
Thomas, ormai hai trascorso quasi un anno all’Accademia tedesca Villa Massimo come vincitore del Premio Roma: dalla Sonnenallee alla Pinienallee, dal Viale del Sole al Viale dei Pini, per così dire, per ricordare solo il titolo del tuo bestseller “Am kürzeren Ende der Sonnenallee” (2000), (tr. it. “In fondo al viale del sole”, 2001). Con quali aspettative sei venuto qui e come sono cambiate nel frattempo? C’è una sorta di bilancio prima e dopo il soggiorno?
È la mia prima volta a Villa Massimo, ma ero già stato a Roma nel 1991. Allora un amico mi aveva detto che era la città più bella del mondo e non l’ho mai dimenticato. Con quali sentimenti sono venuto qui? Naturalmente con grandi aspettative. Ho fatto domanda per la borsa di studio a Villa Massimo e sono stato felice che la mia candidatura sia stata accettata. Villa Massimo è bellissima, qui viviamo come milionari, con questo giardino stupendo, pieno di uccelli, con i giardinieri che si occupano di tutto. Questa volta mi sono davvero “affezionato” a Roma. È una città stupenda sotto molti aspetti. Quando esprimi la tua opinione su Roma o sull’Italia come intellettuale tedesco, non hai solo uno zaino con te, ma un intero camion di letteratura sull’Italia. Quando arrivi con questo camion, naturalmente Goethe è al volante e tu sei solo il passeggero. È dunque difficile dire qualcosa di veramente nuovo e originale. Posso però dire che qui a Roma mi sono trovato molto bene. Naturalmente, un grosso problema sono i turisti. Credo che ormai debbano essere considerati come una forza di occupazione, o come invasori. Non distruggono necessariamente qualcosa, perché portano soldi, ma trasformano comunque il volto di una città, e questo la cambia. Roma ha decisamente troppi turisti. Venezia ha già smesso di esistere come città a causa dei turisti e Roma, con i suoi 2,7 milioni di abitanti, è semplicemente troppo grande per lasciarsi mettere in scacco matto da queste masse di turisti. Ma è comunque un problema enorme. In futuro saremo come degli archeologi che studiano le tracce delle civiltà passate e diremo: “Qui c’erano i Mori, poi gli Ebrei, gli Spagnoli e i Romani e infine i turisti”. Si può considerare una stratificazione storica, una fase di occupazione. Non sono ancora stato alla Fontana di Trevi, c’è troppa gente. Vorrei andarci prima o poi, per lanciare una moneta nella fontana. Ma di notte, o quando non riesco a dormire e mi sveglio alle cinque del mattino.
[Conversando in un appartamento, poco distante da Piazza Venezia] Sei appena passato dal Foro Romano per arrivare qui. Com’è stato?
Naturalmente era pieno di gente, ma quello che stanno riportando alla luce al Foro è davvero impressionante. Lì le rovine non sono semplicemente rovine, mettono in moto pensieri. Forse non portano a nulla, ma guardare tutto questo è molto stimolante. È come ascoltare della bella musica o guardare della buona arte, i pensieri sono sempre attivi. Quando vedo, ad esempio, che sono stati riportati alla luce dei dipinti con animali risalenti a duemila anni fa e che poco a poco vengono scavati gli strati del Foro di Traiano, mi rendo conto di quante cose sono successe solo nelle ultime settimane! Il fatto che ora sulle colonne ci sia un’architrave (vengo dall’edilizia, lì le chiamiamo architravi) e che sopra siano state posizionate altre colonne … tutto questo non c’era lo scorso settembre. Trovo positivo che lo si ricostruisca mettendoci molto tempo. Possono volerci tranquillamente centocinquant’anni. Neanche il Colosseo oggi non ha più lo stesso aspetto che aveva nel 1991. Sarebbe fantastico se un giorno – io non sarò più qui a vederlo – il Colosseo fosse restaurato in modo da poter ospitare cinquantamila persone per assistere alle antiche battaglie navali.
Eventi ancora più grandi? Un’arena per i combattimenti dei gladiatori?
Be’, i combattimenti dei gladiatori a un certo punto sono stati vietati, quindi resteranno vietati comunque, spero. Sto solo dicendo che questi spettacoli potrebbero essere nuovamente consentiti come folclore. AirBnb già li offre.
