
Malgrado i numerosissimi turisti che la invadono quotidianamente, ignari della vita cittadina che prosegue ostinatamente, Venezia è viva.
Affermazione lapidaria, che non ammette repliche. È scritta nero su bianco nell’introduzione al libro Venezia è viva, un progetto editoriale curato da Donatella Calabi, professore già ordinario di Storia della città e del territorio nell’Università IUAV di Venezia, con i contributi di altre quattro storiche. Nel libro vengono analizzate cinque aree urbane, lontane dall’area marciana,
nelle quali la proverbiale resilienza dei veneziani si accompagna alla presenza di conoscenze, di saperi, di invenzioni, di usi del suolo e dei materiali che ci permettono di cogliere la straordinaria vitalità di cui la città lagunare è ancora portatrice.
Una di queste aree è l’isola della Giudecca. Questa storia comincia qui.
Un’amica comune, che frequenta il convento, mi ha proposto di conoscere Serena e Nicola e mi ha accompagnato nel loro atelier. Subito è scaturita l’idea di fare qualcosa insieme e luogo ideale per realizzarla ci è sembrato il convento. Loro stavano preparando dei quadri che raffiguravano il percorso delle mistiche e gli elementi terra, aria, acqua e fuoco presenti nel Cantico delle Creature e offrire il chiostro del convento per realizzare una mostra mi è venuto spontaneo. Una mostra aperta alla cittadinanza in un luogo che si conferma luogo d’incontro per l’isola.
Padre Francesco Daniel, frate cappuccino del convento del SS. Redentore alla Giudecca, accoglie nel chiostro quattro pellegrini in una giornata ventosa di maggio. Serena Nono, Nicola Golea, Andrea Liberovici e me, che varco la soglia per la prima volta. Serena e Nicola hanno portato due quadri per provare l’allestimento della mostra che si aprirà a luglio e provano a posizionarli in favore di luce, Andrea studia l’acustica mentre io, nonostante le raffiche di vento che disturbano la registrazione, continuo la conversazione con padre Francesco. Complice sicuramente la santità del luogo, nonostante il vento, restiamo tutti imperturbati.
Ma come ci sono arrivata in convento? Tutto comincia da una conversazione con Serena Nono, nell’atelier della Giudecca, circa una settimana prima.
Partiamo da due ricorrenze importanti – esordisce Serena – una riguarda gli ottocento anni dalla redazione del Cantico delle Creature, e l’altra, che cadrà nel 2026, si riferisce agli ottocento anni dalla morte di san Francesco d’Assisi, che lo ha scritto.
Due ricorrenze che non possono passare sotto silenzio, urge una testimonianza.
Ho avuto occasione, una decina di anni fa, di allestire una mostra al Museo della Porziuncola ad Assisi e da quell’esperienza mi è rimasto il desiderio di ritornare con una nuova proposta. Queste due ricorrenze, mi danno la possibilità di ritornare a esporre in quei luoghi. Ci penso da almeno un anno e sono arrivata a decidere i soggetti dei quadri da realizzare confrontandomi con Nicola (Nicola Golea, pittore paesaggista, suo compagno di vita e di arte) e ci siamo divisi i compiti. Nicola si focalizzerà sugli elementi del Cantico e io , partendo dalla figura di santa Chiara, darò volto alle mistiche francescane con l’eccezione di santa Caterina. Sono molteplici i motivi che mi hanno avvicinato a queste figure a partire dal fatto che, anche se non materialmente scritti dalle dirette interessate, in quanto analfabete, e quindi dettati, i loro trattati teologici e i loro testi poetici costituiscono i primi testi femminili di cui disponiamo. Altro aspetto che mi ha coinvolta è il contenuto dei testi, tenendo conto del periodo storico, il Medioevo. Parlano di devozione, di amore mistico , di passione. Leggendo le loro biografie ho scoperto donne che hanno fatto scelte di vita contrarie all’imposizione del tempo. Il matrimonio e la maternità, scelte obbligate o sbocchi naturali, vengono rifiutati per rispondere a una diversa chiamata. La chiamata alla vita monastica arriva anche a quelle di loro che, pur mogli e madri, sono rimaste vedove e vedono sfavorevolmente il proprio reinserimento nella famiglia d’origine. Altro aspetto da non sottovalutare è che molte di queste mistiche sono state fondatrici di ordini monastici improntati alla povertà assoluta e per questo spesso osteggiati dall’autorità ecclesiastica. Il radicalismo di santa Chiara ne è un esempio: non vuole possedere nemmeno i locali che ospitano la comunità da lei fondata. La mendicità a favore dei poveri, i digiuni devozionali, l’istituzione di ospizi per bisognosi, sono pratiche che accomunano queste donne. La loro voce si fa sentire oltre le mura conventuali, ne è esempio santa Caterina che fa sentire la sua voce scrivendo ai potenti della Terra lamentando ingiustizie. Questo “femminismo“ ante litteram non è accettato e viene svilito accusando in certi casi la donna di eresia, di possessione demoniaca tanto da far dubitare molte di loro di se stesse. Anche in quel tempo la diversità veniva combattuta e non capita.”
