
La notizia è buona, anzi è doppiamente buona. La prima è che – in Italia – il numero dei decessi continua a scendere. Nei primi cinque mesi di quest’anno il numero dei morti è inferiore di circa 17 mila unità rispetto all’analogo periodo dell’anno prima. È una tendenza che ha marcato il 2023, anno in cui i decessi calarono di 54 mila unità rispetto all’anno prima riavvicinandoci ai livelli di mortalità prepandemici. Per di più il calo dei decessi si registra principalmente proprio tra la popolazione con almeno 80 anni di età e interessa pure il campo oncologico, in cui il calo della mortalità per tumori è netto. In pratica tutto questo non è altro che lo specchio di una crescente longevità (la speranza di vita nel 2023 ha guadagnato sei mesi rispetto all’anno precedente) che spiega anche perché la notizia del calo dei decessi risulta doppiamente buona: doppiamente buona perché da una popolazione in via di invecchiamento sarebbe del tutto naturale attendersi un incremento della mortalità. E invece siamo in presenza – per un insieme di tante concause positive – di un invecchiamento “di successo” nella misura in cui riesce ad allontanare Thanatos spostando progressivamente all’insù l’asticella dell’età in cui si consuma l’evento finale della vita.
Eppure, nonostante la longevità, il numero dei decessi è previsto crescere per ovvi motivi demografici e arrivare al culmine con circa 850 mila decessi annui (sono stati 661 mila nel 2023) a cavallo degli anni Cinquanta e Sessanta di questo secolo, per poi calare gradualmente per scendere addirittura sotto i livelli attuali negli anni Ottanta. Nel frattempo aumentano coloro che scelgono la cremazione (290 mila le cremazioni nel 2021, 13 mila in più rispetto all’anno prima) mentre la camera ardente (che una volta si organizzava alla meglio in casa, bastava un crocifisso e qualche candela) sempre più è delegata a case funerarie e a sale del commiato, una specie di elegante, ultimo “servizio alberghiero” per defunti e dolenti. Non meraviglia quindi che si muova con fiuto il mercato del “caro estinto”: i fondi di investimento puntano sulle aziende funerarie con servizi di preparazione dei defunti, funerali e cremazioni (in crescita del 5-7 per cento l’anno) e su chi costruisce e manutiene forni crematori.
D’altronde qualcosa sembra muoversi nell’approccio alla morte, cercando nuovi rituali e forme del lutto che associno sensibilità e creatività. Ad esempio stanno nascendo i death cafè, dove si parla di morte e lutti in totale libertà davanti a un gruppo di sconosciuti mentre si sorseggia un tè o un caffè. È uno dei modi per convivere con un evento psicologicamente doloroso, ma al tempo stesso naturale ma che la modernità ha occultato dal discorso pubblico, confinandolo nella sfera delle tragedie insensate. Il tentativo è anche quello di fornire simbologie nuove a un evento – quello del rito funebre – ormai spersonalizzato e disallineato rispetto alle sensibilità attuali.
E poi la morte si fa digitale. Come funziona? I parenti forniscono all’impresa che si occupa di replicare virtualmente il defunto materiali come foto, video e audio. Migliore la loro qualità tecnica migliore sarà anche la clonazione. L’intelligenza artificiale “ricrea” quindi il defunto, restituendogli non solo un viso e una voce ma anche dei “pensieri”. In pratica un avatar in grado di imitare i modelli di pensiero e di linguaggio dello scomparso con cui interfacciarsi quando si vuole. L’aldilà digitale viene a sostituire l’aldilà religioso, i ricordi ed il lutto si fanno (elettronicamente) eterni. Insomma si affacciano prove tecniche di immortalità – per ora solo virtuale – che si sommano alla longevità, questa sì davvero reale.
Immagine di copertina: Screenshot del film Il caro estinto (1965)
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