A luglio, il governo sembrava traballare sotto il peso delle inchieste per corruzione che coinvolgono gli ultimi due segretari organizzativi del Psoe; per le defezioni nella maggioranza dell’investitura che condannavano il governo all’immobilità, senza i numeri per i propri provvedimenti oltre che per la legge di Bilancio, col terzo esercizio provvisorio che si prospetta; per le altre inchieste che hanno preso di mira la famiglia di Sánchez, la moglie, Begoña Gómez e il fratello David, compositore e direttore d’orchestra che usa professionalmente il cognome Azagra.
Sembrava essere giunta la fine del suo ciclo politico. La destra annusava odore di dimissioni, editoriali e commentatori prevedevano tempi e dinamiche della caduta del governo, ipotizzando già le date possibili del voto. Sánchez era pesantemente toccato, anche fisicamente, smagrito, più capelli bianchi, le rughe più marcate, e aspettava la pausa estiva.
Giunti alle porte dell’autunno, sembra aver retto botta anche questa volta, ripartendo alla carica pronto a scrivere un nuovo capitolo del suo Manuale di resistenza. Due momenti televisivi fotografano gli estremi della parabola.
All’inizio di luglio, Ana Rosa Quintana, giornalista e presentatrice del canale Mediaset spagnolo Telecinco —con El Mundo, di Unidad editorial della Rcs di Urbano Cairo, due corazzate mediatiche d’opposizione al governo in mani italiane—, campionessa di ascolti col suo El programa de Ana Rosa, ha salutato gli spettatori per la pausa estiva sentenziando: “Pedro Sánchez non può presentarsi di nuovo alle elezioni”. E avvertendo: “Se succede qualcosa di grosso [la caduta del governo, sviluppi delle inchieste per corruzione], torno”.
Il 24 settembre il canale televisivo Bloomberg intervista a New York Pedro Sánchez, inglese perfetto, formazione da economista, Sánchez si trova a suo agio come un pesce nell’acqua. Al redattore capo John Micklethwait che chiede se si ripresenterà per un nuovo mandato, Sánchez risponde: “Lo farò certamente”. Aggiungendo: “Ne ho parlato con la mia famiglia, col mio partito e se questo me lo consente ho piena fiducia che possiamo riottenere la maggioranza e continuare il nostro lavoro”.
Il viaggio a New York è un momento importante che consolida la proiezione internazionale di Sánchez. All’Onu, su iniziativa di Spagna e Arabia Saudita, si è discusso della soluzione dei due stati. Gli annunci di riconoscimento dello stato di Palestina arrivano a raffica. Francia, Gran Bretagna, Canada, Australia, poi Portogallo, Belgio, Finlandia, Lussemburgo, Nuova Zelanda, San Marino. La Spagna non è più isolata, come molti dissero il 22 maggio 2024, quando assieme a Irlanda e Norvegia ha riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina. Tardivo, ma inevitabile, è arrivato il riconoscimento pubblico delle leadership occidentali dell’orrore in atto Gaza.
Sánchez è stato attivo anche a latere dell’Assemblea, come nota su Ispionline Elena Marisol Brandolini. In particolare nel secondo incontro del vertice Democracia siempre —il primo si tenne in Cile a luglio e il prossimo sarà nel 2026 a Madrid in occasione del Vertice ibero-latinoamericano— organizzazione informale a difesa della democrazia attraverso la lotta alle diseguaglianze nata per iniziativa dei capi di stato e di governo Sánchez, Gabriel Boric (Cile), Luiz Inácio Lula da Silva (Brasile), Gustavo Petro (Colombia) e Yamandú Orsi (Uruguay) a cui si sono aggiunti leader europei e americani, come la messicana Claudia Sheinbaum, il canadese Mark Carney e l’inglese Keir Starmer.
Poi l’evento Latin America, Spain and the United States in the Global Economy, il Vertice di Azione climatica, l’omaggio a Pepe Mujica, Sánchez si mette alla guida della sinistra europea nel tessere la tela della collaborazione tra sinistre e progressisti di tutto il mondo.
