Se l’auge delle destre ha certamente dato il segno a queste elezioni, e caratterizzerà un Parlamento in cui prendono molti seggi e il Ppe consolida la sua leadership, tentiamo di capire quali indicazioni il voto dia sullo stato di salute della socialdemocrazia europea.
Sono circa trent’anni che ci misuriamo con la sentenza di Ralf Dahrendorf sulla Fine del Secolo socialdemocratico. Sia che la si legga come la fine dello Stato sociale nazionale di stampo keynesiano che come estinzione dei partiti socialdemocratici, le urne europee danno indicazioni contraddittorie.
Globalizzazione e unificazione europea hanno marciato sulle gambe dell’erosione del modello sociale europeo. Pandemia, soprattutto, crisi climatica e guerra hanno portato su strade diverse, messo in discussione mantra liberisti finora intoccabili, come la rigidità di bilancio e la privatizzazione dei servizi pubblici, a partire da quelli sanitari, e messo un freno, momentaneo e già in discussione, alle politiche di austerità, strettamente legate al pensiero liberista, introducendo anche formule di condivisione del debito.
L’indebolimento dei partiti socialdemocratici in questo processo, ci riferiamo a quelli appartenenti al Gruppo socialista e democratico del Parlamento europeo (S&D), è indiscutibile, in relazione sia ai risultati elettorali che alla partecipazione ai governi nazionali, un fenomeno che va avanti da anni. Questo voto, tanto importante e critico nella storia dell’Ue, non giunge, però, a confermare la sentenza di Dahrendorf, illuminando con flebili segnali di luce un panorama che, comunque, resta oscuro. Sarà che la storia non ha mai fine, anche se chi non sa rinnovarsi può perire nel suo flusso. Proviamo a capire dove si trova la socialdemocrazia europea.
Se guardiamo al voto francese e tedesco, dove la vittoria delle destre è di ampie proporzioni, i segnali sono diversi.
In Germania i partiti di governo (Spd, verdi e liberali) pagano un percorso litigioso che ne ha fiaccato l’iniziativa ma non va sottostimato il contesto bellico, che si articola in due dimensioni. Una, di fondo, riguarda la Guerra Ucraina e la fine di una politica economico-industriale basata sull’acquisto a prezzi favorevoli dell’energia russa. Una vera crisi di progetto. La locomotiva d’Europa è entrata in recessione, strategie per il futuro tardano a vedersi, il governo ne paga lo scotto. Più immediate, forse, le conseguenze della Guerra di Gaza, con l’acritica adesione alla risposta israeliana al pogrom del 7 ottobre, che viene scontata soprattutto dai Verdi, che perdono ben nove seggi. Alla fine, l’Spd di Olaf Scholz perde due seggi da 16 a 14, e scende dal 15,82 al 13,9 per cento. Più di un segnale negativo, in un contesto enormemente difficile, ma non una sentenza definitiva, tenendo conto che stare all’opposizione ha consentito ai popolari di godere della posizione e non affrontare direttamente la crisi del “progetto tedesco”, di cui pure sono stati artefici. Resta da capire se l’Spd ha in sé nuove energie per affrontare l’epoca.
In Francia — dove Macron ha reagito ai risultati con un salto mortale, licenziando l’esecutivo e indicendo nuove elezioni — alla grande vittoria di Lepen e Bardella fa da contraltare il ritorno del Psf, guidato da Olivier Faure. Il quarantaquattrenne Raphaël Glucksmann, figlio del filosofo André e candidato europeo, è riuscito a riproporre il partito come opzione possibile: 13 seggi e 13,8 per cento costituiscono quasi il raddoppio rispetto alle europee del 2019 (7 seggi) e un ribaltamento rispetto alle politiche del 2022, quando al primo turno aveva preso appena 877 mila voti, settimo partito con appena il 3,9 per cento. La tenaglia che schiacciava i socialisti, République En Marche! di Macron e La France insoumise di Jean–Luc Melenchon, sottraendo voti a destra e a sinistra, esce pesantemente ridimensionata dal voto e il Psf, dato per morto solo un anno fa, può lavorare per ritrovare una centralità nel centrosinistra francese. A partire dalle imminenti politiche.
Anche in Belgio salta il governo per i risultati ma i socialisti restano ai margini del movimento, che riguarda i liberali in discesa, i partiti fiamminghi e valloni e la crescita delle destre, anche se i due partiti del Gruppo S&D, fiammingo e vallone, mantengono i seggi del 2019, e non è una cattiva notizia.
In Italia, dove la vittoria di Meloni è netta, Il Pd di Elly Schlein può ben tirare un profondo sospiro di sollievo. Ha guadagnato in percentuale sulle politiche, dal 19 per cento del 2022 al 24, è l’unico partito a crescere in voti assoluti, circa 200 mila, rispetto alle politiche di due anni fa. Rispetto alle scorse europee, dove aveva preso il 22,7 per cento dei voti, ha guadagnato un seggio, da 19 a 20, raggiungendo il Psoe di Pedro Sanchez sul podio di primo partito del Gruppo S&D.
