Roma, 9 nov – I clandestini sono una delle principali spine nel fianco di un governo che su questo – come su molti altri argomenti – appare paralizzato. L’intesa on l’Albania per l’accoglimento di circa 35mila immigrati all’anno ha generato una serie di dissapori negli alleati leghisti, non tanto per l’accordo in sé definito “utile”, quanto per una questione di immagine che dopo oltre un anno inizia a pesare eccome nell’esecutivo: l’incapacità di dire basta agli sbarchi, di fermarli o di contrastarli seriamente. Il che, peraltro, è frutto di un altro aspetto: la consapevolezza che essere dirompenti in quell’ambito mette in pericolo l’esistenza stessa dell’esecutivo.
Clandestini, governo e libertà d’azione
Diciamolo chiaramente: nessuno vuole fare la fine del governo gialloverde. Sotto traccia, è questa la pura e semplice verità dietro tanta pavidità, tanto “europeismo” per di più di quelli maggiormente sterili, tanto imbastimento di regolamenti utili solo a prendere tempo ma mai a frenare concretamente gli sbarchi. Tanto è che gli sbarchi sono aumentati a dismisura, battendo ogni record degli anni precedenti. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni definisce il protocollo d’intesa con l’Albania come frutto di un “enorme lavoro, soprattutto diplomatico” portato avanti in questo anno, senza cui “i numeri degli ingressi sarebbero stati molto più alti”.
Potrebbe essere, oppure no. Questo aspetto ce lo dirà solo il tempo. Dal canto nostro, abbiamo rilevato la positività dell’accordo ma restiamo scettici per un semplice motivo: si tratta dell’ennesimo modo per girare intorno al problema, per trovare soluzioni di scorta senza mai affrontare il dramma principale. Qualcuno ieri ha detto: “Finalmente il governo agisce da solo senza curarsi del resto della inutile Ue”. E probabilmente ha ragione: nella positività c’è sicuramente l’approccio indipendente tenuto da questo esecutivo.
Ma i punti oscuri superano agilmente quelli luminosi, essendo soprattutto sempre della stessa risma: quellla della paralisi. Immobilità dovuta a un solo motivo: non tirarsi addosso le orde di attacchi che subì Matteo Salvini da ministro dell’Interno tra il 2018 e il 2019, quando – c’è poco da fare – gli sbarchi li fermò davvero. Pur palesando una debolezza dello Stato italiano nel controllo dei confini in casi come quello di Carola Rackete. Ma li fermò. Cosa che a quanto pare non è possibile fare. Allora via di approcci “soft”, tenui, girotondini, che non risolvono nulla. Perché la paura è il peggiore dei mali: quello che ti fa rimanere al governo facendo la figurina.
La Lega lo sa
La Lega è un partito che si è letteralmente suicidato negli ultimi anni e non è certamente una scoperta. Il suo 34% alle europee del 2019 era figlio di tanti aspetti ideologici: l’anti-europeismo, l’anti-immigrazionismo e l’anti-globalismo. Tutti buttati al mare – metaforicamente – tranne un approccio formalmente ancora “trattenuto” sull’immigrazione, che resta un simbolo troppo forte da abbandonare per il Carroccio. Anche se di sostanza ne é rimasta molto poca. Considerati i consensi crollati rispetto a quella fortunata stagione politica, però, diventa difficile ignorare completamente il problema. La Lega sa bene che il governo sul tema della clandestinità sta facendo una figuraccia. Lo sa perfettamente Matteo Salvini, conscio anche della sua passata immagine di ministro “blocca sbarchi”. Allora mugugna, rumoreggia. Non contro l’accordo di Tirana ma contro la politica inesistente di freno agli approdi di immigrati sulle coste. Del resto Andrea Crippa, vice di Salvini, ribadisce l’appoggio all’accordo, ma precisa anche che ” l’Italia deve fare l’Italia. E Salvini quando ha fatto il ministro dell’Interno ha fermato l’immigrazione clandestina”.
Oltre la verità tristissima di un governo paralizzato per non fare la fine di chi l’ha preceduto sul tema dei clandestini, c’è quindi quella di una Lega che è perfettamente consapevole dell’impossibilità di recuperare parte dei consensi perduti continuando con questa melodia, di fatto, inutile.
Stelio Fergola
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