
Inizialmente legato a un disegno politico, il termine Mitteleuropa indicava uno spazio che va dalle Fiandre ai Balcani, per certi versi un tentativo di riproporre nella modernità qualcosa di simile al Sacro Romano Impero di nazione germanica. Il progetto andò a cozzare contro la realtà ottocentesca e contro la Realpolitik prussiana, ma sopravvisse comunque fino alla Prima guerra mondiale, anche a rinsaldare la mésalliance tra Austria e Germania: ne parla ancora Thomas Mann, nelle Considerazioni di un impolitico, là dove interpreta la «Mitteleuropa» come «la rinascita di quell’idea di una Grande Germania ch’era in voga prima di Bismarck».
In seguito, l’idea va ridefinendosi: viene allora a legarsi prioritariamente, e forse anche esclusivamente, alla dimensione culturale, come dimostra l’imponente volume curato da Roberta Ascarelli e Massimiliano De Villa, Mitteleuropa ebraica (Mimesis, pp. 590, € 32,00). Perfino un po’ stordente, per la varietà delle voci e dei temi affrontati nei venticinque articoli che lo compongono, il volume affianca a un paio di riflessioni di carattere generale saggi dedicati a singoli luoghi, pratiche culturali, miti letterari e soprattutto ad alcune individualità della cultura tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento, prima dello sterminio della popolazione ebraica d’Europa.
Accanto alle figure più celebri, come Franz Kafka o Joseph Roth, si incontrano allora Karl Emil Franzos e Sholem Aleichem, Margaret Susman e Rose Ausländer, e ancora molti altri. A fronte di tanta disparata ricchezza – si pensi che l’indice dei nomi supera ampiamente le trenta pagine – non ha senso indugiare su singoli contributi. Solo dal multiforme complesso delle riflessioni emerge la ricchezza di un mondo che, al di là di posteriori idealizzazioni, era percorso da «contrasti quanto mai stimolanti ma non meno drammatici», come ricorda Ladislao Mittner in una memoria autobiografica posta dai due curatori in esergo alla loro introduzione. E solo dal ricco intreccio delle voci si può osservare quanto sofferta e, al contempo, quanto straordinariamente feconda fosse la relazione tra l’ebraismo e le altre culture dell’Europa centrale: sia nelle aree e nei paesi slavi, sia riguardo alle sue specifiche espressioni in lingua yiddish e, soprattutto, all’inestimabile apporto da essa recato al mondo di lingua tedesca.
I saggi di questo volume mostrano, tra l’altro, come fu la popolazione ebraica a rendere la lingua tedesca, per qualche decennio, una sorta di Weltsprache, facendone la «lingua franca delle persone colte dal Baltico all’Albania» (così osserverà lo storico Eric Hobsbawm, certo memore della propria infanzia trascorsa a Vienna e Berlino). Altrettanto essenziale fu il contributo degli ebrei nel diffondere, ben oltre i confini tedeschi, gli scritti di Goethe e Schiller, di Hölderlin e Heine, ponendoli a fondamento di una cultura dalla vocazione sovranazionale.
Anche là dove le tendenze all’assimilazione furono oggetto di fermo rifiuto, là dove si affermava la peculiarità culturale dell’ebraismo, l’intellettualità ebraica portò un fondamentale arricchimento al mondo di lingua tedesca, e il lettore è indotto a chiedersi se possa mai esistere una Mitteleuropa che non sia ebraica, e se l’aggettivo nel titolo del libro non sia in fondo un pleonasmo.
La scomparsa della cultura mitteleuropea coincide, di fatto, con i risultati della persecuzione contro gli ebrei: la lingua e la cultura tedesca si riducono allora a essere una lingua e una cultura nazionale fra le tante, mentre la Mitteleuropa sopravvive altrove. La si ritrova, talora, in chi era riuscito a sfuggire al nazismo, a Londra, New York o a Los Angeles (cosa sarebbe stata Hollywood senza il viennese Fritz Lang e senza Billy Wilder, nativo di una cittadina della Galizia?). La si può trovare nell’esperienza culturale di chi in Europa ne raccolse l’eredità e seppe tramandarla (in Italia vengono alla mente, tra gli altri, a Bobi Bazlen e Claudio Magris). E ora tra le pagine che quella cultura evocano con amorosa attenzione.
Immagine di copertina: Merletti in vendita all’esterno della Vecchia-Nuova Sinagoga, Praga, Repubblica Ceca
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