
Riportiamo di seguito una serie di testimonianze raccolte con l’aiuto della pagina Instagram “Volti italiani: storie di cittadinanza”
Remon: “Ho due lauree, tifo azzurri e… canto Cotugno”
Sporco immigrato, profugo, clandestino, egiziano criminale. Queste sono spesso le etichette usate da chi non sa chiamarmi semplicemente con il mio nome: Remon. Sono uno dei tantissimi giovani che, oltre a non aver deciso dove nascere, non hanno avuto la fortuna di scegliere il proprio futuro.
Amo l’Italia e sogno un futuro migliore per questo Paese. Sogno un’Italia capace di accogliere chi la ama, indipendentemente dalla provenienza, colore della pelle, religione, genere o orientamento sessuale. So a memoria l’inno di Mameli e tifo per l’Italia ai Mondiali, ma non sono italiano. Ho un diploma e due lauree conseguite con il massimo dei voti, ma non sono italiano. Sogno un’Italia capace di premiare tutti coloro che la amano, studiano, lavorano e fanno bene a questo Paese.
L’Italia è una Repubblica fondata sulla dignità e sull’uguaglianza. Riconoscere i diritti ai nuovi italiani significa rendere concreto lo spirito della Costituzione. Non sono italiano, ma: «Lasciatemi cantare, perché ne sono fiero, sono un italiano. Un italiano vero».
Selma: “Nata in Brianza, ma cittadina solo a 18 anni”
Mi chiamo Selma, ho 27 anni e sono nata e cresciuta in provincia di Monza. Da un anno esercito la professione di avvocato civilista, con specializzazione in diritto bancario. Dopo aver conseguito il diploma al liceo classico, ho scelto di intraprendere gli studi giuridici con l’obiettivo di operare nel campo della tutela dei diritti, consapevole del ruolo fondamentale che il diritto riveste nel garantire equità e giustizia nella società. Nel 2022 mi sono laureata in Giurisprudenza, con una tesi in giustizia costituzionale.
I miei genitori sono originari del Marocco e hanno scelto l’Italia come luogo in cui costruire il loro futuro. Io sono nata in questo Paese, ho studiato e mi sono formata qui, eppure ho ottenuto la cittadinanza italiana solo al compimento dei 18 anni, in base alle normative vigenti. Questa esperienza personale ha rafforzato la mia convinzione sull’importanza di riconoscere la cittadinanza come un diritto imprescindibile, non come una concessione o un privilegio.
Ritengo fondamentale che il senso di appartenenza non venga messo in discussione, ma sia valorizzato attraverso un riconoscimento chiaro e tempestivo dei legami, delle responsabilità e dei contributi concreti che ogni individuo apporta alla comunità. La cittadinanza deve rappresentare il punto di partenza per un pieno inserimento sociale e civile, non un traguardo o una ricompensa. Oltre alla mia attività professionale, sono impegnata nel sociale, partecipando a iniziative volte a promuovere l’inclusione e la tutela dei diritti delle persone.
Ibrahim: “Con la mia pizza cerco di aiutare chi ha bisogno”
Mi chiamo Ibrahim Songne, ho 33 anni e vengo dal Burkina Faso, uno dei Paesi più poveri al mondo. La mia vita ha preso una svolta grazie al coraggio di mio padre, che, emigrato in Italia, ha trovato un lavoro a Napoli e ha avviato il ricongiungimento familiare, permettendomi di arrivare in Italia. Quando ero ancora a Ouagadougou, assistetti a una scena che mi segnò profondamente: un bambino povero chiedeva carità e il gesto del donare gli sembrava un gioco. Da quel momento, sognai di creare un luogo dove simili ingiustizie non accadessero più.
Arrivato in Italia, mi resi conto che la realtà non era il paradiso che immaginavo. La povertà e la lotta per sopravvivere erano presenti anche qui. Nonostante le difficoltà linguistiche e le discriminazioni razziali, ho continuato a lavorare e a studiare, affrontando la balbuzie e l’emarginazione. Lavorando in vari settori, dai più umili ai più qualificati, ho trovato la mia vera passione nel settore gastronomico, in particolare nella preparazione di focacce e pizze.
Nel 2018, ho aperto “Ibris-Focacce e Pizze”, con un obiettivo chiaro: offrire un prodotto di alta qualità e innovare, portando iniziative solidali come “offerta libera” e “pizza sospesa”, che hanno raccolto oltre 43.000 euro per aiutare chi è in difficoltà. Parallelamente, ho avviato “Ponti Meticci”, un progetto che promuove l’incontro tra culture africana e europea, sostenendo l’integrazione e l’imprenditoria afro-italiana. Ora, il mio sogno si concretizza con l’associazione “Give, Dare per Cambiare”, un’iniziativa di volontariato che punta a creare pari opportunità per tutti. Credo che solo quando ogni individuo avrà gli stessi mezzi e opportunità, potremo davvero essere ricchi.