Guardo Nicola, che ha ascoltato in silenzio. Gli occhi, dietro le lenti rotonde degli occhiali, seguono un percorso emotivo, si confondono.
Per me lavorare sul Cantico rappresenta sicuramente una sfida culturale,visto che vengo da un altro Paese, ma anche una possibilità di integrazione attraverso lo studio della storia e della letteratura italiana partendo dal più antico testo scritto.
Sicuramente lo studio del Cantico ha portato in superficie caratteristiche del mio essere che non sapevo di possedere e che invece si esplicitano attraverso la pittura. Come san Francesco non aveva una visione antropocentrica ma metteva in relazione l’uomo e la natura, anch’io ho rivolto lo sguardo alla natura, complici sicuramente i colori che, prima di usare nelle tele, amalgamo artigianalmente fino a ottenere sfumature e riflessi che mi soddisfano. A volte sono colori che non sono catalogabili ma esprimono quello che vedo. Certi tramonti rossi, che a prima vista possono stupire, non sono altro che l’effetto dell’inquinamento atmosferico che trasferisco nei miei quadri.
Ho cercato, nello studio del testo francescano, di attualizzare il paesaggio immettendo le mie esperienze, le mie sensazioni. Ma ho voluto anche realizzare tre quadri figurativi incentrati sulla persona San Francesco. Che volto dare al Santo? Non ho modelli precostituiti, provo fino a essere soddisfatto dell’immagine che ottengo, magari affiora il volto di un amico.”
Nicola si definisce artigiano, il suo è un lavoro di assemblaggio, dalle tele ai telai, dalla terra ai colori. La manualità è importante in questa fase, ha una sua ritualistica.
Poi mi metto davanti alla tela e mi faccio ispirare. Quando l’immagine arriva lavoro in modo continuativo fino al termine del quadro, senza interruzioni. Interrompere il lavoro implica perdere sia l’ispirazione sia la concentrazione. Da una tela bianca alle immagini del Cantico, semplice.
Serena Nono in un ritratto di Nicola Golea e autoritratto di Nicola Golea
La lettura del Cantico delle Creature, da un lato, e gli scritti delle mistiche dall’altro sono le linee portanti dell’ideazione e progettazione dell’allestimento. In mostra vedremo due sezioni dove i quadri dedicati agli elementi naturali saranno accompagnati, ognuno, dai versi del Cantico corrispondenti, le figure delle mistiche saranno accompagnate da totem con stralci dai testi di ognuna di loro.
Ma non saremo solo noi gli artefici di questa mostra-installazione. Abbiamo coinvolto Andrea Liberovici ( personalità eclettica nel settore musicale, compositore, e drammaturgico) con un montaggio di voci. Le voci appartengono a donne che vivono e operano nel territorio, alle detenute e ex detenute del carcere femminile della Giudecca e le ha raccolte per noi , Michalis Traitsis, regista, che opera da sempre all’interno della casa di reclusione. Penso a un’installazione sonora continuativa, quasi una litania.
A questo gruppo di lavoro, si aggiunge padre Francesco del Convento del Santissimo Redentore, che, entusiasta, mette a disposizione il chiostro. Questa mostra, destinata poi ad Assisi, comincia qui, alla Giudecca, isola vicina e lontana dal centro marciano, con una sua forte identità dove si tessono reti di saperi e linguaggi diversi, a testimonianza di una città viva.
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