
Occhio Meloni, perché Genova non è una città come le altre. Basta conoscerne un minimo la storia e i protagonisti per sapere che, da Cristoforo Colombo in poi, le sorti dell’Italia molte volte sono passate da lì. Del resto, parliamo pur sempre della terra natale di Mazzini, del luogo da cui salparono i Mille alla volta della Sicilia, della realtà che si è liberata da sola dal nazi-fascismo, un giorno prima del memorabile discorso di Pertini a Milano, e di un contesto che era repubblicano quando il resto del Paese era ancora monarchico e in cui socialisti e comunisti, alle elezioni per l’Assemblea costituente, ebbero la maggioranza. Senza dimenticare i camalli del ’60, i ragazzi con la maglietta a strisce che si opposero alla vergogna del congresso del MSI in una città medaglia d’oro della Resistenza, concesso dal governo Tambroni per ripagare i missini dell’appoggio esterno concesso al monocolore democristiano più a destra di sempre, e la figura epica di Guido Rossa, il sindacalista dell’Italsider che venne assassinato la mattina del 24 gennaio del ’79 per aver denunciato un collega che diffondeva in fabbrica volantini delle BR.
Occhio Meloni, perché Genova la sa lunga e, come detto, anticipa. Non a caso, è la città che nel 2001 si oppose alla barbarie della globalizzazione neo-liberista di cui stiamo tuttora pagando le conseguenze. Non a caso, è la città di Tenco, Lauzi, Villaggio, De André e don Gallo. Non a caso, è una città profetica, nella quale convivono il dolore e la bellezza, la povertà e la ricchezza, bianchi, neri e tutti i colori del mondo. Non a caso, a Genova non esistono centro e periferia, non moralmente almeno, perché Genova accoglie; anche per questo la maggior sofferenza che ho provato in questi anni, visitandola d’estate, è stata proprio assistere alle barriere invisibili erette dalle amministrazioni Toti e Bucci in un universo per sua natura aperto e libero.
Silvia Salis, dunque, si è imposta sul rivale Piciocchi, chiamato a raccogliere il testimone di una stagione ormai finita. Ha vinto con una coalizione larga alle spalle, mettendo insieme il M5S e Italia Viva, il PD, AVS e tutte e tutti coloro che volevano finalmente cambiare aria in una città che aveva smarrito l’anima, la propria identità e, di conseguenza, il proprio futuro.
Vedremo presto se a Genova sia davvero “già domani”, come recitava lo slogan vincente della candidata sindaca Salis: lo capiremo dalla composizione della giunta e dai primi provvedimenti. Da amante di Genova, della sua storia, della sua arte e dell’ambiente bellissimo che vi ho trovato ogni volta che mi ha accolto, posso dire che l’importante era imprimere una svolta, e quella svolta è avvenuta. Se a ciò aggiungiamo che in alcune delle altre città in cui si è votato la Lega è andata da sola, è evidente lo smottamento all’interno della maggioranza. Certo, anche l’opposizione da qualche parte si è divisa, a dimostrazione che l’amalgama nel centrosinistra è ancora da trovare, ma non c’è dubbio che, rispetto a due anni fa, gli equilibri nel Paese siano cambiati. La legislatura è entrata nella seconda fase e l’esecutivo appare assai meno granitico e sicuro di sé, pertanto ancora più arrogante, come dimostra l’approvazione a tappe forzate del Decreto Sicurezza.
Occhio, però, ribadiamo: Genova anticipa e condiziona, guida in silenzio e sa farsi sentire. Genova è una città potenzialmente anarchica e sicuramente rivoluzionaria, e quando decide di muoversi, in un senso o nell’altro, imprime una svolta decisiva. “Con quel mare scuro / che si muove anche di notte” e “non sta fermo mai”, come cantava Paolo Conte, a sua volta innamorato di una città nella quale non si può tornare, per il semplice motivo che non si va mai davvero via.
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