
Pensiamo a Gattuso e ci torna in mente quella notte: Dortmund, 4 luglio 2006, i miei sedici anni, la nostra gioventù, la gioia bambina di un Paese che si ritrova unito e festeggia, una spedizione partita fra i veleni di Calciopoli e giunta a un passo dalla gloria, mentre le strade si riempiono di tricolori e le masse si riversano ovunque per festeggiare l’ennesimo successo sulla Germania, per giunta in casa loro. Ci torna in mente “Ringhio” Gattuso perché lui quella sera era diffidato e, se fosse stato ammonito, avrebbe dovuto saltare la finale. Il destino aveva già deciso che quei Mondiali dovessero tingersi d’azzurro, pertanto il mastino di Corigliano Schiavonea, che aveva imparato a giocare a pallone sulla spiaggia, usando le taniche di nafta dei pescatori come porte, non solo non fu ammonito ma risultò uno dei migliori in campo.
Poi avremmo vinto, a Berlino sarebbe stata l’apoteosi, Materazzi avrebbe pareggiato di testa il rigore iniziale di Zidane, Grosso avrebbe segnato il rigore decisivo, insomma sarebbe andata come tutti sappiamo, ma in quel momento vedevamo solo un gregario diventato eroe che riempiva da solo il prato del Westafalenstadion, al cospetto di una Germania indomita, fortissima e sospinta dal tifo di un pubblico che, a fine serata, si sarebbe ritrovato in lacrime, dopo che i giornali tedeschi, per giorni, avevano tirato fuori i soliti luoghi comuni sull’Italia “spaghetti, pizza e mandolino”, con l’aggiunta di qualche riferimento alla criminalità organizzata. Non avrebbero dovuto farlo, perché “Ringhio”, nato in una terra difficile come la Calabria profonda, costretto ad andare a cercare fortuna a centinaia-migliaia di chilometri da casa prima di salire sul tetto del mondo, alla sua terra, ai suoi valori e a quel minimo di lealtà che dovrebbe andare al di là dello sport era legato come nessun altro. Anche per questo diede il massimo, lui che campione non lo è stato mai ma intanto ha vinto un Europeo Under 21, un Mondiale, due Champions League e molti altri trofei che mancano nelle bacheche di fuoriclasse ben più blasonati. E ha vinto perché del centrocampo, che si trattasse del Milan, dell’Under 21 di Tardelli o della Nazionale maggiore, del centrocampo, dicevamo, ne è stato l’anima, l’ispiratore e il punto di riferimento. Lui che, osservando Pirlo, Seedorf o Kaká si domandava se fosse davvero un calciatore, lui che non possedeva particolari doti tecniche, lui che per anni ha corso e basta, lui ha trovato il suo posto nel mondo con la dedizione, l’orgoglio, il senso d’appartenenza, la passione civile e un’applicazione ferrea, tenacissima, instancabile.
Ora diventa c.t. della Nazionale, viene a raccogliere i cocci dopo aver provato invano risollevare un Milan in crisi di gioco e d’identità, riparte da zero, anzi da sottozero, e stiamo attenti a non chiedergli miracoli. Una certezza, tuttavia, ce l’abbiamo: con uno così, nessuno potrà permettersi di fare il cretino. Perché “Ringhio” non sarà un intellettuale, non avrà avuto i piedi fatati di Totti o di Del Piero, la classe di Maldini o i lanci da quaranta metri di Pirlo, non avrà guadagnato le copertine dei rotocalchi ma, oltre ad aver vinto tantissimo, è sempre stato un esempio e un punto di riferimento, un intransigente, uno che non ammette fesserie e non tollera comportamenti men che rispettosi della squadra e del prossimo. Non sappiamo se i viziatissimi talenti dei giorni nostri sapranno far tesoro dei suoi insegnamenti; di sicuro, non potranno permettersi di mancargli di rispetto, e questo è già qualcosa. Senza contare che ad aiutarlo dovrebbero giungere altri reduci del 2006, più Bonucci e altre personalità a loro volta poco inclini ad accettare mancanza di impegno e comportamenti indegni di un atleta.
Buon lavoro, dunque, a uno dei nostri idoli dell’infanzia e dell’adolescenza, a ciò che chiunque di noi avrebbe voluto essere, almeno una volta nella vita, ossia un giustiziere della notte con la testa ben salda sul collo, un lottatore senza punti oscuri, un’”anima salva”, per dirla con De André, talmente pura da risultare quasi anacronistica. Gattuso ha attraversato stagioni su stagioni senza perdere la tenerezza, senza rinunciare alla lotta, senza smarrire la propria dignità, senza cedere alle mode, senza piegarsi ad alcun diktat e senza mai trasformarsi in un robot. Ha guadagnato molto, ha conquistato i palcoscenici internazionali ed è rimasto un uomo. Se dovesse fallire anche lui, potremmo davvero riporre i sogni nel cassetto.
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