Sánchez ha ripreso l’iniziativa interna puntando sulla politica internazionale per l’impatto che questa, con l’invasione di Gaza, ha sulla società spagnola, raccogliendo quanto andava seminando da tempo.
Già nel novembre 2023, durante il semestre spagnolo di presidenza europea, in visita in Israele e medio oriente col primo ministro belga Alexander De Croo, riportò a Netanyahu sia la condanna spagnola degli attacchi terroristici di Hamas che l’esigenza di tutelare la popolazione civile di Gaza, affermando in una tesa conferenza stampa congiunta, quella dei due stati come l’unica soluzione possibile al conflitto. A giugno 2024 ha appoggiato il Sudafrica nell’azione della Corte penale internazionale contro Israele.
Uno recente sondaggio di 40dB per El País (2.000 interviste online), riporta che quanto accade a Gaza risponde alla definizione di genocidio per il 57 per cento del campione, per il 18 si tratta di un grave crimine di guerra, per l’11 di una risposta legittima. Il tema attraversa tutti i partiti, le destre appiattite su Israele sono in difficoltà.
È uno strano scenario quello spagnolo. L’economia e l’occupazione vanno bene, sulla scia di scelte strutturali fatte nell’ultimo decennio — le energie rinnovabili, l’attrazione di investimenti stranieri, l’auge dell’export, l’aumento delle retribuzioni, il contrasto alla precarietà, l’inserimento ordinato dei migranti nel mondo del lavoro, con l’accesso a vite degne e consumi — in controtendenza con molti stati europei.
Che la Spagna sia, in questo periodo, la locomotiva europea non è un’iperbole giornalistica. Il Pil 2025 è dato tra il 2,6 e il 2,7 per cento, trainato dai dati trimestrali superiori alle previsioni. Recenti proiezioni lo elevano al 2,9. Il Pil spagnolo rappresenta circa il 10 per cento di quello dell’Unione europea. Se si guarda al 2024, col Pil europeo fermo allo 0,8 per cento e quello spagnolo al 3,2, grosso modo il 40 per cento della crescita dell’Ue dello scorso anno è dovuta alla Spagna. Certo, questa è macroeconomia, non così brillante è quel che accade nei bilanci familiari.
Ma comunque per Sánchez rivendicare la situazione economica, come le politiche sociali o la distensione in Catalogna, è difficile se non, ai fini comunicativi peggio, inutile. C’è il muro di parte della stampa e delle televisioni, l’ecosistema mediatico madrileno, le radio e televisioni autonomiche governate dalle destre, espressione di un complesso finanziario, istituzionale e politico, che viene descritto da Enric Juliana Ricart, vicedirettore de La Vanguardia, col nome di Madrid DF, Madrid Distrito Federal. La lotta per imporre l’agenda è feroce.
I fronti aperti per Sánchez sono molti. Quello politico, con la debolezze della coalizione, l’azione di governo bloccata, la crisi delle formazioni alla sinistra del Psoe. Quello mediatico, di cui abbiamo già accennato, che si intreccia con Madrid DF, che porta alla domanda: per quanto si può governare la Spagna avendo contro Madrid DF? Non è una domanda peregrina, senza maggioranze assolute i partiti spagnoli si sono dovuti chiedere se fosse possibile governare contro i baschi o i catalani (oggi è Madrid, che genera quasi il 20 per cento del Pil spagnolo, qualche decimale avanti alla Catalogna). Sánchez ci riesce guidando governi di minoranza dal 2018.
Poi c’è il fronte giudiziario. All’inchiesta per corruzione che coinvolge gli ultimi due segretari organizzativi del Psoe, il cosiddetto Caso Koldo, si aggiungono le inchieste che coinvolgono Begoña Gómez, il fratello e il Fiscal general del Estado —corrispettivo del nostro Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ma con funzioni in parte differenti— Álvaro García Ortiz.
