
Mattia Toffolutti lavora nell’ambito della nazionale femminile nell’importante ruolo di preparatore. Abbiamo deciso di chiedergli un parere alla vigilia degli Europei femminili che si svolgeranno in Svizzera il prossimo luglio 2025.
Caro Mattia, sembrano lontani i tempi della canzoncina di Rita Pavone: “Perché, perché la domenica mi lasci sempre sola…”. Oggi il calcio maschile è in crisi nera mentre quello femminile si sta togliendo non poche soddisfazioni. Come si è capovolto lo scenario in così poco tempo? Che è successo?
È una domanda non semplicissima. Parlo per me: da due anni, faccio parte dello staff di Andrea Soncin, il cui lavoro è iniziato dopo un Mondiale non brillantissimo, e stiamo beneficiando della crescita progressiva dell’intero movimento. I numeri del calcio femminile, in termini di appassionati, non è paragonabile ai ventimila spettatori che abbiamo trovato a Bochum, una squadra di Bundesliga 1, quando abbiamo affrontato la Germania né ai quattordicimila che sono venuti a vederci in Spagna, però, giorno dopo giorno, si sta conquistando attenzione e rispetto.
Basti pensare al Barcellona, che fa paura a livello maschile ma anche a livello femminile non scherza. Un nome su tutti: Aitana Bonmatí Conca, pallone d’oro in carica.
È così. Da noi le ragazze sono molto brave e si impegnano ma sul versante femminile, ribadisco, siamo ancora un po’ indietro. Dev’essere sdoganato l’intero movimento. Abbiamo ancora delle carenze, ad esempio a livello di pubblico. Per dire: abbiamo giocato sia a Vicenza che a Bolzano ma con numeri assai più esigui rispetto a quelli che abbiamo trovato a Swansea, in Galles, dove sugli spalti c’erano circa seimila spettatori.
Mi viene in mente una citazione, berlingueriana: “La passione non è finita”. Ecco, mi sembra che nell’ambito femminile la passione non sia finita. Ho l’impressione, invece, che nell’ambito maschile sia se non finita, comunque fortemente attenuata. Cioè, oggi sembra quasi che gli italiani seguano di più a livello maschile il tennis, Sinner e altre discipline. Il calcio sembra essere un po’ uscito dall’orizzonte dei bambini. Quanto c’entra anche il fatto che non sia più visibile in televisione se non a pagamento?
O forse anche c’è fin troppo calcio, conta pure quello. Noi aspettavamo quei quarantacinque minuti del miglior tempo di una partita che mandava in onda la RAI, dunque avevamo l’attesa, la trepidazione, adesso puoi vedere calcio tutti i giorni , con l’aggiunta dal cosiddetto “spezzatino” dovuto al fatto che a dettar legge sono le pay-TV. Oltretutto, mancano i giochi di strada, il campetto di terra. Diciamo che, in ambito maschile, manca la genuinità, il troppo stroppia e cominciamo a rendercene conto, anche sotto forma di perdita del desiderio.
Troppe competizioni, troppe partite, un eccesso che rende gran parte degli incontri di scarso interesse.
A livello maschile, sì: l’analisi è corretta.
E a livello femminile?
In ambito femminile, c’è la volontà di crescere, di conquistare spazi. Dal prossimo anno avremo anche più squadre in Champions League e forse ci sarà anche una competizione simile alla Coppa UEFA. Si sta parlando di qualcosa di simile pure a livello di FIFA, cercando di intercettare nuovi segmenti del mercato e seguendo l’esempio degli ultimi Mondiali in Nuova Zelanda, che hanno avuto un ottimo successo. L’obiettivo è quello di passare dalle trenta milioni di praticanti attuali a sessanta milioni. Non ci dimentichiamo, comunque, che il calcio, anche a livello femminile, è lo sport più praticato dalle ragazze, benché in Italia forse prevalga ancora la pallavolo.
Quali sono le prospettive della Nazionale femminile?
L’anno scorso, nella Nations League femminile, siamo arrivate seconde nel girone dopo la Spagna campione del mondo. Nel girone di qualificazione per gli Europei, siamo arrivate prime, precedendo Olanda, Norvegia e Finlandia, e adesso andremo a disputare gli Europei in Svizzera: il 3 luglio contro il Belgio, il 7 contro il Portogallo e l’11 contro la Spagna. L’obiettivo è di fare bene, passando il turno per andare poi ai quarti. In Nations League, invece, siamo arrivate seconde dietro la Svezia, precedendo Danimarca e Galles. Qualche rammarico c’è, ma va bene lo stesso.
Abbiamo cominciato a seguire il calcio femminile ai tempi di Carolina Morace e Patrizia Panico, poi è venuta la generazione d’oro di Sara Gama e Cristiana Girelli. Quali potrebbero essere le rivelazioni azzurre ai prossimi Europei?