Nonostante i turisti, molti dei tuoi colleghi artisti al termine della borsa di studio vorrebbero rimanere a Roma, prendere in affitto un appartamento o altro. Tu vuoi rimanere?
Come si dice a Berlino, sono “una pianta berlinese”, un animale berlinese. Sono stato tre mesi anche a New York. Una città troppo rumorosa. Ho pensato che conosco molto bene Berlino, che lì non mi manca nulla, ma trovo Roma davvero così bella che potrei davvero immaginare di viverci. Tuttavia, non mi sento a mio agio dicendo questo, perché non parlo la lingua. Non mi va nemmeno di diventare un gentrificatore. Se prendi un appartamento qui, devi anche diventare parte di questa città dal punto di vista sociale, un vero cittadino di questa città. Questo comporta una responsabilità che va oltre me stesso. Non vivrei qui con leggerezza dopo aver concluso la fase del “proviamo con un secondo o terzo appartamento”, ci sono già troppe persone che vivono in questo modo. Questi sono proprio i problemi del nostro tempo. Non mi va di fare così, non voglio aggravare questi problemi. Ma Roma ha una forte attrattiva. Vorrei quindi rispondere alla domanda anche in modo diverso: a causa del cambiamento del governo federale negli Stati Uniti e dell’operato rivoltante del governo Trump, molti intellettuali della Germania occidentale, coetanei o più giovani, vivono la nuova situazione come i postumi di una sbornia. Ora si rendono conto che gli Stati Uniti non sono più quel faro che volevamo seguire. Tutta l’attrazione che abbiamo provato per l’America nel corso dei decenni è svanita. Si trovano di fronte alle macerie della loro passione per gli Stati Uniti, e penso che questo sia il momento dell’Italia. In modo diverso, l’Italia è più affascinante degli Stati Uniti. Se si guarda all’Italia – non agli Stati Uniti – si trovano tante cose che sono molto migliori che negli Stati Uniti, perché qui tutto è davvero bello. Negli Stati Uniti tante cose sono scadenti. Il capitalismo e il consumismo sono onnipresenti. Certo, lì i ricchi stanno bene, ma un pavimento come quello che vediamo qui in questo appartamento, che in Italia costa poco, così bello, curato nei minimi dettagli, negli Stati Uniti non esiste. E naturalmente gli italiani fanno anche film meravigliosi e scrivono libri meravigliosi. E poi le città, non solo Roma! Una settimana fa sono stato a Macerata, ne sono rimasto estasiato. Una città di ventimila abitanti, così bella, e ce ne sono tantissime qui, città antiche ma ben tenute, dove ci si sente a proprio agio perché tutto è umano. I colori sono caldi, il cibo è buono, sono tranquille, e così via. Quindi capisco perfettamente questa Italiensehnsucht, questa nostalgia per l’Italia. Certo, anche l’America ha le sue virtù, oltre a tanta stupidità c’è anche molta intelligenza anche lì.
La tua opera letteraria non è necessariamente segnata dall’Italiensehnsucht, la nostalgia per l’Italia. Ma ora sei contagiato anche tu dalla famosa Italiensehnsucht tedesca?
Sì, assolutamente. Ho scoperto tutto solo qui. Tornerò in Germania e dirò a tutti quelli che ora rimpiangono gli Stati Uniti: “Oh, abbiamo scommesso sul cavallo sbagliato”, e dirò loro: “Venite, andate in Italia, lasciatevi incantare, e posso garantirvi che gli Stati Uniti non vi mancheranno più”.
Il tuo concetto di bellezza è cambiato dal tuo soggiorno?
No, non proprio, ma ora so meglio di cosa parlo. Voglio fare un esempio: in Germania ci sono architetti che si occupano di sostenibilità, che realizzano un’architettura sostenibile. Sono orgogliosi di uno spazio di coworking fatto con pallet e lamiere fustellate – solo non è bello. Non è nemmeno sostenibile, perché se costruisci qualcosa che in realtà non ti piace, è solo questione di tempo – ma te ne vuoi liberare. Se invece costruisci qualcosa come in Italia, che dura centinaia di anni, allora è davvero sostenibile. Lo costruisci una volta e non lo devi più demolire, perché è bello, perché la gente lo ama, perché lo accetta. Sono arrivato alla conclusione che questa architettura, progettata per durare, diciamo, per l’eternità o almeno per molto tempo, è in realtà anche un’architettura di pace, perché se costruisci qualcosa e non ti dispiace che venga demolito, perché dovresti desiderare la pace? È stata un’idea che mi è venuta qui.