Il Caso Koldo è supportato da registrazioni che sono state rese pubbliche. Nelle registrazioni, fatte da Koldo García Izaguirre, figura chiave dell’inchiesta, si sentono Santos Cerdán, segretario organizzativo dal 2021 e deputato ora dimissionario, e l’ex ministro nei primi due governi di Pedro Sánchez, prima dello Sviluppo e poi dei Trasporti, ed ex segretario organizzativo del Psoe, José Luis Ábalos. Si registra una certa durezza degli inquirenti —Cerdán, che dovrebbe essere il capo della trama, è in carcere dalla fine di giugno mentre in casi simili si è fatto diversamente— che non riescono ancora a trovare i soldi, tranne circa 90 mila euro di entrate non giustificate nei conti di Ábalos.
Le inchieste su Gómez e Ortiz appaiono invece molto discutibili. Tesi deboli, conduzione dei procedimenti ondivaghe, non valutazione di dati e testimonianze a contrasto delle tesi accusatorie costellano il cammino di inchieste giudiziarie che molti, a cominciare da Sánchez, hanno facile gioco a definire politicamente motivate.
Nel caso di Begoña Gómez, nato per denunce di associazioni di destra, gli spropositi sono tali che lo stesso pubblico ministero ha richiesto l’archiviazione, mentre il giudice Juan Carlos Peinado, nell’ordinamento spagnolo il giudice ha un forte ruolo inquisitorio, ha deciso di portare i due procedimenti in cui ha suddiviso il caso davanti a un giurato popolare. Se i sondaggi che danno la maggioranza alle destre sono fondati, c’è buona probabilità che le tesi accusatorie vangano accettate, sembra essere la scommessa del discusso magistrato ormai quasi in pensione.
Anche il caso Ortiz presenta numerose criticità. Il Procuratore generale dello Stato è accusato da Tribunale Supremo di un presunto delitto di rivelazione di segreto, a seguito della denuncia di Alberto González Amador, compagno della presidente Pp della Comunità di Madrid, Isabel Díaz Ayuso.
González Amador è coinvolto in un procedimento per frode fiscale e false comunicazioni sociali. La stampa diffonde la notizia che la Procura avrebbe chiesto un patto. La Procura emette un comunicato stampa per smentire. Sulla stampa escono le mail tra l’avvocato dell’accusato e il tribunale in cui è la difesa a chiedere un patteggiamento, ammettendo la frode fiscale. González Amador denuncia la Procura per aver rivelato alla stampa le mail private e coperte da segreto d’ufficio. A nulla vale la testimonianza di almeno sei giornalisti che dichiarano di aver ricevuto da altre fonti le mail prima che divenissero di dominio pubblico. Il 29 luglio il Supremo rinvia a giudizio Ortiz.
Lawfare, l’uso della giustizia a fini politici, è ormai termine corrente del dibattito politico spagnolo. In questi casi, importa poco come andrà a finire il procedimento, conta l’uso che se ne può fare ora nel campo di battaglia di media e politica. Tutto aiuta. I moderni report di polizia sono corredati di immagini. In quello della Guardia Civil sui rapporti finanziari tra il Psoe e Ábalos, campeggia la foto di una busta con l’intestazione stampata Psoe e scritte a mano la cifra all’interno e il destinatario, cioè Ábalos stesso. Sono rimborsi regolarmente messi a bilancio dal Psoe per spese sostenute durante il mandato ma per alcuni media e i profili social di molti dirigenti di Pp e Vox diventano “la prova fotografica della corruzione”.
I popolari hanno puntato tutto sulla corruzione ma hanno un orizzonte limitato. Sono 28, con 150 persone coinvolte, i casi giudiziari per corruzione che coinvolgono il Pp, alcuni prossimi a andare in giudizio. In agenda già a novembre va in aula il giudizio finale sul nucleo principale del Caso Gürtel, una decada di corruzione, 2009 – 2019, per il quale il Pp è già stato condannato in solido per associazione criminale come beneficiario della corruzione, unico partito in Europa. Il mese prima, a ottobre, si saprà se l’inchiesta sulla corruzione del Pp di Madrid verrà nuovamente prorogata o se andrà in giudizio.
