Non è un’osservazione di strabiliante originalità, ma ha ragione Gian Antonio Stella quando osserva (sul Corriere della Sera di ieri) che il gran mercato dell’informazione, specie nei reparti online e social, è pieno di notizie false e contraffatte.
È poi vero che il fenomeno non riguarda mai soltanto uno schieramento, ma tutti, ed è vero che la cosa è tanto più grave quando non si tratta di un rigore sbagliato o della polemica sulle buche di Roma, ma di gente sgozzata e dei crateri in una scena di guerra.
Fare però gli esempi delle rispettive falsità, come se l’una valesse l’altra, rischia di generare un fenomeno disinformativo anche più grave, tipo che è tutto un magna magna, che li politisci so’ tutti ladri e che signora mia i torti non stanno da una sola parte.
È infatti un’altra specie di propaganda l’anti-propaganda secondo cui, quando arriva dall’Ucraina la notizia dei bambini stuprati, bisogna andarci cauti perché si sa che anche gli ucraini scrivono balle. È un altro tipo di propaganda l’anti-propaganda che mette sullo stesso piano lo sgozzamento trasfigurato in decapitazione e la sistematica fabbrica di menzogne e falsità che alimenta non solo il postribolo social e il Porcaio Unico Televisivo, ma anche tanta tradizionale stampa sussiegosa.
Perché c’è una differenza, una differenza abissale e sostanziale, tra una realtà civile, democratica e informativa da cui promana una falsità, da un lato, e una realtà autoritaria e delinquenziale che dall’altro lato fa della menzogna e della sistematica e impunita alterazione della verità il proprio modo di essere e di operare.
C’è una differenza di premesse e di conseguenze tra la fake news che fiorisce in un sistema che la espone a critica, a controllo, un sistema in cui quella presunta verità è correggibile ed emendabile, e la panzana promanante e divulgata da professionisti della menzogna che per accreditarla si affidano all’ignoranza e alla malafede altrui.
Ed è esattamente ciò che succede non più nel campo dell’informazione, ma sullo stesso terreno delle azioni criminali. Perché anche qui c’è una differenza, una differenza irriducibile, tra una democrazia che commette un crimine – il che può ben succedere, e succede – e un sistema intrinsecamente e deliberatamente criminale che fa del crimine lo strumento esclusivo della propria affermazione.
Qualcuno ha anche un solo dubbio sul fatto che in mesi e mesi di guerra all’Ucraina quest’ultima, l’Ucraina, abbia qualche volta fatto passare notizie false o non verificate? Non può esserci nessun dubbio. Ma l’esercito di troll – ben ascoltato anche qui da noi da certi osceni figuri che pure se la tiravano da commendatori del reportage comme il faut – quel branco di magliari che s’era messo a confezionare fotografie e video contraffatti con i cadaveri di Bucha che muovevano le braccia e facevano l’occhiolino alla telecamera, ecco, quello rappresentava un’altra cosa: non rappresentava il fungibile ed equiparabile ricorso a un’informazione così così, ma appunto la scientifica, per quanto grossolana, opera di sbianchettatura stalinista sulla scena di un massacro.
E vale per il conflitto scatenato dal pogrom del 7 ottobre. Qualcuno ha dubbi sul fatto che qualche disinvolto supporter possa aver divulgato notizie inveritiere poste ad aggravare (ma diciamo che deve essersi impegnato parecchio) quanto successo il 7 ottobre o ad attenuare gli effetti della reazione israeliana? Anche qui, nessun dubbio.
Ma qualcuno vorrà ammettere che si tratterebbe di ben altra cosa rispetto alla fogna di volgari mistificazioni cui si abbevera senza perplessità certo nostro giornalismo, che ha pure l’impudenza di spiegare che mica si può dar credito solo agli israeliani: ovviamente col corollario che siccome non si può dar credito solo a quelli, allora si dà credito solo all’Ordine dei giornalisti di Settembre nero. C’è una retorica anti-propagandista più contraffattoria della propaganda.