Quindi l’Italia non è un paese di grandi rivoluzioni?
Forse gli italiani sono stati abbastanza intelligenti da fare le guerre e portarle a termine in modo che queste belle città non fossero proprio distrutte? Be’, la Germania ha una storia completamente diversa. Dresda, ad esempio, è una delle città più belle ma, alla fine, è stata praticamente rasa al suolo. In casi del genere, a un certo punto non si ha più in mano la situazione. La Germania ha combattuto la guerra mondiale in modo tale che alla fine non importava più cosa veniva distrutto, e si è visto il risultato.
Il nuovo cancelliere tedesco Merz ha incontrato recentemente a Roma la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e, quando è apparso insieme a lei davanti alla stampa, ha aperto il suo intervento con la frase: “L’Italia è il paese dei sogni dei tedeschi”. È ancora così? Il cliché del paese dove fioriscono i limoni?
Credo che volesse solo fare un complimento. Ma credo anche che molti tedeschi sappiano esattamente quanto sia importante l’Italia, o quanto sia importante l’Impero Romano, e che noi discendiamo da esso. Circa due anni fa c’è stata una sorta di sfida su Tik Tok. Le donne dovevano chiedere ai loro mariti tedeschi quante volte al giorno pensavano all’Impero Romano. Le risposte sono state davvero sorprendenti: ci pensavano più volte al giorno! Ma c’è anche un’altra cosa: l’Italia ha semplicemente buon gusto, un modo enigmatico di rapportarsi alla storia. Sai, a Berlino c’è la Porta di Brandeburgo, che ha circa duecentocinquanta anni e dove non possono passare le auto. Qui abbiamo Porta Maggiore, che ha duemila anni ed è perfettamente integrata nel paesaggio urbano e nella vita della città, ci passano tram e auto. E quegli acquedotti ormai senza senso? Sono lì semplicemente perché sono rimasti lì. Oggi non hanno più alcuna funzione, ma testimoniano ciò di cui erano capaci gli esseri umani, lo sforzo che è stato necessario per rifornire d’acqua questa città. Queste antiche costruzioni, oggi “inutili”, come si direbbe in Germania, sono importanti per chi ci passa davanti, intendo i turisti. Non so cosa ne pensino i romani, se dicono che non servono o qualcosa del genere. A Berlino hanno abbattuto il Muro. Naturalmente era un edificio orribile, ma comunque interessante, una costruzione importante per la storia mondiale. Ci manca lo spirito italiano nell’approccio a queste cose. Non lasciamo passare le auto sotto la Porta di Brandeburgo, ma abbattiamo il muro di Berlino, in modo che non sia più possibile immaginare quel confine.
Porta di Brandeburgo e Porta Maggiore
Cosa ti porti con te di questa città? Ingeborg Bachmann ha scritto il libro “Was ich in Rom sah und hörte” (1955), “Quel che ho visto e udito a Roma”. E tu, cosa hai visto e sentito?
Roma, la “Città Eterna” e “Caput mundi”, non sono definizioni campate in aria. Non sono frutto dell’inventiva di un reparto di marketing. Roma può dimostrarlo, ha gli argomenti per farlo. Roma è una città affascinante. Certo, questa è anche un’espressione di vuota retorica, ma non voglio sembrare come “Quello che ho visto e udito a Roma”, che non è un’affermazione su Roma. Per comprendere Roma non basta vedere e sentire, bisogna anche immaginare se stessi davvero dentro la città, mettere in gioco la propria immaginazione e ciò che si sa. Secondo Goethe, vediamo solo ciò che conosciamo, e nel caso di Roma è due-tre volte più vantaggioso sapere molto, perché così si vede di più. Ho sempre constatato che purtroppo so troppo poco per poter vedere davvero tutto ciò che mi si presenta davanti agli occhi.
Ma molti artisti e autori stranieri dicono anche che qui bisogna difendersi da questa supremazia della storia. Roma paralizzerebbe l’ispirazione – come davanti a un monumento di pietra che ci fa sentire piuttosto vuoti.
