
«Questo è Area 51 per me: un passato di errori e un futuro per riscattarsi». Così Gennaro Speria, conosciuto a Rozzano come “Genny Lo Zio”, racconta la storia della sua associazione, nata nel 2016 con l’obiettivo di supportare gli abitanti del quartiere dell’hinterland milanese.
Ogni giorno centinaia di persone si recano nella sua struttura per ottenere forniture alimentari e beni di prima necessità che sono offerti da associazioni e volontari presenti sul territorio: molti cittadini in coda sono i cosiddetti “nuovi poveri”, ovvero lavoratori precari, disoccupati o immigrati messi in ginocchio dalla crisi economica acutizzata dalla pandemia di Covid-19.
A supportare Speria ci sono soprattutto ex detenuti – tra cui tanti giovani che hanno intrapreso il percorso di messa alla prova – con la speranza di poter ricominciare da zero una volta terminata la propria pena. Per Genny Lo Zio, la fiducia nei loro confronti è una vera e propria missione ereditata dal suo trascorso personale.
Passato criminale
La storia di Speria inizia nel difficile quartiere di Casavatore, a pochi passi da Secondigliano, in un periodo in cui le guerre tra le bande criminali divampavano per le strade della periferia napoletana.
«Non ho mai frequentato le scuole perché non vedevo nessun futuro per me», racconta a TPI il 52enne, conosciuto anche come “Barabba”, un appellativo tagliente che fa riferimento al suo passato nella criminalità. «Ho iniziato a contrabbandare sigarette all’età di 9 anni e da lì in poi l’ascesa negli inferi è stata breve: lo spaccio di droga è diventata la mia più grande fonte di reddito».
La vita di Speria evolve e cambia faccia, proprio come la Camorra che, a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta, diventa imprenditrice e assolda giovani leve per far lievitare il business della droga.
«Sembrava quasi di essere in coda al supermercato: le strade di Secondigliano pullulavano di spacciatori e di tossici alla costante ricerca di roba da iniettarsi in vena», ricorda Genny. «Pian piano le tecniche di spaccio si affinarono: per un periodo lavorai come cameriere, ma sui vassoi non portavo solo cibo e drink, ma soprattutto parecchie bustine».
E per Genny il passo dalle piazze di spaccio al carcere è stato breve: 20 anni in cui, tra le quattro mura della sua cella, ha potuto riavvolgere il nastro della sua vita, prendendo consapevolezza, per la prima volta, di come la violenza non fosse un’alleata ma l’ostacolo più grande per una vita migliore.
«All’inizio – dice oggi – vivevo il carcere come una lotta tra leoni: dovevo essere il più forte e ho pensato, a suon di pugni, di guadagnarmi il rispetto degli altri detenuti. Poi gli anni passavano veloci e io invecchiavo tra le sbarre. Mi sono chiesto a cosa fosse servita questa violenza: avevo guadagnato il rispetto di quelle persone o il loro timore?”».
Via Crucis
Dopo la lunga detenzione, le sbarre del carcere si aprono e il destino bussa alla porta di Genny per offrirgli un’occasione di riscatto: per puro caso conosce il titolare di una piccola officina a Rozzano che gli offre un lavoro. E così, tra macchine e motori, Speria ritrova la fiducia in se stesso e nelle sue capacità.
Durante questi anni difficili, Genny ha sempre avuto un faro guida che l’ha accompagnato nei momenti più delicati: la fede. Proprio per questa ragione, pentito per le sue decisioni di vita, ha scelto di redimersi e di farlo in un modo a dir poco teatrale: ha percorso la strada che da Milano porta a Roma a piedi, imbracciando una croce in legno di oltre 40 chili.
«Mi hanno dato tutti del pazzo, mi sono perso almeno quattro volte solo tra Melegnano e Pavia, ma dopo varie peripezie sono giunto alla meta», racconta con un sorriso sghembo.
La Via Crucis realizzata da Speria è stata apprezzata persino da chi ha fatto della redenzione la sua stella polare: Papa Francesco in persona. I due si sono stretti in un lungo abbraccio in Piazza San Pietro e l’ex detenuto, da vero fan, si è fatto autografare dal pontefice la croce che, ancora oggi, è appesa alle pareti di Area 51.
Di ritorno da Roma, Genny si è dovuto scontrare con un’amara realtà: dopo anni, infatti, è stato costretto a chiudere la sua officina. Una volta abbassata la saracinesca, però, questo spazio ha indossato una nuova veste, diventando il cuore pulsante del quartiere. Qui, Lo Zio ha smesso di aggiustare macchine e ha iniziato a riparare i frammenti di vita di tutti coloro che, ormai, hanno perso ogni speranza.
Solidarietà
Ogni giorno gravitano attorno ad Area 51 file di persone e, ognuno di esse, è alla ricerca di un bene diverso: c’è chi cerca cibo, chi vestiario, chi semplicemente una parola di conforto o una mano tesa per uscire dal baratro in cui è sprofondato. In poco tempo Speria è diventato una figura di riferimento per molti giovani ex detenuti che sognano un futuro in cui non è la loro condanna a definirli unicamente come persona.
«Il problema delle carceri è che la funzione educativa tanto decantata è solo una chimera», spiega chi, questa esperienza, l’ha vissuta sulla propria pelle. «Quando si esce dalle sbarre si è spaesati, si cerca un supporto da parte delle istituzioni, una mano amica che spesso è assente. Ed è proprio questa mancanza a generare rabbia e frustrazione in coloro che, per paura o necessità, tornano a delinquere».
Tra le mura di Area 51 questi ragazzi – si parla di oltre 120 giovani – accolgono l’arte dell’altruismo e una realtà che per molti anni è stata negata loro: un futuro limpido è possibile anche per chi, fin dalla tenera età, si è dovuto scontrare con le sfide della vita. E così ogni giorno, affrontano il freddo invernale per offrire un pasto caldo o un maglioncino di lana a famiglie che ormai non hanno più nulla.
Tra chi scarica i camion pieni di merce e chi, buste alla mano, sceglie i prodotti che andranno a riempire i frigoriferi dei cittadini di Rozzano, i ragazzi di Area 51 tornano a essere parte integrante del tessuto sociale. Una mano tesa che giunge anche da diverse personalità del mondo dello spettacolo: dal rapper Tony Effe al tour manager Emi Lo Zio, fino al duo de Le Donatella, questi sono solo alcuni dei volti che, con costanza e impegno, gravitano attorno alla piccola realtà di Genny.
«Il volontariato è sempre stato parte della nostra vita: quando riconosci di avere un privilegio è giusto allargarlo a chi questa fortuna non l’ha avuta», spiega Giulia Provvedi de Le Donatella. «E ci siamo avvicinate a Speria perché abbiamo riconosciuto in lui una genuinità innata: vive per tutte le persone che hanno bisogno di rinascere». Provvedi ha scelto di abbattere i preconcetti che ogni individuo ha insito in sé e di andare oltre al velo di apparenze che allontana gli uni dagli altri.
Lo stesso Genny, a causa del suo passato, del suo volto tatuato e del suo carattere – solo in apparenza – un po’ burbero è stato spesso tenuto a distanza o guardato con sospetto. «Oltre agli anni di carcere – spiega – ho dovuto scontare sulla mia pelle la diffidenza e i pregiudizi di molte persone che, conoscendomi, si sono dovute ricredere. Area 51 è casa per me e per i miei ragazzi. Per molti di loro sono diventato un esempio perché, quando si cade, ci si rialza sempre».