
“Venezia è una città”: si è sentito spesso usare l’espressione nei giorni delle proteste contro il matrimonio in Laguna del padrone di Amazon, Jeff Bezos. Venezia è una città, si è detto a gran voce, e non può essere ridotta a compiacente scenografia di una parata nuziale che l’affitta come se fosse il cortile di un resort. Venezia è una città è anche il titolo di un libro uscito nel 2009. Lo ha scritto Franco Mancuso, architetto, a lungo docente di progettazione urbanistica allo Iuav. Lo pubblicava una giovane, ardita e piccola casa editrice, la Corte del Fontego, che doveva il proprio nome a un luogo raccolto, una corte, appunto, da un arco della quale si accede in Campo Santa Margherita. Sulla stessa parete dell’arco c’è traccia di altri cinque archi, tutti murati, che Marina Zanazzo ha stilizzato come logo elegante ed evocativo della casa editrice da lei fondata nel 2007 [immagine di copertina].
Marina Zanazzo è morta a 61 anni nel luglio del 2017 e dopo un lungo silenzio torna in libreria la collana che aveva ideato insieme a Lidia Fersuoch (ora artefice della sua rinascita) e che ha racchiuso in sé l’anima della casa editrice. La collana s’intitola Occhi aperti su Venezia e anche nell’immaginare il suo logo Zanazzo ha dato prova di una non comune sapienza grafica: ha preso un occhio da una delle tante illustrazioni dell’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert e vi ha applicato due mani, una delle quali regge un bisturi che ha lo scopo di dilatare quell’occhio affinché ci veda bene, non si lasci sfuggire nulla di Venezia, della sua storia, dei rischi che corre e della vitalità che esprime.
Il volumetto che inaugura questa nuova serie è dedicato a Le età del sottosuolo veneziano. L’hanno scritto Rossana Serandrei Barbero e Sandra Donnici, entrambe geologhe e già autrici di due libretti della collana, Le età della Laguna (2013) e A caccia di barene (2014). Volumetto, libretto: non sono parole usate a caso. Nella collana Occhi aperti su Venezia escono dal 2011 al 2015 42 saggi di 36 pagine ognuno (grosso modo 35 mila battute) che misurano 10,5 centimetri per 15. Sono dunque volumetti che stanno agevolmente nel palmo di una mano e che costano quattro euro. Libretti che a dispetto delle dimensioni sono ben ponderati ed esauriscono ognuno una questione veneziana, sia essa legata alle vicende contemporanee, ai temi della scottante attualità, sia essa proiettata sulla storia sociale o urbanistica della città, oppure ancora su argomenti più scientifici. Le età del sottosuolo veneziano appartiene a questa terza categoria ed è distinta da una prevalenza del colore verde in copertina, mentre il rosso domina nei libretti di attualità e il blu in quelli storici.
Marina non è un’editrice di professione, ma lo diventa interpretando il mestiere con tutta sé stessa, al pari di tante altre cose che fa nella vita. Si laurea in storia dell’arte, poi prende una specializzazione in archivistica e lavora a capofitto, per esempio, nell’inventario dell’archivio del comune di Noale, ordinando materiali dal Quattrocento in poi, pubblicando due volumi, ma dovendosi fermare al Seicento perché i fondi sono esauriti. È in quella occasione, siamo nei primi anni Novanta, che conosce Lidia Fersuoch, anche lei storica dell’arte e poi archivista, oltre che esperta combattente contro i maltrattamenti lagunari.
L’invenzione della Corte del Fontego è un atto di coraggio, quasi un azzardo. Marina ci pensa a lungo, conosce le difficoltà. L’editoria in un paese dove si legge poco è un’avventura ad alto rischio, e a Venezia ad altissimo rischio. Ma troppo forte è la voglia di riempire un vuoto, di rendere disponibile un repertorio di saperi sulla città e il suo ambiente, facendosi largo fra rappresentazioni cartolinesche e annunci di morte imminente. Lei, che non è veneziana, partecipa alla vita cittadina e si schiera, diventa una militante culturalmente attrezzata. Al suo fianco c’è Lidia e c’è Eddy Salzano, urbanista di lungo corso, politico attento e anche lui veneziano d’adozione.
La casa editrice nasce nel 2005 in questo sodalizio e su suggerimento di Salzano escono, fra gli altri, un classico della letteratura urbanistica, La città e il suolo urbano dello svizzero Hans Bernoulli (1876-1959), poi viene rieditato Mussolini urbanista, il saggio di Antonio Cederna sugli sventramenti e le ricadute a Roma delle megalomanie imperiali del fascismo, quindi il già citato testo di Mancuso, che è una puntualissima storia delle vicende costruttive di Venezia, volte a dimostrare che se c’è una città più città di tutte le altre, quella è proprio Venezia. Ecco anche Venezia: terra e acqua di Gigi Scano e Ma dove vivi? La città raccontata di Salzano.