Mila: “Giocavo a tennis, ma ero esclusa dai tornei nazionali”
Mi chiamo Mila Grujovic, sono nata a Milano il 20 dicembre 2002 da genitori serbi fuggiti dalla guerra in Jugoslavia. Sono cresciuta a Cologno Monzese, passando l’infanzia tra questure, dove i miei genitori cercavano disperatamente di ottenere i documenti per vivere legalmente in Italia. Da bambina ho iniziato a giocare a tennis, ispirata da Ana Ivanovic e Novak Djokovic, che vedevo come simboli di riscatto per le mie origini. Sognavo anche io di diventare un’atleta professionista e garantire un futuro migliore alla mia famiglia.
A scuola, a Milano, ho iniziato a sentirmi diversa: «Quando avrai la cittadinanza, potrai parlare», mi dicevano. E proprio perché non ero ancora italiana, non potevo partecipare ai campionati nazionali né alle gare a squadre giovanili di tennis. Mi sentivo esclusa e discriminata, pur sentendomi profondamente italiana.
Nel 2021 ho ottenuto finalmente la cittadinanza, giurando il 26 marzo, e nello stesso anno mi sono iscritta a Giurisprudenza. Oggi, con il sogno del tennis alle spalle, mi impegno per una società più giusta attraverso la politica. Nonostante un’esperienza da outsider, in una collettività dove spesso lo “straniero” che cerca di migliorarsi viene visto con sospetto, continuo a sognare in grande: voglio diventare avvocata ed avere successo. E soprattutto sogno che mio fratello, oggi undicenne, ottenga la cittadinanza prima della maggiore età.
Najwa: “Mia madre imparò la lingua guardando la Rai”
Mi chiamo Najwa Fariki, ho 20 anni e due anni fa ho ottenuto la cittadinanza italiana, coronando un percorso fatto di studio, impegno e tanto amore. Sono cresciuta a Caltanissetta, nel cuore della Sicilia, e mi sono diplomata con lode all’Istituto Rapisardi Da Vinci, completando il mio percorso in soli quattro anni. Ho sempre dato il massimo, spinta da una forza che viene da lontano: quella di mia madre, Maria. Mia madre è arrivata in Italia nel 1997, senza sapere leggere né scrivere. Ha imparato l’italiano guardando i cartoni animati della Rai, e ha lavorato instancabilmente per costruire un futuro migliore per la nostra famiglia, in Italia e in Marocco. È stata e continua a essere la mia più grande ispirazione.
Quando ho compiuto 18 anni, ho presentato la domanda per la cittadinanza italiana. Ho allegato tutto quello che potevo per dimostrare la mia presenza stabile nel Paese: pagelle scolastiche, libretto delle vaccinazioni, documenti. Dopo circa due mesi, è arrivata la risposta che sognavo da sempre: finalmente ero cittadina italiana. Oggi studio Economia e Management all’Università Kore di Enna e sono vicina alla laurea. Presto mi trasferirò a Madrid per iniziare una nuova avventura lavorativa con Amazon Web Services.
La mia storia e quella di mia madre parlano di determinazione, amore e voglia di farcela. È grazie a lei se sono la persona che sono. Insieme abbiamo superato tante barriere e abbiamo dimostrato che con il coraggio e l’impegno, i sogni si possono realizzare.
Andrei: “Faccio ricerca, quindi non posso essere italiano”
Mi chiamo Andrei, ho 33 anni, sono nato in Romania e vivo a Vicenza dal 2001. È qui che sono cresciuto, ho studiato, costruito legami. Oggi lavoro come ricercatore in ingegneria meccatronica all’università di Vicenza. Dopo oltre vent’anni in Italia, però, non ho ancora accesso alla cittadinanza. Non per mancanza di radici, ma per una questione tecnica legata al reddito. Dal 2017 percepisco un’entrata regolare da dottorato e assegni di ricerca. Eppure, per legge, questo reddito non è considerato valido per la richiesta di cittadinanza, a causa della sua tassazione particolare.
È difficile accettare che anni di lavoro e contributo alla ricerca non vengano riconosciuti come tali. In più, se un domani dovessi trascorrere un periodo all’estero in un’altra università – come spesso capita a giovani ricercatori come me – perderei anche il requisito di residenza continuativa e dover ricominciare tutto da capo. Una prospettiva che rende ancora più precaria una condizione già complessa.
Mi sento italiano da anni, nella vita quotidiana, nel lavoro, nelle relazioni. Essere italiani non è solo un fatto di nascita, ma di partecipazione. Spero che presto anche la legge possa riconoscere ciò che è già realtà.