In Spagna, il Psoe si ferma al 30,19 per cento, 5.261.293 voti, 20 deputati, perdendone uno e circa duecentomila voti in meno rispetto al 2019, quando ottenne il quasi il 33 per cento. Ma Pedro Sánchez può dire di avere parato il colpo. Il Psoe mantiene la linea psicologica del 30 per cento e smentisce sondaggi che, appena poche settimane fa, lo davano con dieci punti di distacco. I risultati di Psoe e Pp, nella generale crescita delle destre, sono comparabili a quelli delle politiche dello scorso luglio, quando il Pp ottenne il 33,06 per cento, e sale al 34 per cento, e il Psoe aveva il 31,68 per cento.
La Grecia, dove ha vinto Nuova democrazia col 28,6 per cento, partito di governo affiliato al Ppe, vede il Pasok rialzare timidamente la testa. Il 12,9 per cento è un aumento dei consensi, in Europa e in Grecia, anche se non riesce a superare Syriza, che incassa il 14,7 per cento. Nulla di che, i partiti alla sua sinistra hanno il doppio dei suoi voti, ma un’inversione di tendenza.
Notizie più positive per i socialdemocratici arrivano anche da Portogallo, Romania e Svezia.
In Portogallo i socialisti vincono per meno dell’1 per cento, su Alianza Democrática, del Ppe e attualmente alla guida di un governo di minoranza nato grazie ai voti socialisti come cordone sanitario contro l’estrema destra. Margine strettissimo ma ribalta il risultato delle scorse politiche, quando una discutibile azione giudiziaria — Il capo del governo, Pedro Costa, si dimise e indisse elezioni in seguito a un’iscrizione nel registro degli indagati di una persona che risultò essere un suo omonimo — inquinò lo scenario politico-elettorale.
In Romania il Psd si è presentato in coalizione coi liberali del Pnl, ottenendo il 48,7 per cento dei voti e 13 consiglieri, di cui ben 11 per S&D e solo 2 per Renew Europe.
Il nord Europa, dà segnali contrastanti, con la notevole crescita delle sinistre alternative e comuniste, che diventa anche sorpasso. Non in Svezia, dove i socialdemocratici conservano il primato col 24,9 per cento, 1,4 punti in più rispetto al 2019 — anche se cresce il Partito della Sinistra, di cui fa parte il Partito comunista, che sfiora l’11 per cento — ma in Finlandia e Danimarca.
In Finlandia, dove vince Kok, partito affiliato al Ppe, l’Alleanza di sinistra ottiene il 17,3 per cento e supera i socialdemocratici, terzi col 14,9 per cento. In Danimarca il sorpasso è clamoroso: i socialdemocratici, sempre vittoriosi dal dopoguerra e attualmente al governo, avevano preso nelle politiche del 2022 il 27 per cento, si fermano al 15,6, mentre il Partito popolare socialista vola al 17,4 per cento e diventa la lista più votata.
Anche in Austria, Estonia, Croazia, i partiti di S&D danno segni di esistenza in vita.
L’Europa è trascinata a destra, sotto le ondate delle estreme. Il Ppe pare irraggiungibile, ma il disegno di Manfred Weber di rompere l’asse con socialdemocratici e liberali, aprendo alle estreme destre europee, col simbolico sacrificio dei filo-nazisti tedeschi dell’Adf, pare essere arrivato su un binario morto. Così si indebolisce anche l’ipotesi Draghi, per più di qualcuno possibile legittimazione di una possibile svolta a destra dell’Unione.
Il voto sembra lasciare il campo a una riedizione dell’attuale governance europea, in Europarlamento più spostato a destra. Il che non vuol dire che l’Europa debba per forza fare politiche moderate. Lo stesso Green deal, l’Agenda 2030, potranno essere rivisti in senso revisionista oppure rivedendo la redistribuzione del peso della conversione ecologica e industriale.
La socialdemocrazia europea non è stata travolta dal voto ma vede anzi segnali di ripresa. La crescita delle sinistre non socialdemocratiche fa male ma apre nuove possibilità. Se una parte ha tendenze euroscettiche, populiste, addirittura socialmente conservatrici, come la Bündnis di Sahra Wagenknecht in Germania, altra intende dialogare con la governance europea, è il caso dell’Alleanza Verdi-Sinistra che ha ottenuto in Italia un buon risultato. La socialdemocrazia europea può fare da ponte tra le sinistre e la governance europea, così da facilitare la navigazione nelle acque dell’Europarlamento, agitate e piene di scogli di destra. Come insegna Pedro Sánchez, aprirsi alla propria sinistra può consentire di ricostruirsi e consolidarsi. Per riprovare a vincere.
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