
Riso. Riso e ceci. Crema di lenticchie. Zuppa di lenticchie. Fagioli. Fagioli. Fagioli. Fave. Fave e ceci. Qualche volta pasta. Le melanzane ogni tanto rispuntano, più spesso delle rare zucchine. La carne e il pesce? Un ricordo. Le uova, quando ci sono, costano una fortuna. Ogni tanto, sul piatto, tornano le ricette tradizionali, rivisitate, riadattate con quello che c’è, come la mujadara o i falafel…
Il falafel solo assomiglia a un falafel, così come la vita dei gazesi solo assomiglia alla vita.
Menù di Gaza è il nome del progetto per il quale Mikel Ayestaran ha vinto in marzo il premio Ortega y Gasset, il più importante premio giornalistico spagnolo. Lo ha vinto nella categoria “Migliore copertura multimedia”, perché questo progetto nasce cercando di utilizzare un social media, Instagram, solitamente associato a leggerezza e futilità, per fare comunicazione su un tema importante come la vita quotidiana per la popolazione a Gaza.
A casa di Amal è il giorno del purè di lenticchie, il giorno in cui fare l’inventario delle scorte. Sono rimaste 20 lattine di fagioli e un sacco di riso, dieta di base per il menù di resistenza. Hanno aperto l’ultimo sacco di farina, non ne resta altra. Il pane con za’atar era un toccasana per chi aveva ancora fame dopo il piatto del giorno. I prezzi sono da boutique svizzera, con lo zucchero a 20 euro al chilo o l’olio di girasole a 18 euro al litro… se lo si riesce a trovare nei mercati fantasma.
Mikel Ayestaran è un giornalista di guerra dal 2005, ha coperto la guerra in Iraq, le primavere arabe, la Siria, l’Afghanistan… Menù di gaza è un progetto giornalistico fatto per raccontare, da lontano, cosa accade in una zona di guerra dove i giornalisti stranieri non possono entrare e quelli del posto vengono uccisi.
Quello che un tempo era il piatto tradizionale per la colazione è ora il piatto del giorno e l’unico in casa di Amal. Ful, fave, “un’importante fonte di acido folico”, dicono i ricettari. Per Amal è un modo per riempire lo stomaco della famiglia con un pasto abbondante in tempi molto difficili. Il futuro a Gaza non è domani, è tra un minuto. Vivono minuto per minuto, un senso di fragilità che aumenta con l’avvicinarsi dei bombardamenti. Fave contro bombe.
Ayestaran ha lavorato molto in Palestina e Israele, ha vissuto a lungo a Gerusalemme, e per molti anni, lì, il suo interprete è stato Kayed Hamad. Quello che era un rapporto di lavoro, con il passare del tempo si è trasformato, com’è spesso naturale, in qualcosa di più profondo.
Kayed Hamad vive a Gaza, con la sua famiglia. Dopo il 7 ottobre, lui e Mikel si sentono spesso. Mikel gli chiede sempre cosa mangiano, se mangiano. Da lì nasce l’idea.
Amal ha trovato degli spaghetti al mercato, li ha cotti in acqua e li ha serviti con una specie di sugo al sapore di formaggio e un filo d’olio. Un chilo di pasta, che prima costava 0,50 euro, ora costa 23 euro… e sei fortunato se la trovi. La pasta è tornata in tavola, ma nemmeno questo solleva il morale perché il nemico ha lanciato un’operazione su larga scala. I prezzi sono folli. Con 100 euro ora si può comprare un litro di olio di girasole, un chilo di zucchero e 2 chili di farina. È l’economia di guerra, l’economia della fame.
Dal febbraio 2024 la famiglia Hamad invia a Mikel ogni giorno, connessione a internet permettendo, una foto del piatto, spesso l’unico della giornata, che Amal, la moglie di Kayed, prepara per tutta la famiglia. Le foto sono della figlia Dalia. Menù di Gaza è quindi un lavoro di squadra. Anche fare da mangiare lo è. Mentre Kayed esce di casa per cercare cibo (da quando tutto è cominciato hanno cambiato casa 17 volte) gli altri due figli si occupano di recuperare combustibile, solitamente legna. Un terzo figlio non aiuta più, è morto nei bombardamenti.
La giuria del premio Ortega y Gasset ha dichiarato:
Non è facile raccontare bene una storia attraverso i social media. Qui, ci si riesce grazie a un giornalismo “di continuità”, a una ripetizione che fa parte della narrazione, una formula di ampio respiro con uno stile diretto che dà anima alla storia. Le immagini, accompagnate da un testo minimale, descrivono la durezza quotidiana della vita a Gaza.
Ha detto Mikel Ayestaran durante la consegna del premio:
Questo menù, che pubblico ogni giorno dal 24 febbraio e che voglio finisca il prima possibile, è un menù per denunciare l’uso della fame come arma di guerra. È una formula con la quale sono riuscito a usare Instagram per fare giornalismo di guerra. Perché no? Siamo abituati a vedere splendide foto di piatti magnifici nei locali più di moda. Siamo stanchi di dire ai nostri figli di smetterla di guardare i loro telefoni e di condividere foto stupide. Ma Instagram funziona anche per questo genere di cose. Alla fine, ciò che conta sempre è il contenuto. Dimentichiamoci del formato, puntiamo sul contenuto, sulle storie. E si può fare, perché no, sui social media.
Davanti alla platea in silenzio, è stato trasmesso anche un messaggio di Kayed:
Ciao Mikel. Di’ loro che Gaza sarà una vergogna per l’umanità, perché chi non morirà per le bombe morirà di fame, nel 2025. Noi siamo giunti a una conclusione: è meglio morire per un missile, una bomba o qualsiasi altra cosa, è più veloce e più facile che morire di fame. Tutto qui.
E sul profilo Instagram dove Ayestaran pubblica il suo menù, qualche giorno dopo è apparso un messaggio di Dalia, la fotografa:
Ciao a tutti. Sono qui per dire grazie dal profondo del mio cuore. Questo premio significa moltissimo per me. Sostiene la nostra resilienza e ci dà speranza in un domani migliore. Rimaniamo aggrappati al sogno che questa guerra finirà presto. Grazie, Mikel. Grazie, Spagna.
Si può seguire Menù di Gaza, oltre che su Instagram, anche su Facebook.
Immagine di copertina: due dei piatti di Amal, fagioli e falafel, fotografati da Dalia
L’articolo Menù di Gaza proviene da ytali..