Sì, questa è la sfida, naturalmente. Anche a New York dicevano “If you can make it in New York City, you can make it anywhere”, e naturalmente è così anche a Roma. Quando vieni qui e hai la sensazione di essere proprio qui e di avere qualcosa da dire, nonostante ti trovi di fronte a qualcosa del genere, allora ti può venire in mente qualcosa. Se sei a Wismar o a Krefeld, ovviamente non ti senti così oppresso, lì è più facile dire qualcosa ed essere ascoltati, credo. Ma poi è anche più difficile ottenere una risonanza globale. Quando sei qui, la cornice della città è qualcosa che ti chiede: “C’è davvero bisogno di te? Be’, allora dimostra che c’è proprio bisogno di te”. Devi sapere come ottenere rilevanza laddove sei circondato dall’imponenza. Quando ero agli inizi ed ero un autore sconosciuto, avevo anch’io questa sensazione. Mi dicevo: devi farti sentire, devi farti guardare. Così è nato Helden wie wir (1995), Eroi come noi. Avevo questo impulso, sapevo che non sarebbe stato facile perché ero sconosciuto, è una sensazione che puoi provare anche qui a Roma.
Mi viene in mente Theodor Mommsen, che una volta ha scritto: “A Roma non si sta senza avere propositi cosmopoliti”.
Forse la mia risposta è legata al lavoro che sto facendo. È un lavoro che ha un’ambizione globale, o meglio, che vuole essere comprensibile a livello globale. Tratta la felicità. La felicità è un grande tema, un tema molto presente nella letteratura.
Anche Roma è un motivo ricorrente?
Sì, Roma torna a essere la capitale del mondo, la capitale dello spirito, per così dire. È un romanzo distopico, ispirato naturalmente anche dal mio soggiorno qui, perché l’eroe principale a un certo punto si trasferisce nell’appartamento in cui ho vissuto questi mesi a Roma, ma non come artista. Lui vede solo che lì devono aver vissuto degli artisti.
Ma con Roma c’è un livello, un metro di misura, un motivo che mi è richiesto anche nelle riflessioni e con il quale mi trovo a mio agio.
A parte i libri sulla città di Roma con le sue attrazioni e i suoi “tesori nascosti”, usati a mo’ d’istruzioni per l’uso à la Grand Tour, Roma non è presente come motivo nella letteratura tedesca contemporanea, vero?
Questo è un altro punto su cui devo riflettere, su cui non posso essere approssimativo, su cui posso anche sbagliare. Non posso dire semplicemente: “Ora prendo Roma e il problema è risolto”. Assolutamente no, perché su Roma è già stato detto così tanto che non posso, non devo ignorare questa tradizione e fare finta di essere il primo a dire qualcosa. È una sfida farlo, ma allo stesso tempo è importante per l’oggetto della riflessione.
Il tuo ultimo libro s’intitola “Meine Apokalypsen: Warum wir hoffen dürfen” (2023) [“Le mie apocalissi: perché possiamo sperare”]. A Roma vedi le tracce della caduta di un impero. Molte catastrofi hanno afflitto più volte questa città. Il miracolo di Roma non sta forse più nei suoi declini che nelle sue rinascite?
Probabilmente fa parte della sua natura, forse Roma ha sempre brillato così tanto che dopo ogni declino c’era l’impulso di ripristinare il vecchio, di dire sempre che era troppo bello per lasciarlo andare in rovina, di ricostruirlo, di continuare a costruirlo, di ampliarlo o di costruirci sopra. Ora la vedrei così. Il mio libro dice invece che gli esseri umani hanno sempre avuto la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa che non riescono a realizzare e hanno sempre pensato che si trattasse di sfide irrisolvibili, che ci avrebbero portato alla rovina. In questo senso nemmeno la temuta nuova catastrofe non è nulla di nuovo, ma qualcosa che è sempre esistito. Tra vent’anni non parleremo più di temi che oggi ci spaventano.
Thomas, quando nel 1995 con “Helden wie wir”, “Eroi come noi” sei salito con successo sul palcoscenico del mondo letterario, era caduto il muro di Berlino e le persone dell’Est e dell’Ovest si abbracciavano. Ora abbiamo guerre alle nostre porte, in Europa la destra viene legittimata e gli italiani, governati da una coalizione di destra, sono molto preoccupati per il riarmo della Germania. Da qui, come vedi il tuo Paese, la tua città, Berlino?
