Fondamenta dei Cereri 2448/D
La fondamenta dove ho vissuto era appartata, in alcuni giorni era la contrada del silenzio, ma poi si rianimava, di quando in quando, per una scuola vicina. Alla Sorbona sognavo Venezia e, sulla laguna, Parigi. Sono questi i due poli della mia immaginazione, che ho potuto alimentare nel tempo e nello spazio.
Il poeta Diego Valeri, originario di Piove di Sacco, dopo il pensionamento, si stabilisce a Venezia, città cui aveva dedicato, negli anni del secondo conflitto mondiale, una guida sentimentale, una trama di parole per bloccare il tempo, e per rallentare il senso del crepuscolo del luogo a cui ho dedicato tutta la mia esistenza nel tempo di sonno e di veglio, nella nebbia e nel sole, nella buona e nella cattiva sorte.
È un omaggio a Diego Valeri la Nuova guida sentimentale di Venezia, uscita lo scorso anno per i tipi della Marsilio. Ma soprattutto è la ricerca di un senso di una città complessa, luogo di meraviglie dove la difesa della privacy, del senso di vivere in una élite, di far parte di una stirpe dogale, contro ogni evidenza storica è feroce, scrive Luca Scarlini, l’autore che si propone di capire, se non scardinare la barriera che la città, con i suoi abitanti, alza verso l’esterno. Quante delle figure storiche che hanno soggiornato in città nel corso dei secoli hanno oltrepassato la barriera e si sono sentite a casa? Chi può dirsi veneziano? Quanti modi ci sono di esserlo?
Luca Scarlini ne individua quattro: per nascita, per scelta, per provocazione, per necessità. Sull’onda di questa suggestione non resta che chiedergli a quale di queste tipologie appartiene.
L’appuntamento è a san Tomà all’ora dell’aperitivo. Arriva a piedi da Piazzale Roma, è stato a Mestre, al teatro Toniolo, dove tiene un corso di drammaturgia. Una delle sue molteplici attività che spaziano dalla docenza, alla scrittura, alla scena performativa , alla radiofonia che lo portano in giro per la penisola. “Un caffè d’orzo, grazie” l’accento toscano, marcato e brioso, congeda la cameriera e mi guarda oltre il tavolo. “Da dove cominciamo?”
In quale delle quattro tipologie dell’essere veneziano si colloca?
Io sono veneziano come sono di altri luoghi perché ci sono momenti in cui sono più presente in un posto piuttosto che in un altro. Se devo essere sincero, direi che la mia vita è stata, finora, una trottola. Attualmente la situazione è la seguente: la persona con cui convivo da lungo tempo possedeva una casa a Venezia, non abitata, e io l’ho convinta a riaprirla e a starci insieme. Che dire… Venezia è senz’altro nel mio oroscopo ma nella stessa misura di Firenze, Roma e Parigi.
Venezia mi interessa moltissimo come macchina narrativa ma io lavoro soprattutto nel territorio della regione Veneto. Quindi posso dire che io vado e vengo dalla città, che in questa fase è un punto fermo
Venezia la vive o la abita?
Io la vivo ma, come per tutte le città che le ho prima elencato, la vivo part time. Anche Londra, dove ho abitato per dodici anni l’ho vissuta in questo modo.
Venezia lei la paragona ora a una Fata Morgana gelosa dei suoi segreti ora a un miraggio. Quale delle due definizioni la connota meglio?
Venezia promette molte cose ma spesso non le mantiene, ma questo fa parte della sua natura illusionistica e che ne determina il fascino.
Quando lei è in città, come vive il suo tempo?
Faccio dei percorsi che sono abbastanza stereotipati. Vado in biblioteca, in palestra, al cinema e poi vado in stazione, prendo dei treni e vado da un’altra parte.
E come vive le problematiche della città a partire dal sovraffollamento turistico?
Io sono fiorentino e l’overtourism a Firenze negli ultimi sei mesi è stato terrificante. È chiaro che qualche spintone o gomitata a persone moleste che invadono le calli si può anche verificare, è chiaro che prendere un vaporetto equivale a entrare in un inferno dantesco, ma è anche vero che i turisti, detti anche “gli zombie”, sostanzialmente fanno sempre gli stessi due percorsi. Basta spostarsi di una calle e non ci sono.
Ha una ricetta per combattere l’overtourism?
Semplice, costringere tutti a vedere almeno un museo: morirebbero per poi tornare ai loro tristi paesi. Lo dico avvalendomi di statistiche fondate, a parte qualche giro a Palazzo Ducale, gli altri musei vengono ignorati. Questo significa che i turisti frequentano le boutique, dove spendono i loro soldi. Costringendoli a vedere un museo al giorno, scapperebbero a gambe levate. L’arte non attrae. Questo è un turismo orrendo, tra i peggiori visti nella storia, lo potrei definire un turismo di selfie per cui le persone vanno in pellegrinaggio da un locale all’altro dove si immortalano.
Un museo al giorno toglie il turista di torno e svuota la città?
Con sollievo da parte mia ma sicuramente non dei veneziani proprietari dei b&b che di turismo si nutrono e che sono migliaia. La città è complice del proprio degrado, proprio come Firenze. Se esplode la bolla dell’overtourism, perché di bolla si tratta, tante persone si troveranno in difficoltà e il loro tenore di vita, adesso molto alto, si abbasserà inesorabilmente. Ribadisco che ci troviamo in presenza di una tragica bolla la cui esplosione temporalmente non è pronosticabile ma sicuramente inevitabile anche perché coinvolge tutto il territorio, compreso l’entroterra. Ma ci sono anche esempi virtuosi, come il caso di Sesto Fiorentino che non ha b&b nel territorio comunale per scelta degli stessi cittadini. A dodici minuti di treno da Firenze esiste questo comune deturistizzato, una bella anomalia.
E sul problema della residenzialità che ricetta propone?
Pensare alle persone cui non pensa mai nessuno, cioè ai giovani che, oltre a non avere accesso al credito bancario non vengono nemmeno presi in considerazione se non hanno alle spalle genitori ricchi o benestanti che garantiscono per loro. Pensiamoci.
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