
Mitteleuropa ebraica a cura di Roberta Ascarelli e Massimiliano De Villa, Mimesis Edizioni 2024.
Il lettore curioso, certamente affascinato dal titolo che rimanda a mondi sconosciuti ai più, si trova a sfogliare un poderoso volume di quasi seicento pagine, la cui bibliografia di riferimento di quasi sei pagine rimanda principalmente a testi in inglese o in tedesco.
I venticinque saggi presenti, frutto di un progetto di ricerca biennale che si appoggia all’Università di Trento e ad altri enti specializzati, sono prevalentemente opera di specialisti italiani e pubblicati ovviamente in italiano, tre invece sono in tedesco e due in inglese. Ma attenzione: la lingua usata dagli autori di questi ultimi non corrisponde alle loro nazionalità; ad esempio, Luis E. Krausz ha un cognome probabilmente polacco, ma il suo nome è chiaramente latino e analizza in modo entusiasmante un libro di Robert Menasse, graffiante scrittore dell’Austria di oggi, che riguarda le incredibili sfaccettature del mondo di lingua tedesca oggi presente in Brasile.
A questo punto il lettore italiano, probabilmente disorientato, avrà bisogno di riflettere sul concetto di Mitteleuropa, così lontano dalla monolitica cultura italiana, dove il cognome e il nome, fino a pochissimo tempo fa, corrispondevano alla lingua parlata. Gli sarà d’aiuto però la lunga citazione di Ladislao Mittner, grande germanista, che i curatori della raccolta hanno scelto come premessa alla loro introduzione. Mittner era originario di Fiume, città fondamentalmente di lingua italiana, circondata da un retroterra croato, porto franco del regno d’Ungheria, dal 1867 secondo blocco abbastanza autonomo della monarchia asburgica, una città punto d’incontro e scontro di diverse identità, un universo quindi decisamente stimolante, anche se di non facile gestione, per altro comune nella vecchia monarchia asburgica, monarchia che copriva buona parte dell’Europa centrale e che, un tempo, comprendeva anche l’attuale Germania, quindi tutta la “Mitteleuropa”.
Di questo mondo ormai scomparso, di cui faceva parte, allora a pieno titolo, anche Gorizia, la mia città natale, i curatori si propongono di analizzare a fondo la componente ebraica, facendo propria l’affermazione di Andreas Kilcher che considera gli ebrei, pur legati ai paesi di residenza, in grado di esercitare una visione sovranazionale, vista la loro esperienza storica in una Mitteleuropa “terra di attraversamenti” che richiedono un continuo ripensamento creativo della propria identità, suggerimento di grande attualità nell’Europa di oggi.
I saggi presentati ci conducono dalla Germania, patria dell’Illuminismo ebraico, al mondo dello Shtetl, mondo che ha prodotto notevole letteratura, “esportata” da molti, tra i quali il poliedrico Josef Roth, nativo di Brody, allora ricca città al confine tra la Galizia austriaca (attuale Ucraina) e l’impero russo, oggi opaca cittadina di provincia, orgogliosa di mostrare ai turisti le grige mura del Liceo frequentato dallo scrittore.
E proprio all’attuale Ucraina sono dedicati molti saggi presenti in quest’opera che consentono al nostro lettore curioso di conoscere la difficile storia recente di questo paese, purtroppo da tre anni quasi sempre al centro dell’attenzione mediatica, decisamente poco incline ad approcci critici.
Impossibile riassumere in questa sede il contenuto dei singoli interventi presenti: accanto al grande interesse per l’ebraismo dell’Europa orientale, l’Ostjudentum, variegatissimo mondo definitivamente scomparso, ma in diversi gradi, tutt’ora anche nostalgici, presente nella diaspora mondiale dei discendenti, si indaga il suo plurilinguismo nelle varie angolazioni (lingua di famiglia, lingua d’uso, lingua della convenienza, lingua di prestigio, lingua della cultura), le donne ebree e l’emancipazione, la tensione, spesso di difficile gestione, tra Sein e Schein, l’essere e l’apparire, che ha stimolato Freud alla ricerca dei mali della psiche. Si toccano poi tematiche filosofiche molto specifiche come il Chassidismo, senza dimenticare però le discussioni sorte attorno al Sionismo di Herzl, altro tema purtroppo di grande attualità che richiede assolutamente un approfondimento per evitare un facile antisemitismo di massa.
Forse però i curatori avrebbero dovuto aiutare un po’ il nostro lettore, dicendogli ad esempio che Lemberg è la vecchia denominazione austriaca per Leopoli, e magari traducendo almeno gli abstracts delle relazioni scritti in tedesco, lingua che non ha mai entusiasmato gli italiani, e forse anche di quelle in inglese, così dense di significati, come quella splendida di Alina Molisak, professoressa ordinaria all’Università di Varsavia, che si occupa della nascita del termine “Mitteleuropa”, i suoi sviluppi storici e indaga con maestria sociologica il termine mitteleuropeo e le sue ricadute in Polonia.
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