Kathrin, mia moglie, ha vissuto a lungo in Italia. Mi racconta sempre com’è l’Italia, nel modo più dettagliato possibile. Credo di aver imparato qualcosa anche da lei. Vedrò come sarà riabituarmi a Berlino. In ogni caso, non provo alcun entusiasmo all’idea di tornare. Ero piuttosto impaziente di tornare a Roma, a Villa Massimo. Forse non sarà poi così male tornare nella mia città, perché non mi piace molto il traffico di Roma. Inoltre, quando ci si imbatte continuamente in rovine antiche, non si possono costruire tunnel come dei pazzi. Questo lo capisco, la mia non è una critica, è il prezzo da pagare per la Città Eterna. Al momento anche la Germania ha problemi politici enormi con l’AfD. L’AfD non è tanto una forza politica populista di destra, ma rappresenta la destra radicale. Si può immaginare cosa succederebbe se arrivasse al governo. L’anno prossimo ci saranno le elezioni nel Land Sassonia-Anhalt. Lì l’AfD diventerà sicuramente il partito più forte, forse addirittura di gran lunga il più forte. Allora vedremo come andrà avanti nel Landtag.
Quando Giorgia Meloni, oramai due anni fa, è arrivata al governo con la sua coalizione di destra, molti in Germania erano preoccupati che i fascisti potessero arrivare al potere.
Ora dirò qualcosa di impopolare: sì, in Germania si diceva che a Roma i fascisti stavano per prendere il potere. Ora sono qui, e devo dire che me l’immaginavo diversamente. Se questo è fascismo, allora non ho più paura del fascismo. Ebbene, la destra in Italia è diversa. E in Italia la politica è diversa perché, da quando seguo la politica italiana, in Italia c’è sempre stato un disprezzo del popolo nei confronti della classe politica. In Germania non c’è mai stato. In Germania si facevano battute sui politici, li si derideva, forse li si guardava con sospetto, li si sottoponeva a standard morali più elevati e si era piuttosto spietati quando non erano all’altezza. Ma si avevano comunque delle aspettative nei loro confronti. Si aveva ancora una sorta di rispetto, anche se venivano continuamente sorpresi a fare qualcosa che non avrebbero dovuto fare. In Italia sono stati sorpresi a fare cose molto peggiori, ma gli italiani non si aspettavano comunque nient’altro dai loro politici. Le relazioni di questi popoli con la propria classe politica sono diverse. E ora, con l’AfD, qualcosa si è incrinato in Germania: per la prima volta c’è un disprezzo per la classe politica portato all’attenzione dell’opinione pubblica da un partito politico e condiviso da molti. L’Italia ha diversi decenni di esperienza con questa mentalità di disprezzo per i politici, la Germania purtroppo sta recuperando terreno. In passato non invidiavo l’Italia per questo disprezzo dei politici, perché i politici fanno un lavoro importante. Ma forse i politici italiani se lo meritano. Merkel e Scholz, lo dico da scrittore, erano notoriamente lettori appassionati. Berlusconi possedeva delle case editrici, ma non leggeva. Forse è più facile disprezzare i propri politici quando si è italiani piuttosto che tedeschi.
Come fa un popolo a convivere con questo disprezzo per i politici (e molte altre istituzioni)? Ma prima non ammiravi il suo approccio con la storia e il suo stile di vita?
Abbiamo parlato di questo particolare e, per me, affascinante approccio con la propria storia, che naturalmente non esclude la rimozione. E ti racconto anche un’altra cosa: ho lavorato con Edgar Reitz (alla serie “Heimat”, 1992-2013), verso la fine degli anni Novanta. Parlava sempre con grande considerazione del senso artistico degli italiani, di quanto fosse un popolo amante dell’arte e di quanto fosse facile per lui qui far capire il proprio lavoro. Era sempre entusiasta di come reagivano gli italiani, ad esempio al Festival del Cinema di Venezia (ma non solo lì), di quanto fossero intelligenti i critici e le domande del pubblico. Non dimenticherò mai quello che mi ha raccontato. E ora c’è questa mentalità da best seller americana che domina anche in Germania, l’esatto contrario dell’esperienza raccontata da Reitz. Quindi un motivo in più, ora che sono tornato, per indottrinare la gente con l’Italia.
Immagine di copertina: Thomas Brussig nel parco di Villa Massimo, 2024
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