
Sabato pomeriggio in tanti abbiamo ricordato, a un anno dalla sua scomparsa, Giovanni Benzoni.
È stato un momento importante, non solo per rendere omaggio a un uomo che con generosità ha dedicato tempo, intelligenza e passione alla sua città, ma anche per interrogarci su ciò che oggi resta, e può restare, del suo insegnamento.
Della lunga e ricca storia di Giovanni Benzoni, a me piace soffermarmi su un passaggio che ritengo cruciale: il suo impegno nella Giunta Rigo e il ruolo determinante che ebbe nella nascita dei quartieri, oggi municipalità.
Se oggi Venezia può contare su un livello amministrativo di prossimità, se esiste ancora uno spazio istituzionale in cui i bisogni quotidiani dei cittadini trovano ascolto, lo si deve a quella stagione politica, che mise la parola “comunità” al centro della propria visione.
Quella non fu una scelta tecnica. Fu una decisione politica. E come tutte le decisioni politiche autentiche, implicava una visione del mondo, della città, dei legami che la tengono viva.
Lo ha scritto bene il nipote Pietro, ricordandolo:
Era un uomo di comunità e condivisione (…) sapeva innescare circoli virtuosi. Sapeva fare rete e comunità.
Oggi, di quella parola “comunità” resta poco, anche perché alcuni strumenti, sicuramente perfettibili, ma necessari, che davano voce alle comunità presenti nella nostra città, sono stati cancellati.
L’attuale amministrazione ha fatto chiarezza fin dall’inizio: prossimità, vicinato, relazione non avrebbero trovato spazio nella sua agenda. Non è un caso che una delle prime azioni simboliche e concrete fu togliere le deleghe alle municipalità, per poi eliminare anche le consulte civiche.
La grammatica della convivenza ha lasciato il posto all’aritmetica del profitto.
Eppure, non tutto è perduto.
Proprio da figure come Giovanni Benzoni possiamo e dobbiamo ripartire. Da chi, fin dagli albori del decentramento negli anni Settanta, ha scelto l’impegno politico come forma di responsabilità verso la propria città, con tenacia instancabile. E molto spesso fuori dalle istituzioni, in tanti luoghi della vita cittadina.
Nonostante l’indifferenza dell’attuale amministrazione verso la qualità della vita, la città risponde.
Lo fa come sanno fare le città vive: con cene di quartiere, portinerie sociali, camminate urbane, comitati spontanei e tanto associazionismo.
Dove loro dividono, la città crea legami. Esattamente come ha sempre fatto Giovani Benzoni in mille forme e in mille modi.
I politici migliori della nostra storia cittadina, e ne abbiamo avuti, non hanno mai preteso di piegare Venezia ai propri progetti. Sono stati in grado di ascoltarla. Ne hanno riconosciuto l’eccezionalità fragile. Hanno capito che Venezia non si governa contro la sua natura, ma solo a partire da essa.
Chi ha creduto nella comunità ha investito nella durata, nel futuro, nella forza generata dalla fiducia reciproca. Chi ha scelto il profitto immediato, ha lasciato dietro di sé una città vuota, piene solo di vetrine e immondizia.
Questo dovrebbe farci riflettere.
L’incontro di sabato aveva un sottotitolo molto bello: si parlava di memoria attiva. Una memora, quindi, capace di farsi futuro.
E sta a noi trasformare la memoria di Giovanni Benzoni in un’eredità viva, in grado di aprire una nuova stagione.
Una stagione in cui ci si lasci alle spalle un contesto urbano e ambientale degradato e si torni a mettere al centro le relazioni, la cura, il senso di appartenenza.
I prossimi mesi saranno fondamentali proprio per affermare con forza un’idea di città lontana da una palude legata alla mercificazione, per tornare ad una prospettiva in cui le comunità che la compongano siano in grado, attraverso un grande impegno civile, di costruire una Venezia includente, attenta ai bisogni articolati e variegati che oggi la attraversano con il fine di costruire una città migliore.
Immagine di copertina: Giovanni Benzoni.
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