E ci saranno gli sviluppi del Caso Montoro, da Cristóbal Montoro, ex ministro delle Finanze nel governo di Mariano Rajoy, recentemente richiamato da Alberto Nuñez Feijóo nell’equipe economica del Partido popular e accusato di aver tramato col suo studio legale, in cambio di denaro, per favorire l’emissione da parte del governo di legislazioni favorevoli per suoi clienti —grande industria, aziende energetiche— con interi paragrafi di leggi votate dal parlamento scritti dagli uffici legali di aziende e lobby. L’arma della corruzione del Psoe, passata l’estate, ridurrà per forza la sua efficacia.
Tirate le somme, il “Dàgli a Sánchez”, il tentativo di isolare il capo del governo e di distanziarlo anche dalla sua base, anche questa volta, non ha funzionato. O così pare guardando a un sondaggio elettorale, del 6 ottobre, che, se poco indicativo così a distanza di un voto che ancora non c’è, vale come indicatore degli umori della società spagnola rispetto alla politica.
Sempre 40dB per El País, nel consueto Barómetro elettorale (2.000 interviste online CAWI), vede il Psoe (29,4 per cento) accorciare le distanze col Pp (30,5). Secondo l’indagine, il 14 per cento del voto popolare del 2023 scappa a destra verso Vox, che schizza al 16,4 per cento, mentre il Psoe riesce a motivare elettori socialisti strappandoli all’astensione. Non bene vanno le cose a sinistra del Psoe, con Sumar al 6,7 e Podemos al 2,8 (alle ultime generali del 2023 avevano assieme il 12 per cento).
Stando ai numeri, la scelta del Pp di competere con Vox sui suoi temi, in particolare l’emigrazione, non si rivela una buona idea. Dà ali a Vox ma questo centrodestra nazionalista spagnolo oramai trumpizzato non riesce a fare altrimenti. Lo stesso accade in un altro centrodestra nazionalista, quello catalano di Junts, anch’esso impegnato in una corsa a destra con Aliança catalana sulla pelle dei migranti, che favorisce l’emergente estrema destra indipendentista. Una manna per i movimenti trumpiani iberici, il cui forno è continuamente alimentato dal centrodestra. Il galiziano Feijóo siede su una poltrona sempre meno comoda, con Isabel Díaz Ayuso, e il Pp madrileno, che scalpitano aspettando il loro turno.
Il risultato è che, posto che riesca a confermarsi primo partito, il Pp difficilmente potrà governare. Con Vox non ottiene la maggioranza assoluta e l’alleanza obbligata gli preclude altre importanti collaborazioni, Junts e i nazionalisti baschi del Pnv.
Insomma, per Pedro Sánchez le acque si sono calmate ma la traversata non è certo serena. Tra gli scogli la Legge di Bilancio. Sarebbe il terzo esercizio provvisorio. Per quanto il governo segnali che il buon andamento economico col conseguente aumento di entrate fiscali fornisce strumenti per affrontare bene la contingenza, la mancata approvazione sarebbe il simbolo di una maggioranza dell’investitura bloccata e di un governo incapace di varare provvedimenti.
Un problema anche per la gestione dei rapporti coi soci di Sumar e coi partiti che lo hanno appoggiato. Progetti di legge importanti per il partito di Jolanda Diáz non passano. Questo, unito alla guerra con Podemos, alla forza di attrazione di Sánchez per il voto utile alla sua sinistra e ai numeri dei sondaggi, costringe a differenziarsi.
Podemos, poi, oltre alla competizione con Sumar, e alla resa dei conti con Díaz, sembra scommettere su un governo delle destre grazie al quale consolidarsi come opposizione di sinistra. Anche il voto per l’embargo alle armi per Israele, annunciato stamane al Congreso da Ione Belarra, è arrivato solo dopo che tutte le associazioni per la pace e di rappresentanza palestinese facessero forti pressioni dopo un iniziale annuncio di voto contrario.
Coi segni dei colpi ricevuti evidenti, forse orgogliosamente esibiti, Sánchez non molla. Magari non si voterà nel 2027, alla scadenza naturale del mandato, come predica con convinzione. Ma quando sarà lo deciderà lui.
L’articolo Sánchez di nuovo alla lotta proviene da ytali..