempre stati presenti. In ogni singolo momento. Mia madre e mio padre non sono mai stati menefreghisti: anzi, finché io e Sofia non rientravamo a casa, rimanevano svegli ad aspettarci seduti in cucina. E nel frattempo ci mandavano tremila messaggi per sapere dove e con chi fossimo. Tuttora lo fanno con me, che ho 23 anni. I miei genitori hanno i numeri di tutti i nostri amici e, se a volte Sofia diceva che doveva uscire con qualcuno che mamma e papà non conoscevano, loro pretendevano di avere il numero di telefono. Per ogni fase della vita, ognuno di noi ha degli obiettivi. Molti ragazzi e ragazze, a 16 anni, vogliono prendere la patente. E così ha fatto Sofia. Mia sorella, lunedì sera, stava tornando a casa con la sua migliore amica, a bordo della sua minicar. A tutti questi leoni da tastiera: Voi, o i vostri figli, a 16 anni a che ora tornavate e tornano a casa? Alle 10? Alle 9? Con la scuola quasi al termine, anzi, è anormale per me – e lo stesso vale per molti altri – non avere la voglia di iniziare a respirare quel clima di leggerezza delle vacanze estive alle porte, e andare a farsi un giro, magari per un gelato o al bar con gli amici. Le minicar, pur essendo 50, non arrivano nemmeno a 40 km/h. Quindi come, e secondo quale dinamica, mia sorella se la sarebbe andata a cercare con l’alta velocità? In città la velocità massima è di 50 km/h. Mia sorella stava procedendo sulla sua corsia quando una macchina, evidentemente, ha scambiato quella strada per un circuito di Formula 1. Nessuna distrazione da parte di Sofia, perché la dinamica è evidente. E anche quella macchina – quella maledetta foto di cui il web è intasato – parla chiaro: è stata tamponata, e l’impatto è stato violento. Sapete quando qualcuno gioca a bowling? Qualcuno ha fatto strike, ma non ha vinto niente, purtroppo. Abbiamo solo perso. Tutti. A causa della non prudenza e dell’alta velocità di questi “campioni”, a pagarne sono sempre gli innocenti. Come Sofia. Ma Sofia – si legge infine – come sempre, “dà una lezione”. Vi prego: andate piano.
Rispettate gli altri e voi stessi. Rispettate le vite altrui. Proteggete la leggerezza della vita, che a noi è stata ormai tolta. Godetevi ogni singolo istante: non litigate, fate festa, ridete, sorridete, abbracciatevi e amate, perché da un momento all’altro la vita può cambiare. Apprezzate i piccoli – ma grandi – gesti e momenti. A te, Sofi, URAGANO DI VITA E DI SOGNI. Finché io, mamma e papà avremo possibilità, ti daremo la giustizia che meriti”, conclude.
L’articolo Bari, morte 16enne in minicar. La sorella: “Ti daremo giustizia” proviene da Borderline24.com.