C’è Manuela Giuliano, che è stata anche nell’elenco della FIFA delle migliori giocatrici. Non me la sento di fare altri nomi. Posso solo dire che ci sono tante ragazze giovani emergenti, e non solo nella Nazionale maggiore ma anche nell’Under 19 e nell’Under 17 che, a loro volta, si sono qualificate agli Europei. Il gruppo e il collettivo vengono prima di tutto, mettiamola così, senza individualismi di sorta.
Qual è il rapporto fra le giovanili e la prima squadra? Noi non abbiamo realtà paragonabili al Barcellona o al Real Madrid: molti talenti magari sbocciano ma poi si perdono o vengono ceduti e utilizzati unicamente come plusvalenze. Vale anche per quanto riguarda i club?
A proposito dei club, preferiscono non rispondere. Per quanto concerne la Nazionale, la crescita avviene non solo a livello fisico ma anche come concetti di gioco, il che darà i suoi frutti sia nei club che in azzurro.
In cosa è diverso il modo di giocare a calcio tra maschi e femmine?
Secondo me, è uguale. Diciamo che in ambito femminile c’è più tecnica, meno perdita di tempo, più lealtà e una maggiore voglia di crescere. Le giocatrici, comunque, stanno diventando sempre più atlete e questo comporta non pochi vantaggi. Basti pensare alla disponibilità a sottoporsi dei sovraccarichi che ne perfezionano la struttura atletica. Da questo punto di vista, il passaggio al professionismo ha dato ottimi frutti.
Come si fa, in concreto, a far crescere il movimento rispetto ad altri paesi, dove il calcio femminile è già una realtà affermata?
È un argomento delicato. Ci sono società all’avanguardia, ad esempio il Milan, che affrontano questo argomento anche a livello contrattuale. Non ci dimentichiamo il caso di Allyson Felix, la campionessa di atletica americana che è entrata in polemica con i suoi stessi sponsor proprio per le discriminazioni subite a causa del fatto di voler essere mamma. I passi da compiere sono ancora molti in tal senso.
Come si crea la coesione in un gruppo femminile? Come fanno spogliatoio? Cosa c’è di diverso rispetto all’universo maschile?
Sono dinamiche molto riservate, inaccessibili soprattutto per noi maschietti! Diciamo che i principî sono universali, ma le ragazze sono molto più attente ai particolari. Ti danno tantissimo ma vogliono ricevere attenzioni significative, specie per quanto riguarda i rapporti umani.
Quali sono le prossime sfide?
Gli Europei svizzeri innanzitutto e poi le qualificazioni ai Mondiali del 2027 in Brasile. Il nostro sogno è quello di arrivare alle Olimpiadi di Los Angeles con sedici rappresentative nazionali anche a livello femminile, proprio come in ambito maschile, anziché le dodici attuali. Procediamo un passo alla volta.
In ambito femminile, quanto è importante la questione dei “blocchi”?
Fino all’anno scorso, avevamo il blocco della Roma e quello della Juve, ora si è aggiunta l’Inter, quest’anno giunta seconda in campionato, e poi ci sono le ragazze che giocano all’estero. Essendo ancora visto come sport minore, purtroppo, il calcio femminile ha una fame pazzesca: vivere l’azzurro è un momento magico.
Viene in mente Pasolini: il calcio femminile ha mantenuto ancora una certa purezza…
È così. La passione non manca, il professionismo è arrivato da poco e le ragazze sono spesso anche laureate, con alle spalle percorsi significativi e ricchi di sacrifici. Sanno cosa si sono guadagnate, mescolando l’antica poesia del dilettantismo e la forza che deriva dal professionismo. Pasolini era un grande amante del Bologna ma pure del calcio in generale: è bello ricordarlo a cinquant’anni dalla scomparsa.
Effettivamente, le calciatrici sono un po’ più colte…
Il settantacinque percento di loro legge un libro, si appassiona e segue vicende anche extra-calcistiche.
Ma perché le donne sono così superiori a noi uomini?
È l’evoluzione della specie! Diciamo che spesso hanno una profondità maggiore rispetto a noi.
Come sei cambiato da quando sei passato dal calcio maschile al calcio femminile?
La passione per il mio lavoro è immutata. Il rapporto umano ed empatico con le calciatrici, invece, è speciale. Come detto, ti danno qualcosa in più. È un bellissimo mondo, nel quale mi sono buttato con entusiasmo.
C’è qualche “peperina”, l’equivalente di un tipo alla Cassano…
Vivaci lo sono eccome, ma anche massimamente professionali. Qualche “peperina” c’è, ed è anche normale che sia così, diciamo che è fisiologico. Ciò che stanno acquisendo è la malizia in campo, talvolta indispensabile per portare a casa le partite più ostiche.
Se dovessi azzardare…
Speriamo che arrivi almeno al livello di quello europeo, a cominciare dal numero di appassionati. Io sono entrato a far parte di questo mondo dal 2023. Il campionato dall’anno prossimo sarà composta da dodici squadre anziché dieci e anche il pubblico sta crescendo, ma non siamo ancora agli ottantamila spettatori della finale di Champions League di quest’anno fra Arsenal e Barcellona. È un percorso e sarà entusiasmante seguirlo e farne parte.
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