
L’inno ufficiale si intitola “Le tue ali Bologna” e, mai come ieri sera, la compagine rossoblu ha onorato la propria storia e la passione di quattro tifosi d’eccezione come Andrea Mingardi, Luca Carboni, Gianni Morandi e il compianto Lucio Dalla. Già, perché da quelle ali la squadra di Italiano si è lasciata trasportare fin lassù, dove da cinquantuno anni non aveva il coraggio di issarsi. Ai tempi dell’ultima Coppa Italia, vinta, sempre all’Olimpico, contro il Palermo, erano in campo Bulgarelli, Savoldi e un giovanissimo Eraldo Pecci. Molti dei trentamila tifosi che hanno seguito la squadra in trasferta a Roma non erano neanche nati. Mezzo secolo di Purgatorio, insomma, con qualche stagione all’Inferno, e finalmente la rinascita, propiziata dagli investimenti del presidente Saputo (uno dei pochi proprietari che hanno davvero arricchito il nostro calcio) e dalle intuizione del trio Fenucci-Sartori.Di Vaio, artefice di una crescita umana e sportiva che sotto le Due torri non si vedeva dai tempi di Dall’Ara. E adesso cosa accadrà? Dove può arrivare questo Bologna corsaro che non sbaglia un colpo, riesce a schiantare il Milan in una gara secca, un tempo il terreno di caccia preferito dai rossoneri, si qualifica automaticamente alla prossima Europa League e può vantare una rosa e un impianto di gioco di tutto rispetto? Forse è presto per spingere i sogni troppo in là, azzardandosi addirittura a pronunciare la parola “scudetto”; fatto sta che non saremmo sorpresi se fra qualche anno, continuando di questo passo, i felsinei potessero realmente insidiare le grandi, entrando in un’altra dimensione. Del resto, il bilancio è sano, la gestione è pressoché perfetta, gli acquisti sono stati mirati e all’insegna del buonsenso, la città segue il percorso con un entusiasmo che da quelle parti non si vedeva da una vita e ci sono, dunque, proprio tutti gli elementi per ritenere lecito alzare l’asticella delle ambizioni.
Di sicuro, vien voglia di aprire una riflessione sugli acquisti insensati di tante presunte “big” del campionato, quando era a disposizione lo svizzero Dan Ndoye che ieri ha deciso l’incontro dopo aver dato prova, per tutta la stagione, del proprio talento. E che dire dei vari Castro, Dallinga, Lucumí, Beukema, del portiere Skorupski, del mitico Riccardo Orsolini e di tutti gli altri membri di una formazione che Italiano ha saputo plasmare con intelligenza, prendendosi il tempo necessario per dare uno sbocco nuovo all’ottimo lavoro compiuto lo scorso anno da Thiago Motta e avendo la fortuna di poter lavorare in un ambiente che non gli ha messo né fretta né pressione? Cosa dire della civiltà di una tifoseria che ha accettato senza sbraitare l’eliminazione dalla Champions, comprendendo che quello fosse solo il primo passo per tornare ai vertici? Bologna isola felice, quindi, in quell’Emilia una volta felix e oggi irrequieta come il resto del Paese, tuttavia ancora capace di slanci di generosità senza pari e, soprattutto, di affrontare difficoltà e momenti delicati con una saggezza di cui altrove non v’è traccia.
Ieri sera il Bologna sembrava il Milan dell’epoca aurea, e adesso la città guarda al futuro, l’ambiente è ebbro di gioia e ci si rende conto che forse non torneranno i tempi di Biavati e dello “squadrone che tremare il mondo fa”, forse neanche quelli di Bernardini e dei vari Haller, Nielsen e Pascutti, ma di sicuro son lontane le sofferenze di appena un decennio fa. Diciamo che il Bologna ha ritrovato se stesso, la sua storia e il suo posto nel mondo. La sua gente, invece, non se n’era mai andata: c’è stata in A, in B, in C, negli anni delle promozioni e in quelli delle retrocessioni, magari mugugnando ma senza mai arrendersi. Nessuno, più di loro, merita questa gioia. E l’avvenire è roseo o, per meglio dire, rossoblu!
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