I libri sono curati, carta e copertine sono costose, la giustezza dello scritto è ariosa e l’impaginazione ha un riconoscibile tratto di manualità. Quando c’è, l’apparato iconografico, siano foto siano disegni, è di prima qualità. Le riproduzioni sono perfette e non c’è un refuso, neanche a pagarlo oro. La Corte del Fontego non ha dipendenti, Paolo Spoladore collabora per la grafica. Marina fa molto da sé, segue la lavorazione dei libri e ne accompagna l’edizione curando la scrittura parola per parola, fermandosi sull’interpunzione, suggerendo di risparmiare aggettivi, termini tecnici e frasi fatte e se i consigli non bastano, lei insiste fino a spuntarla. Quando il libro esce lo porta in libreria e se la libreria è in terraferma prende i pacchi e li carica su un furgone parcheggiato a piazzale Roma e li sistema in un angolo lasciato libero dalla coperta di lana scozzese sulla quale si accucciano i suoi due labrador. Una volta si organizzò una presentazione all’università di Ferrara, alla facoltà di Architettura, in palazzo Tassoni, Marina arrivò e si sistemò lì, in fondo alla sala, seduta dietro a un banchetto. Vendeva i libri, con i cani appisolati ai suoi piedi.
Marina non è sola. Insieme a Lidia nel 2011 progetta la collana Occhi aperti su Venezia. L’idea è brillante e innovativa: libretti piccoli, a poco prezzo, ma concepiti con criterio. Possono essere letti uno per uno, ma anche presi nel loro insieme, componendo una specie di dizionario per conoscere Venezia. Gli argomenti Marina e Lidia li scelgono insieme: il turismo, le grandi navi, il Mose, il moto ondoso. E anche la storia di Rialto o del porto, gli imbonimenti in Laguna o la stratigrafia archeologica. Molti dei titoli è Marina a proporli. Alcuni restano impressi: Benettown, per esempio, di Paola Somma, sulle mire espansioniste della famiglia trevigiana, Tessera city, di Stefano Boato, sulle speculazioni intorno all’aeroporto, A che ora chiude Venezia?, di Enrico Tantucci, sulla città concepita come un luna park, Confondere la Laguna, di Lidia Fersuoch, sulle manipolazioni della morfologia lagunare. Resta impresso per efficacia Il ponte di debole Costituzione, di Nelli-Elena Vanzan Marchini, che gioca sulla denominazione del ponte di Santiago Calatrava.
I libretti non sono pamphlet, sono rigorosi e chiari, indirizzati a lettori curiosi e pazienti, ma non specialisti e sottoposti da Marina e Lidia a una verifica quasi ossessiva di fonti, di esattezza, di documentazione, di dati, di numeri. Ognuno fa storia a sé, ma un filo rosso li tiene legati e consente di passare dall’uno all’altro, proponendosi in entrambi i casi di essere un ausilio indispensabile per chi vuole conoscere Venezia, almeno un po’.
Le regole editoriali sono parte del progetto culturale. “Non saranno accettati”, è scritto in un promemoria inviato a tutti gli autori della collana, “sfoghi generici, ripetizioni retoriche, lirismi, vezzi stilistici, iperboli, esagerazioni che attenuano e indeboliscono le denunce e tolgono credibilità al contenuto. Saranno sorvegliati gli abusi di tecnicismi, di espressioni stanche e usurate, mutuate dai linguaggi politico, burocratico, legislativo, urbanistico, dall’inglese, ma anche solo occasionalmente di moda. Espressioni come supportare, input, quant’altro, piuttosto che, volano dell’economia, immaginario collettivo, bagaglio culturale, emblematico, percorso, sdoganare, riqualificare, guru, intellighenzia, governance, implementare, a 360 gradi, declinare, intrigante, importante nell’accezione di grande, complicato nell’accezione di difficile, in qualche modo, resilienza e via dicendo non saranno accettate”. Sembrano solo norme di buona scrittura, come quelle che un caporedattore dispensa a un cronista neoassunto. Sono invece un’esortazione giocosa e perentoria a sorvegliare le parole: per Marina e Lidia è un imperativo dettato dall’intenzione di salvaguardare Venezia dall’uso improprio di un lessico consunto, debordante e fastidioso. E le regole editoriali ambiscono a una specie di ecologia della rappresentazione di Venezia, un invito a essere accorti quando si racconta una città come questa.
L’articolo In breve, Venezia proviene da ytali..