
Non è compito di un giornale promuovere o sostenere una manifestazione di protesta. Ma il matrimonio veneziano di Jeff Bezos, fondatore e padrone di Amazon, terzo uomo più ricco al mondo, promotore di un modello economico che dissipa tante altre economie, supporter interessato, ma comunque supporter, del presidente americano Donald Trump, è l’occasione perché vi sia un’eccezione a quella regola. Il matrimonio si avvicina (dal triduo 24-26 giugno sembra si sia slittati al 26-28), comitati e associazioni cittadine hanno già avviato contestazioni e altre ne hanno programmate: non è dunque né inopportuno né peregrino che un appoggio, un incoraggiamento, un messaggio solidale arrivi anche da chi fa informazione. La cui voce si aggiunge per richiamare quanti più veneziani e non veneziani possibile, veneziani di città storica, delle isole e di terraferma, a partecipare a una protesta civile, pacifica e gioiosa, ma anche fragorosa (come già si sosteneva in un precedente intervento) contro questa sbrasata.
Ricapitolando gli argomenti a sostegno della protesta si può cominciare dal fatto che Bezos, per meglio tutelare i suoi interessi, è fra i protagonisti del circolo oligarchico che fa da corona a Trump. Lo ha sostenuto in campagna elettorale mettendo a sua disposizione un caposaldo della libertà d’informazione come il Washington Post. E anche quando i suoi interessi venivano intaccati dai dazi, non ha esitato a indossare una museruola perché un atto di fedeltà al monarca valeva più che avvisare i clienti di Amazon che un aumento dei costi dipendeva da quei dazi.
Un silenzio acquiescente, suo e di altri tecno-plutocrati, ha accompagnato Trump nella progressione verso un regime autoritario, di destra estrema, che si sbarazza di contrappesi e di fastidiose università, culminato, per ora, in provvedimenti disumani e fanatici contro persone migranti, contro manifestanti sempre più numerosi, con il corredo di ingiurie rivolte a giornalisti, giudici e governatori. D’altronde un silenzio complice, ostinatamente praticato da Bezos e dagli altri sodali, affianca Trump nei suoi miserabili fallimenti sulla scena internazionale, dove i conflitti che avrebbe dovuto risolvere in 24 ore si moltiplicano e diventano più crudeli.
Basterebbe l’insolenza di un matrimonio faraonico mentre i civili palestinesi di Gaza vivono in un inferno, l’Ucraina subisce un’aggressione da quasi 40 mesi, e si allarga all’Iran l’incendio mediorientale, per manifestare disgusto verso una tale ostentazione di sfarzo e di potenza. Ma è Venezia lo scenario per esibire disprezzo verso tanta sofferente umanità, imponendo inoltre il principio che con i soldi si può comprare tutto, persino una città, ridotta per tre giorni a sontuosa figurante. Venezia non ha bisogno della promozione di una coppia miliardaria. Sempre ammesso che sia necessario, promuove da sé i valori di una dimensione urbana avvolgente e solidale, dell’adattarsi a una condizione ambientale singolare, dell’essere custode di un repertorio d’arte e d’architettura che è patrimonio di tutti e non solo di chi paga e di chi ne esige, anche solo per tre giorni, l’esclusiva, prescrivendo zone rosse, transenne e percorsi ostruiti, quasi una prova generale per misurare l’efficacia del decreto sicurezza.
Inoltre Venezia non ha bisogno dell’apprezzamento ipocrita di chi la usa per estrarvi moneta da spendere sul mercato delle immagini e dell’esibizione di sé: un progetto che concorre a consolidare una specie di egemonia politico-culturale cui si plaude dalle destre del pianeta tutto, da Buenos Aires a Palazzo Chigi. Né Venezia ha bisogno che si diffondano le consumate litanie sui benefici che la città può ricavare dalle briciole che cascano da una tavola imbandita, litanie pronunciate da quanti si ergono a difenderla da chi contesta il suo sfruttamento spregiudicato e improprio. Ha invece bisogno di politiche per il lavoro e per l’abitare, per evitare che la sua esistenza dipenda dall’economia turistica, per attrarre giovani, ricercatori, persone impegnate nel mondo delle arti, dell’artigianato, dell’innovazione tecnologica e della creatività.
Il sindaco, Luigi Brugnaro, ha detto di vergognarsi dei suoi concittadini che protestano contro Bezos e il suo matrimonio. E ciò nonostante il fatto che un mese fa la procura della Repubblica di Venezia abbia chiesto per lui e per altri il rinvio a giudizio per corruzione. C’è vergogna e vergogna, evidentemente. Il sindaco ha anche aggiunto che i contestatori sono un’esigua minoranza. L’augurio più fervido è che venga smentito e che a Bezos e signora arrivi il messaggio che c’è una Venezia indisponibile al mestiere di scenografia.
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