
Gli Olivetti avevano, a Ivrea, una fabbrica di macchine da scrivere. Noi non avevamo mai conosciuto, fin allora degli industriali… Gli Olivetti erano i primi industriali che vedevamo da vicino; e a me faceva impressione che quei cartelloni di réclame che vedevo per strada, e che raffiguravano una macchina da scrivere in corsa sulle rotaie d’un treno, erano strettamente connessi con quell’Adriano in panni grigio-verdi, che usava mangiare con noi, la sera, le nostre insipide minestre.
Nel Lessico famigliare, romanzo autobiografico di Natalia Ginzburg, edito nel 1963 da Einaudi, Adriano Olivetti è uno dei personaggi cardine della storia, amico di Gino Levi e primo marito di Paola Levi, fratelli di Natalia.
“Una biografia di Adriano Olivetti esaustiva, in presa diretta”, direbbe Alberto Saibene, storico della cultura che lo vede impegnato tra editoria, scrittura e organizzazione culturale. Nell’antro fresco e in penombra dello spazio eventi della Libreria Toletta di Venezia l’autore propone a un pubblico attento la riedizione di un suo lavoro, che in realtà è forse più una passione, su Adriano Olivetti e il mondo che questi ha attraversato, travolto, in qualche misura trasformato e sicuramente scosso. Nell’introduzione al libro si capisce che la passione per l’ingegnere di Ivrea nasce, in Saibene, in occasione di un progetto del 2008, che lo vedeva coinvolto nell’organizzazione. Una mostra che avrebbe celebrato a Torino, nella primavera di quell’anno, ricorrenza dei cento anni della Olivetti. Da quel momento i suoi studi si focalizzano sul personaggio e si susseguono inesauribili. Ricerche d’archivio, cartacee e multimediali, interviste agli ultimi testimoni viventi, riflessioni sull’eredità di Adriano, costituiscono l’humus di questo libro che non offre risposte ma una sola domanda: chi è stato Adriano Olivetti: un grande industriale? Un riformatore visionario? Un teorico sociale?
Adriano aveva allora la barba, una barba incolta e ricciuta, di un colore fulvo; aveva lunghi capelli biondo-fulvi, che si arricciolavano sulla nuca, ed era grasso e pallido. La divisa militare gli cadeva male sulle spalle, che erano grasse e tonde; e non ho mai visto una persona, in panni grigio-verdi e con una pistola alla cintola, più goffa e meno marziale di lui. Aveva un’aria malinconica, forse perché non gli piaceva fare il soldato; era timido e silenzioso; ma quando parlava, parlava allora a lungo e a voce bassissima, e diceva cose confuse e oscure, fissando il vuoto con i piccoli occhi celesti, che erano insieme freddi e sognanti.
Questa citazione di Natalia Ginzburg ci fa chiedere se Olivetti non fosse già entrato nel suo mondo utopico. Ripercorrendo la cronologia fissiamo alcune date importanti nella sua breve vita. 1914, Adriano ha tredici anni e durante il periodo estivo il padre lo manda a lavorare in fabbrica, esperienza ricorda così:
Imparai così ben presto a conoscere e odiare il lavoro in serie: una tortura per lo spirito che stava imprigionato per delle ore che non finivano mai, nel nero e nel buio di una vecchia officina. Per molti anni non rimisi piede nella fabbrica, ben deciso che nella vita non avrei atteso all’industria paterna.
Negli anni 1919-1920 si iscrive al Politecnico di Torino passando, dopo il primo anno, da ingegneria meccanica a chimica industriale. Stringe amicizia con Gino Levi e entra a far parte del lessico famigliare di Natalia. Collabora a varie riviste fondate dal padre Camillo, L’Azione Riformista e Tempi nuovi, fino al 1924, anno in cui si laurea e entra nell’azienda paterna come apprendista operaio.Il 1925 è l’anno della svolta. Parte per un viaggio studio negli Stati Uniti e in sei mesi visita oltre cento fabbriche tra cui la Ford. È soprattutto interessato ai metodi di organizzazione scientifica del lavoro che applicherà alla Olivetti a partire dal 1928. Il padre lo ammonisce:
tu puoi fare qualunque cosa tranne licenziare qualcuno per motivo dell’introduzione dei nuovi metodi perché la disoccupazione involontaria è il male più terribile che affligge la classe operaia.
Negli anni seguenti viene costituito l’Ufficio progetti e studi, il personale di vendita è triplicato e si organizza l’Ufficio pubblicità. Sono chiamati a collaborare architetti, pittori e grafici. Da presidente della Olivetti, nel 1938, porta a termine i servizi sociali introducendo l’assistenza medica di fabbrica, l’asilo, la mensa, i servizi per le puerpere. Si avvicina agli ambienti culturali di Roma, Milano e Firenze e nel 1942 comincia a pensare alla politica.
Bisognava condensare in un unica formula tutte quelle esperienze e conoscenze politiche e non politiche che il lavoro, la vita e lo studio mi avevano concesso di esplorare.
Quattro anni dopo, nel 1946, nel marzo, fonda la rivista Comunità. Nell’editoriale, che non firma, scrive:
Per uscire dal caos… bisogna veder nuovo e veder chiaro.
Veder nuovo significa vedere un mondo umano, veramente umano, un mondo fondato su leggi naturali, su leggi che siano eterne e siccome eterne diano vita e vigore ogni giorno all’azione, perché l’azione non si torca su sè stessa ma partecipi a una nuova società ove alberghi la quiete e risplenda la bellezza.
Veder chiaro significa attraversare come la luce al di là dello spettro, le correnti oscure di una situazione oscura, perché dal disordine si possa creare l’ordine….L’ordine ha da penetrare nelle cose pubbliche, la società deve vivere libera la sua vita, per la necessità dell’uomo di correre alla sua fantasia e alla sua missione.
Ma la politica lo delude. Nel 1958, eletto unico deputato rappresentante il Movimento Comunità, resta in carica un anno e poi si dimette. Lontano è quell’editoriale del 1946 comparso nel primo numero di Comunità dove scriveva:
Lo Stato dovrà affondare le sue radici nelle verità parziali che i partiti ,così come sono schierati, difendono separatamente. Affinché nasca, non un compromesso, ma una conciliazione e sintesi creativa, occorre che la difesa dei valori spirituali, la dinamica marxista e l’ansia di libertà trovino finalmente in un piano organico un’organica fusione.
Alla Fiera Campionaria di Milano, nell’aprile 1959, viene presentato Elea 9003, Elaboratore Elettrico Aritmetico che rappresenta in chiave umanistica la liberazione dell’uomo dell’elettronica. Il 2 ottobre 1959 la Olivetti acquista una partecipazione strategica della Underwood Corporation, l’azienda statunitense che produce macchine per ufficio. Il mondo si chiude attorno a Adriano Olivetti nel febbraio 1960.
Cosa ci resta di lui, sessantacinque anni dopo?
La casa editrice Adelphi, che ha contribuito a fondare. Il settimanale L’Espresso, che ha finanziato. Le edizioni di Comunità, che ha fondato e che ora pubblicano questo agile e brillante libro: ricordando il passato, cioè guardando al futuro.
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