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Il 15 agosto 1863 veniva emanata la legge Pica con l’indicazione numerica 1409. La legge che doveva reprimere il brigantaggio soprattutto nel Sud d’Italia fu promossa appunto dal deputato abruzzese Giuseppe Pica. Una legge che si rese necessaria per reprimere, dicono i libri di storia, bande irregolari che assalivano di preferenza i piccoli legittimisti italiani e stranieri massacrando notabili, incendiando archivi comunali e altro. L’introduzione per ricordare che proprio oggi, 5 giugno ma del 1830 nasceva a Rionero in Vulture, Carmine Crocco, noto anche come “Donatello” o “Il Generale dei Briganti”, oppure solamente il “Generalissimo”. Brigante italiano del XIX secolo, particolarmente attivo nel periodo del Risorgimento e successivo, capo di una delle bande di briganti più notevoli che agì in diverse aree del Mezzogiorno, causando notevoli problemi al governo piemontese- legittimista. Crocco fu in maniera indubbia protagonista del grande brigantaggio che dal 1861, data dell’Unità d’Italia senza il regno Pontificio, fino al 1865 al centro di duri scontri che insanguinarono una parte del Su d’Italia e in particolare la Lucania. Una storia personale, quella di Crocco, piena di grande disagio. Fin dall’età di sei anni lavorò in diverse masserie della Puglia e della Basilicata finché, nel marzo 1849, fu chiamato alle armi: da Napoli seguì il suo reggimento di artiglieria in Sicilia, per partecipare alla repressione del moto separatista, e poi, nel dicembre 1851, a Gaeta, dove disertò poco dopo, con il grado di caporale. Tornato nella sua terra e datosi alla macchia, iniziò la carriera banditesca commettendo una serie di rapine nel corso del 1852 e del 1853; catturato e condannato a diciannove anni di ferri dalla gran corte criminale di Potenza (13 ott. 1855), evase dal bagno penale di Brindisi, nel dicembre 1859, e ricominciò a ladroneggiare. Nell’imminenza dell’arrivo di Garibaldi, Potenza insorse contro i Borboni (18 agosto 1860), e Crocco si aggregò ai patrioti, sperando che il nuovo Stato unitario avrebbe dimenticato i suoi passati delitti. Presto, però, si avvide che le promesse dategli in proposito dai capi liberali potentini non venivano tenute in nessuna considerazione dall’autorità giudiziaria, sicché, per evitare la cattura, il 7 gennaio 1861, si rese latitante e tentò invano di espatriare in Grecia da un porto pugliese. Arrestato a Cerignola (Foggia) il 27 gennaio, riuscì di nuovo ad evadere dopo solo otto giorni di detenzione grazie al favore della potentissima famiglia dei Fortunato si rifugiò nelle foreste del Vulture, dove si pose alla testa di una dozzina di grassatori. Istigato dai gruppi borbonici attivi nel Melfese a fare della sua banda lo stato maggiore di un esercito sanfedista che accendesse la controrivoluzione nel circondario, e allo scopo gli furono procurati uomini e denaro; quantunque avesse “costantemente abborrito” Francesco II, il C. si lanciò tuttavia nell’avventura reazionaria, perché si sentiva “sicuro di ricavarne guadagno e gloria”. Ma alla fine non fu cosi. L’entrata in scena nel giugno del 1864 del Generale Emilio Pallavicini che prese il posto del Generale Franzini nel comando della zona di Melfi, e Lacedonia, per Crocco fu la fine. La sua avventura si concluse il 25 luglio 1864 quando subì una disfatta rovinosa , insieme alla banda Schiavone , sul fiume Ofanto, tra il Ponte di Santa Venere e il “passaturo” Canestrelli. Di lì dallo stato Pontificio alla fuga in Algeria e all’arresto dei francesi a Marsiglia e al ritorno in Italia dove fu ritrovato nel forte di Paliano, in provincia di Frosinone da dove venne tradotto nelle carceri di Avellino e successivamente a Potenza. Qui condannato a morte con sentenza dell’11 settembre 1874 pena commutata con i lavori forzati a vita che svolse presso i penitenziari di Santo Stefano e di Portoferraio fino al 18 giugno del 1905 giorno della sua morte. Un generale, Emilio Pallavicini, e un Brigante, Carmine Crocco, un finale di una lunga vicenda ben raccontata da Carmine Pinto professore Universitario di Storia Contemporanea a Salerno nel suo libro “Il Brigante e il Generale”, edito da Laterza. Uno spavaldo erede del mondo feudale contro un baldanzoso aristocratico di spada. La storia tra l’ultimo esercito dell’antico regime legittimista contro il primo esercito nazionale costruito tutto in caserma. Protagonista le rive dell’Ofanto dove alla fine si svolse una grande sfida. Ma il ricordo della sua nascita è solo per entrare di più nella figura umana della persona fuori dal contesto della comunità. Per dire cosa portava nel suo intimo Crocco che lo trascinò a ribellarsi. Tradimenti, poca lealtà, promesse non mantenute? Un dato emerge chiaro: Non fu un traditore o un ruffiano. Mori portandosi con se tutti i segreti delle sue battaglie. Un po’ che Giulio Andreotti.
Oreste Roberto Lanza
L’articolo Il Brigante Crocco, brigante o rivoluzionario del Risorgimento italiano? proviene da LSD Magazine.